Leo Pugliese | La notizia era nell’aria da tempo, ma solo oggi se n’è avuta l’ufficialità. Il Cristo Morto di Carmine Lantriceni, lunedì 27 marzo – per la prima volta nella storia – sbarcherà a Ischia e più precisamente a Forio nell’ambito delle celebrazioni eucaristiche del periodo pasquale nella chiesa di San Sebastiano Martire. L’impegno profuso dal parroco Don Beato Scotti e dal Superiore della Confraternita dei Turchini di Procida, Matteo Germinario ha permesso tutto ciò.
Infatti – non sono stati pochi i permessi e le autorizzazioni da richiedere – per quello che sarà un vero evento storico per tutta la diocesi di Ischia. Le autorizzazioni, infatti, sono giunte dalla curia napoletana e dal vescovo ausiliare di Napoli sua Ecc.za Gaetano Castelli. La statua farà poi rientro a Procida venerdì 31 marzo. La notizia ha fatto il giro del web scatenando una serie di commenti di chi a favore e di chi a sfavore: Uno dei primi commenti in senso negativo “protezionistico” è arrivato dall’ex assessore Peppino Pauilieddo: «Al di là di essere una icona sacra, il Cristo deposto del Lantriceni è un’opera d’arte. E con questo oso dire (vorrei addirittura gridarlo): Il nostro Cristo morto non si tocca. Sta bene dove sta».
A buttare acqua sul fuoco anche il Superiore dei Turchini Matteo Germinario «caro Peppino le opere d’arte sono fatte per essere ammirate e, poiché il Cristo Morto giace nella sua cripta per 364 giorni e i procidani si ricordano di Lui solo a Venerdì Santo dimenticandolo tutto il resto dell’anno, come dice il proverbio se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. A Ischia ci sono tanti oriundi procidani. Mi chiedo perché tanta gelosia? In fondo anche la Pietà di Michelangelo fu portata a New York».
Anche il dottor Giacomo Retaggio, storico dell’isola ha detto la sua alla domanda del Cristo Morto a Ischia: «Premetto che dello spostamento a Ischia del Cristo morto non sapevo assolutamente nulla fino ad ieri mattina, 8 febbraio 2023, prima che una telefonata di Matteo Germinario mi informasse del fatto. Ma pare che la cosa (e questo mi è stato riferito dal suddetto Matteo) che la cosa stesse in pentola già da parecchio tempo. Ci sarebbe stata una richiesta in tal senso della Curia di Ischia a quella di Napoli per fare andare il Cristo procidano sull’isola verde. Come ho potuto capire pare che la cosa sia passata sulle nostre teste in quanto il priore Matteo (così mi ha riferito) non poteva mettersi contro gli organi curiali. Il fatto che io non sia favorevole allo spostamento non conta nulla. La Chiesa (ed i suoi organi di governo) non è un ente democratico. Le decisioni piovono direttamente dall’alto».
Anche il parroco Don Beato Scotti, di San Sebastiano a Forio che ospiterà la veneranda immagine sacra molto cara ai procidani, ha risposto: «Sono solo pochi giorni poi in settimana santa è di nuovo a Procida…PS abbiamo chiesto questa cosa anche per esaltare, anche se con po’ di ritardo, l’isola di Procida capitale della cultura 2022».
La storia
«La statua del nostro Cristo morto è un capolavoro assoluto ed esorbita di conseguenza dai confini di Procida» – dice il dotto Retaggio. «Una antica leggenda metropolitana lo vuole scolpito da un carcerato della locale Casa Penale, ma non è vero. Infatti sulla base della statua è incisa una scritta:” A. D. 1728 Neapoli Carminus Lantriceni sculptor”.
Il carcere è stato istituito a Procida “solo nel 1830 da Ferdinando II di Borbone “, quindi più di cento anni separano le due date. Eppure la credenza è dura a morire e pare che quasi dispiaccia ai Procidani di conoscere la verità. Certo che l’immagine del carcerato , che nella penombra di una cella, sudando e bestemmiando, scolpisce il Cristo. è molto più romantica ed accattivante.
Io stesso nella mia permanenza venticinquennale sul carcere, aggirandomi quotidianamente per le celle del palazzo D’Avalos, pur sapendo che non era vero, mi chiedevo quale potesse essere stata quella che aveva ospitato il carcerato scultore. Forse nell’immaginario collettivo popolare la sofferenza dell’uomo crocefisso e del detenuto si sovrappongono e diventano tutt’uno. Ma chi era Carmine Lantriceni? Non si sa molto di lui, tranne che era un “pastoraio”, vale a dire un costruttore di pastori e scenografie presepiali.
Attività questa non disdicevole nella Napoli settecentesca tanto è vero che veniva praticata anche da scultori del calibro di Bottiglieri e Sammartino. Il nostro Cristo rientra nel filone del barocco napoletano che fa capo allo scultore e pittore spagnolo, trapiantato a Napoli, Josef De Ribbera».