Gaetano Di Meglio | Il caso “Onda Blu” è arrivato dinanzi al Tar. Lo scontro tra Giuseppe Perrella e il “Barbiere”, uno dei capitoli della guerra che vede l’amministratore di “Marina del Capitello” contrapposto all’Amministrazione comunale di Lacco Ameno, verte sugli abusi edilizi che sarebbero stati commessi nell’ambito del pub-bar della figlia dell’assessore Ciro Calise si giocherà, però, nel merito. La difesa di Perrella, infatti, ha rinunciato alle richieste cautelari avanzante dinanzi al TAR Campania.
Una storia così riassunta. A settembre scorso Perrella aveva diffidato il Comune, Soprintendenza ABAP, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’Ufficio Circondariale Marittimo di Ischia affinché venissero accertate le violazioni, rigettate eventuali nuove S.C.I.A. e sanatorie e annullate in autotutela le agibilità rilasciate. La reazione di Giulia Calise era stata pronta: prima una memoria di replica e quindi una diffida all’Ente ad archiviare il procedimento, entrambe a firma dell’avv. Bruno Molinaro. A quel punto, a fine novembre, gli uffici comunali hanno “aderito” alle sollecitazioni della Calise. Un provvedimento con il quale il responsabile dell’U.T.C., «preso atto degli esiti dell’accertamento tecnico effettuato in data 15 novembre, ha concluso per la totale insussistenza degli addebiti».
Provvedimento impugnato da “Marina del Capitello” innanzi al Tar per ottenerne l’annullamento previa sospensione. Addebitando in sintesi al Comune: «Violazione delle garanzie procedimentali di cui alla L. 241/1990, non avendo l’Amministrazione comunicato i motivi ostativi all’accoglimento delle plurime richieste effettuate; difetto di motivazione; difetto di istruttoria, in quanto dall’accertamento eseguito dalla P.A. è emerso che la stessa non si è avveduta delle meridiane abusività delle opere insistenti sui beni demaniali di che trattasi». Sollecitando inoltre anche «l’annullamento del silenzio rifiuto formatosi sulla diffida presentata e sul contestuale esposto, trasmessi al comune di Lacco Ameno e alle altre amministrazioni intimate in data 8 settembre 2023». Chiamando in causa, oltre al Comune, le altre Amministrazioni a cui era stata indirizzata la diffida.
Ovviamente è arrivata l’ulteriore contromossa di Giulia Calise. In vista della camera di consiglio fissata per il 21 febbraio dal collegio della Settima Sezione l’avv. Bruno Molinaro ha depositato una corposa memoria difensiva.
LA MEMORIA DIFENSIVA
Dopo aver ribadito la legittimità dell’immobile, nel merito la memoria sostiene che «il ricorso è chiaramente inammissibile e, comunque, infondato».
Esaminando il primo aspetto, che attiene la complessa materia della efficacia delle concessioni demaniali marittime: «È inammissibile in primo luogo per difetto di legittimazione e di interesse della società ricorrente, la cui pretesa è priva di base legale, non potendo la stessa qualificarsi concessionaria dei beni demaniali marittimi rispetto ai quali si sarebbe materializzata la lesione lamentata. La concessione della quale la società ricorrente assume di essere titolare è, infatti, scaduta a tutto concedere al 31 dicembre 2023, dovendo ritenersi la proroga al 31 dicembre 2024 disposta in sede di conversione del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. “decreto milleproroghe”), avvenuta con legge 24 febbraio 2023, n. 14, “tamquam non esset”, come ribadito da ultimo dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza del 27 dicembre 2023, n. 11200, secondo cui “in applicazione dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria con la sentenza del 9 novembre 2021, n. 17 (che, a differenza della sentenza n. 18/2021, annullata per diniego di giurisdizione dalle SS.UU. della Cassazione con sentenza n. 32559/2023, non risulta impugnata), secondo la quale: le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid 19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/20, convertito in legge n. 77/20 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione; invero, ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari».
Una interpretazione che richiama inoltre una sentenza del Consiglio di Stato del 2023 «che ha disapplicato anche la più recente disposizione normativa recante una previsione di proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo» contenuta nella legge 24 febbraio 2023, n. 14.
L’INTERESSE CONCRETO
Sempre riguardo all’interesse al ricorso, l’avv. Molinaro aggiunge che «nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per ipotesi specifiche in cui è ammessa l’azione popolare, non è consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell’azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone; ciò in quanto l’interesse a ricorrere è condizione dell’azione e corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene a uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall’attualità della lesione della posizione giuridica».
In materia edilizia, che è quella che attiene il caso, «occorre rammentare l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22/2021, secondo il quale nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, ferma restando la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi; e il criterio della “vicinitas”, quale elemento di individuazione della legittimazione, non vale da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato, dovendosi dimostrare che l’intervento contestato abbia capacità di propagarsi sino a incidere negativamente sulla proprietà della società ricorrente».
Nel caso di “Marina del Capitello”, «la società ricorrente, non operando nel medesimo settore di riferimento, in quanto esercente “attività di gestione di porti, approdi turistici e punti di ormeggio”, non è legittimata, né vanta alcun interesse concreto (giuridicamente rilevante) all’ottenimento dei provvedimenti invocati, sia se espressione dell’esercizio dei poteri sanzionatori in materia edilizia, spettanti in tesi soltanto al comune e non anche alle altre amministrazioni erroneamente evocate in giudizio, sia se collegati a una pretesa autotutela decisoria in relazione “alle agibilità rilasciate e ai titoli commerciali”».
