Mimmo Loffredo e Filomena Mattera sono due dipendenti del Rizzoli e due consiglieri comunali il che, ovviamente, li coinvolge in valutazioni politiche e li proietta sotto una luce diversa. Dopo la protesta, strumentale, contro le strisce blu del Rizzoli ho commentato come la protesta dei lavoratori ISCHITANI del Rizzoli per un abbonamento da 130 euro l’anno sia un’offesa rispetto al costo che sopportano e sostengono i PENDOLARI del Rizzoli. Quelli che partono molte ore prima per raggiungere la sede del Rizzoli, che sostengono le spese del trasporto marittimo, dell’eventuale parcheggio in terraferma e di altri costi che sono facilmente intuibili.
Un commento così vero che è sostenuto anche dalle rivendicazioni degli stessi sanitari che ora chiedono all’ASL di liberare l’area dei tamponi per parcheggiare gratis. Ovvero, basta che non pago io il parcheggio, poco importa di chi lo paga. Una volta pubblicato il mio commento, come spesso accade, si è accesa un ridda di commenti di odiatori seriali che non considero. Per me sono come l’acqua nello sciacquone, fanno rumore ma poi passano via in fretta. Ma ci sono alcune circostanze che non possono essere sottaciute.
Sono convinto che tutti i commenti negativi che ho letto siano stati suggeriti e richiesti dallo stesso Loffredo. Loffredo, infatti, durante uno sciopero degli operatori di Villa Mercede chiese a Gigi Listi di aggredirmi perché lo avevo criticato. Sentii la richiesta con le mie orecchie e, puntualmente, accade che pochi metri dopo ebbi un confronto animato con Gigi Lista sedato dall’ispettore Calvi della Polizia di Stato di Ischia. Non si contano le volte in cui mi hanno riportato le infamie che Loffredo racconta sul mio conto, ma anche questo fa parte del contesto sciacquone.
Avevo letto anche il commento del fidanzato (o così pare) di Filomena Mattera, tale Pelella, che mi ha chiamato TROGLODITA , vabbè, vivrò lo stesso sapendo di non aver stuprato un’area immensa del verde di Serrara Fontana con asfalto, cemento e altre costruzioni abusive quando mio padre (Domenico, ndr) ricopriva un ruolo pubblico al comune di Serrara Fontana.
Ma il commento del primario Roberto Buonanno, che ho provveduto a denunciare, credo abbia superato il limite della decenza. Pensare che un primario del Rizzoli possa “organizzare la sua (di me, ndr) lapidazione” è una cosa grave che non può e non deve passare oltre.
Non sarà Roberto Buonanno a farmi stare zitto, non sarà Mimmo Loffredo a farmi tacere e a non farmi scrivere quello che penso, ma di certo non è consentito a nessuno di suggerire al web di “organizzare la mia lapidazione”.
A tutto c’è un limite. So bene che nessuno avrà il coraggio di indignarsi e che nessuno muoverà un dito se non il giudice penale che ha l’obbligo di legge, ma questo non aggiunge e non toglie nulla a quella che è la mia libertà!
Continuerò a criticare l’azione dei consiglieri comunali Loffredo e Mattera con ancora maggior vigore e maggior coraggio. Continuerò a scrivere quello che credo giusto scrivere senza dare nessun spiraglio di vittoria a tutte la bolle social che potete aizzare. Continuerò ancora di più. Ancora di più!
Buongiorno mi associo fortemente alla petizione
Ischia è piena di questi “mammasantissima” , guai a disturbare il manovratore di turno si sfocia presto in “reato” di LESA MAESTA’.!!!! pietro
Per la serie Esopo news
Solo la pernacchia ci può salvare (con una sana e consapevole libidine) dallo spot e dall’azione cattolica.
Emesso il verdetto di “lapidazione” che non c’entra un tubo con l’ipotesi di “incompetenza e populistica” (leggi seguito) affibbiata al Direttore di “IL DISPARI”, verrebbe voglia di incitare i paladini dei diritti uguali per tutti alla “defenestrazione” di chi propugna il supremo valore della casta rispetto alla plebe, però in Italia non esistono attualmente le condizioni di Praga (leggi seguito) e quindi ci limiteremo alla cara vecchia pernacchia elaborata dai migliori cervelli della napoletanità: Totò – De Filippo.