Le due attività operano in settori differenti, evidenzia la memoria, dunque: «Il consolidato indirizzo della giurisprudenza in ordine a tale questione è, infatti, nel senso che il titolare di un’autorizzazione amministrativa vanta sicuramente un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente meritevoli, ma solo a condizione che l’esercizio, da parte dell’ente pubblico, del potere autorizzatorio riguardi il medesimo settore di attività commerciale, ovvero quello riferito all’ambito territoriale all’interno del quale si radica la posizione giuridica del richiedente, a fronte di “possibili lesioni (ancorché non attuali) della sua posizione, qualificata e differenziata, di controinteresse all’illegittimo allargamento della concorrenza e alla potenziale sottrazione di clientela”».
IL POTERE DI AUTOTUTELA
Quanto alla omessa attivazione delle garanzie partecipative e l’assenza di un’adeguata motivazione, «l’eccezione è infondata, in quanto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il dovere della pubblica amministrazione di concludere il procedimento ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241/90 deve essere verificato in concreto in relazione non ad una pronuncia qualsiasi, ma ad una pronuncia di contenuto positivo, in quanto non sarebbe utile imporre all’amministrazione stessa l’obbligo di una decisione espressa in presenza di una pretesa manifestamente infondata».
Chiarendo che nel caso specifico, «come documentalmente dimostrato, il Responsabile dell’Ufficio Tecnico ha rilevato la manifesta infondatezza della diffida presentata, avendo, anche a seguito di sopralluogo del 23 novembre 2023, accertato la legittimità delle opere contestate “sotto il punto di vista urbanistico, paesaggistico, e demaniale”».
La difesa ritiene il ricorso inammissibile «anche nella parte in cui censura il mancato esercizio del potere di autotutela e l’omessa risposta in relazione ai titoli precedentemente assentiti (come le agibilità rilasciate, i “titoli commerciali”, ecc.), avendo il comune fatto applicazione dei principi affermati in materia, con orientamento granitico, dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale, in caso di presentazione di una istanza di autotutela, “l’amministrazione non ha l’obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita in quanto la relativa determinazione costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l’amministrazione stessa per la tutela dell’interesse pubblico; non è quindi configurabile un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale, del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all’esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente”».
Citando ulteriori pronunce in materia: «Non sussiste alcun obbligo di riesame su istanza del privato volta a sollecitare l’autotutela; tale conclusione discende dalla inconfigurabilità di un obbligo della P.A. di provvedere a fronte di istanza di riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all’esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni prive di valore giuridicamente cogente, sicché non è coercibile dall’esterno nemmeno l’attivazione del procedimento di riesame mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto». Ed in ultimo la Cassazione: «Non sussiste alcun obbligo di rispondere all’istanza in autotutela presentata dal privato, essendo il relativo comportamento espressione di ampia discrezionalità».
PROVVEDIMENTO MOTIVATO
Quanto al difetto di motivazione, «è sufficiente rilevare che l’obbligo di motivazione dell’atto amministrativo è espressamente escluso per quegli atti, come di specie, che, per la loro natura ampiamente discrezionale, non sono soggetti all’obbligo di motivazione». Evidenziando che in questo caso «il funzionario comunale, nel concludere il procedimento con provvedimento negativo, ha anche richiamato il preavviso di rigetto del 3 maggio 2023, nel quale sono state ben individuate le ragioni della infondatezza della diffida». Di qui l’assoluta infondatezza dela censura.
Viene definita «del tutto generica e priva di fondamento» la richiesta di risarcimento danni, dovendo essere applicato il principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della domanda.
Si ribadisce ancora una volta la legittimità del pub-bar richiamando la perizia dell’ing. Benito Trani, confermata «dallo stesso tecnico comunale con il richiamato accertamento del 23 novembre 2023».
SOSPENSIVA INUTILE
Dunque è stato accertato che «l’attuale stato dei luoghi è pienamente corrispondente alla rappresentazione grafica dello stesso». Ancora: «Essendo stato provato che, contrariamente a quanto esposto dalla Marina del Capitello S.c.a.r.l., l’immobile (pub-bar Onda Blu) nel suo complesso è legittimo, risultando coperto da tutti i titoli occorrenti e conforme agli stessi, non vi è dubbio alcuno sulla totale insussistenza anche della contestata illegittimità derivata del certificato di agibilità, della licenza di esercizio e della SCIA sanitaria».
La memoria ovviamente “scardina” anche la domanda cautelare di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, che «costituisce una misura giurisdizionale volta ad impedire, nelle more della decisione definitiva, la produzione irreversibile, in danno del ricorrente, degli effetti derivanti dalla iniziativa assunta dall’amministrazione».
Ma in questo caso, essendosi «in presenza di opere legittime, è evidente che la invocata sospensione cautelare non consentirebbe alla società ricorrente, comunque priva di legittimazione ed interesse, di ottenere alcuna utilità strumentale rispetto alla decisione finale. Di qui il difetto anche dell’ipotizzato “periculum in mora”».
spero che i lacchesi ci riescano a capire qualcosa tra i vecchi e i “nuovi” amministratori del Comune- si pongano la domanda —- a chi ci eravamo affidati a governarci in questi ultimi trent anni ????????? e l orizzonte cosa ci regala ?????????