Storia lapidazione
TRECCANI
https://www.treccani.it/enciclopedia/lapidazione_%28Enciclopedia-Italiana%29/#:~:text=La%20lapidazione%20si%20trova%20diffusa,di%20Venizelos%20in%20Grecia%20nel
La lapidazione si trova diffusa nell’antichità presso Egiziani, Sabei, Persiani, Ebrei, popoli dell’Asia Minore, Macedoni, Greci, Italici, Galli, Lugitani, ecc.; nel Medioevo specialmente presso i popoli germanici; e sopravvive fino a oggi nella tradizione popolare (lapidazione in effigie di Venizelos in Grecia nel1917). Sia come sfogo d’ira improvviso di una folla, sia come pena capitale codificata (p. es. negli antichi diritti germanici), la lapidazione è praticata su: parricidi e simili (Lusitani; i cadaveri dei parricidi nelle Leggi di Platone; Ebrei); adulteri (antichi Messicani; Ebrei, cfr. Giovanni,, VIII, 5 segg.); fattucchieri e fattucchiere (Ebrei; Italici, cfr. Orazio, Ep., V, 97 segg.); ossessi e posseduti da demonî (Gesù, cfr. Giovanni, XI, 8; VIII, 48-59); tiranni (Coes a Mitilene, Falaride ad Agrigento); nemici in guerra (i Focesi fatti prigionieri dagli Etruschi alleati con i Cartaginesi); traditori della patria; violatoti di precetti e costumi sacrali (il re che usciva īuori dalla reggia presso i Sabei; chi deliberatamente entrava nell’ἄβατον di Zeus Lykaios in Arcadia; presso gli Ebrei il violatore del ḥerem anche se era un animale, Esodo. XIX, 13, cfr. XXI, 29); rei di lesa religione (Dioniso nelle Baccanti di Euripide, V, 356; presso gli Ebrei gli adoratori degli astri e degl’idoli, i violatori del sabato, i bestemmiatori, cfr. la lapidazione di Stefano, Atti, VII, 58 segg., e di Paolo a Iconio e a Listra, Atti, XIV, 5 e 18, cfr. II Corinzî, XI, 25); gli apostati (Ebrei), eresiarchi (Pietro il fondatore dei Messaliani, Costantino-Silvano dei Pauliciani, Basilio dei Bogomili) e scomunicati (lapidazione del cadavere di Manfredi).
L’uccisione (supplizio) del lapidato non è il momento essenziale della lapidazione, tanto è vero che talvolta essa è praticata sui cadaveri. Il fatto che la lapidazione ha Luogo assai spesso fuori della città (Ebrei; Lusitani; Leggi di Platone cit.; anche il pharmakós a Massalia era lapidato extra pomoeria) e che il cadavere del lapidato è poi portato fuori del confine (Leggi di Platone; cfr. l’esumazione e traslazione del cadavere di Manfredi) indicano invece come essenziale il motivo dell’espulsione. Esso è specialmente visibile nella lapidazione dei pharmakoí, individui sui quali si caricavano simbolicamente tutti i malanni collettivi dell’annata per liberarne la città. Il motivo di scaricare la comunità dalla sacralità perniciosa di cui l’ha infettata la cattiva azione commessa dal lapidato si rivela specialmente nei casi in cui alla lapidazione debbono partecipare tutti i membri della comunità (Ebrei: Levit., XXIV, 16; Deuter., XVII, 7; Giosuè, VII, 25; nelle Leggi di Platone: tutti i magistrati in rappresentanza dell’intera città; Palamede lapidato ab exercitu universo, Igin, Fab., 105; sul cadavere di Manfredi, secondo Benvenuto da Imola, singuli de exercitu Caroli iecerunt singulum lapidem).
Bibl.: R. Pettazzoni, Studi e materiali di storia delle religioni, I (1925), pp. 1-65; R. Hirzel, Die Strafe der Steinigung, in Abhandlungen der sächsischen Gesellschaft der Wissenschaften, phil.-hist. Klasse, XXVII (1909), pp. 233-266; K. von Amira, Die germanischen Todesstrafen, in Abhandl. d. bayer. Akad., XXXI, iii (1922).
Storia defenestrazione
TRECCANI
https://www.treccani.it/enciclopedia/defenestrazione-di-praga_%28Dizionario-di-Storia%29/
Denominazione di due episodi storici: il primo (30 luglio 1419) diede avvio alla rivoluzione hussita.
Il termine è noto soprattutto per la d. di Praga, atto di ribellione dei protestanti boemi che, insorti contro l’imperatore Mattia (1618), gettarono da una finestra della sala del consiglio due dei rappresentanti imperiali e il loro segretario.
PERNACCHIA
https://www.treccani.it/vocabolario/pernacchia/
pernàcchia s. f. [voce napol., in precedenza pernàcchio, da un originario vernàcchio che è il lat. vernacŭlus «servile, scurrile», der. di verna «servo, schiavo»]. – Suono volgare che si produce emettendo un forte soffio d’aria tra le labbra serrate, talvolta con la lingua interposta, più spesso premendo la bocca col dorso o col palmo della mano: esprime disprezzo per la superbia e l’arroganza altrui, derisione nei confronti di situazioni o comportamenti retorici e sim.: prendere qualcuno a pernacchie; si ebbe un coro di pernacchie dai compagni; fece una p., lunga che non finiva mai (Pasolini). ◆ Dim. pernacchina, pernacchiétta; accr. pernacchióna.
Maggio 2022-07-22
IL RIFORMISTA HA SCRITTO
https://www.ilriformista.it/pm-e-pernacchie-sei-anni-per-punire-tre-ragazzini-301592/?refresh_ce
La storia giudiziaria si è conclusa alcuni mesi fa ma se ne è avuta notizia solo in questi giorni. È una storia giudiziaria singolare, durata sei anni, che ad una prima lettura strappa un sorriso ma poi ti lascia, tra lo sconcerto, con un interrogativo aperto: possibile? Cominciamo con il raccontare il fatto che è stato, sì, possibile.
È accaduto a Napoli ed è stato al centro di ben cinque processi. Imputati tre minorenni, ragazzini accusati di aver atteso per giorni, ogni giorno, una compagna di classe per pronunciare il suo nome seguito da una fragorosa pernacchia. Un rumore volgare, per dirla con le parole dei migliori dizionari della lingua italiana. Uno sberleffo che, ripetuto nel tempo, sicuramente deve aver generato disagio e sofferenza nella ragazzina che ne era destinataria, ma che appare questione bagattellare se la si pone sul piano dei reati per cui far azionare la macchina della giustizia. Pensare che sulle pernacchie dei compagni di scuola si sono istruiti ben cinque processi, tra primo, secondo e terzo grado, dà la misura di certe stranezze del nostro sistema.
E così, in un tempo in cui i tribunali sono ingolfati e nel distretto di Napoli ci sono uffici in cui si accumulano anche oltre cinquantamila procedimenti arretrati, arriva la notizia che le risorse della giustizia sono state impiegate anche per stabilire se la pernacchia dei compagni di classe fosse o meno una molestia. Sicuramente a Napoli ha un suo valore semantico il pernacchio (al maschile!). Totò lo aveva reso artifizio comico, teatrale e cinematografico. Nel film di Vittorio De Sica, L’oro di Napoli, Eduardo De Filippo lo esaltava ad arte tutta napoletana su cui addirittura impostare una lezione. Tornando alla nostra storia, nel processo celebrato dinanzi alla giustizia minorile di Napoli viene analizzato come reato, come una presunta molestia.
Gli imputati sono tre adolescenti, due dei quali fratelli più una loro compagna di scuola. Sono stati accusati di aver ripetuto con cadenza giornaliera il gesto di derisione nei confronti di un’altra compagna di classe: la attendevano fuori scuola, pronunciavano il suo nome a voce alta e facevano una pernacchia. Un gesto inequivocabilmente sgradevole, che i ragazzini non hanno smesso di ripetere dopo essere stati ripresi e invitati a smetterla, tanto da spingere la mamma della ragazzina a denunciarli. Dalla denuncia si è passati al processo, seguendo un lungo iter giudiziario che si è concluso dopo ben cinque pronunciamenti: prima quello del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni che ha disposto il rinvio a giudizio dei tre ragazzini sotto accusa, poi quello del Tribunale per i minorenni che ha deciso per il «perdono giudiziale», riconoscendo comunque nel fatto una penale responsabilità.
Quindi si è arrivati in Appello, con una sentenza che ha confermato il perdono giudiziale deciso dai giudici del primo giudizio. Di qui il ricorso alla Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio la sentenza, disponendo un nuovo processo in Corte d’appello e ritenendo che il pernacchio non debba essere considerato come una forma di molestia mancando il requisito dell’offensività. Il nuovo processo si è concluso con una sentenza in linea con le conclusioni della Suprema Corte, ultimo e definitivo verdetto che ha dichiarato l’estinzione del reato per irrilevanza penale del fatto. «La questione – ha raccontato all’Ansa l’avvocato Silvio Auriemma, legale di una delle due parti in causa – da un punto di vista professionale porta a un certo grado di soddisfazione, perché si tratta di una questione “filosofica” insita nella cultura napoletana. D’altro canto resta l’amarezza, però, per avere ingolfato il sistema giustizia con una questione quasi bagattellare, seppure foriera di sorrisi».