mercoledì, Febbraio 5, 2025

IL REPORTAGE. Casamicciola delle cause impossibili. Due “Casamicciole”, due mondi paralleli

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Luciano Castaldi | Ultimi ritocchi e poi, finalmente, gli ennesimi lavori di maquillage sul lungo porto di Casamicciola saranno terminati. Allargare ed allungare lo spartitraffico: ci voleva proprio!
In attesa ora di capire quali interventi ha pensato Fuksas, quali altre fontane piazzare, quanti altri gerani piantare e dove… come trasformare e utilizzare il Pio Monte della Misericordia, forse è il caso di provare ad andare oltre le operazioni estetico-elettorali.

Come tutti sanno (e dimenticano), a poche centinaia di metri dagli ingorghi della Marina, che qualcuno pensa di poter eliminare o ridurre concentrando le possibilità di svolta alle due rotonde all’altezza dell’ex Banco di Napoli e del Piazzale dell’Ancora, insistono le zone devastate dal terremoto e dall’alluvione.
Due “Casamicciole”, due mondi paralleli.

Ieri, attraversando insieme a Caterina quel paesaggio di rovine, di desolazione e di dolore, ho potuto misurare, centimetro per centimetro, la distanza che corre tra la realtà e i sogni, tra le aspettative e le delusioni di quella parte di casamicciolesi che, con il terremoto prima e l’alluvione poi, hanno perso tutto, ma non l’amor proprio. Continuano a vivere come sospesi all’interno di una bolla di sapone questi abitanti dell’isola più bella del mondo. Una bolla di sapone fatta di burocrazia, sigle, docce fredde, tormenti, amarezze. E chi passa da quelle parti patisce, non può non patire gli stessi stati d’animo, la stessa angoscia. Passano i mesi, passano gli anni e il vento passa tra le case, attraversa i muri e aumenta la distanza tra mattone e mattone, tra il sogno di una normalità perduta e la dura realtà dell’emergenza definitiva.
“Delocalizzazione” è parolina passepartout che qui blocca il respiro. È al contempo formuletta magica e bestemmia. Salvazione e dannazione: la parolina che, sussurrata e ingoiata, più circola – come una cosa velenosa e proibita – tra questi muri, dietro gli angoli.

Chi dice “delocalizziamo”, certamente, lo dice a “fin di bene”, ma deve sapere che butta altro sale su una ferita ancora sanguinante.
È un sale che non sana, brucia solamente.
Nel cuore di Casamicciola alta, tra La Rita e La Sentinella, si è fatto – e si sta facendo – molto. Tubolari, pali, recinzioni, cartelli. Si è speso e si sta spendendo molto. Io non ho argomenti, soprattutto non ho alcuna competenza per mettere becco in questa gigantesca questione. Prendo però nota delle mille contraddizioni e dei mille misteri della nostra isola, della nostra Italia, del mondo, della realtà, della vita nel suo complesso. Scendiamo verso la parte più off limits, oltre c’è solo una cava nella quale scorre un rivolo sporco e giallastro che somiglia proprio ad una grandiosa pisciata. Sembra di essere scesi agli inferi tanta è la desolazione. La giornata è assolata, ma qui in questo spettrale canyon in miniatura è tutta un’ombra sinistra. Arriva il vento e quasi fa freddo.
Mentre, silenziosa e concentratissima, Caterina continua il suo lavoro, io respiro afflizione a pieni polmoni. Nel silenzio sembra infatti di sentire il boato, le urla, il dolore. Solo il cielo e il mare azzurrissimi, solo lo spicchio di montagna in lontananza, verdissima e dolcissima, aiutano a riprendere fiato. È pur sempre primavera, con i suoi ardimentosi colori, con i suoi pungenti odori. Una primavera che rivendica i suoi diritti, la sua legge più forte della polvere, del ferro, del tanfo nauseabondo causato dal malfunzionamento del sistema fognario. In questo dolorante anfratto dell’Epomeo riecheggiano oggi anche le note delle canzoni e delle allegre voci di festa per una Prima Comunione. È un’allegria che stride e stona, ma fa bene. Anche questo è Casamicciola. Finite le prime foto, risaliamo.

Ci avventuriamo ora in una viuzza laterale. Altri gruppi di case accartocciate su sé stesse. Da una cassetta della posta emerge un volantino delle offerte di un supermercato. Il sole e la pioggia lo hanno scolorito all’esterno. Lo apro: agosto 2017: l’olio costava decisamente meno, così come lo zucchero, il latte, il caffè. Dietro un cancello c’è un vecchissimo cane da caccia di colore marrone che piagnucola disperato. Ci avviciniamo. Lo accarezziamo, muove la coda festoso e riconoscente. Ha degli occhi dolcissimi e profondissimi che brillano di paradiso. Più avanti incontriamo alcune persone. Qui – ci spiegano – furono estratte vive 12 persone, alcuni bambini. Dietro l’angolo un gruppo di signore armato di zappe e pale sta sradicando erbacce dai margini del sentiero, ci osservano sorpresi: “Qui oramai non viene mai nessuno. Sì stiamo ripulendo. Lo facciamo per i nostri figli”. Eccoli i ragazzi che giochicchiano a pallone su un campetto parzialmente occupato da alcune automobili. Chiediamo se c’è la possibilità di poter entrare in qualche casa abbandonata. “Impossibile”, ci rispondono. “È pericoloso. E poi abbiamo gli occhi puntati addosso. Ogni passo falso può costarci caro”.

Insomma, c’è la tensione, c’è l’esasperazione del giorno dopo, anche se sono oramai passati diversi anni. Quel che manca è la luce dei riflettori. Viene da gridare: dove sono gli “Stella” del Corriere della Sera? E i titolisti de “Il Giornale” (ricordate? “Morti abusive”), e i vignettisti di Famiglia Cristiana (ricordate: “Casamicciola abusiva”)?

Un imprenditore ci racconta la sua storia, quella della sua famiglia: i suoi sacrifici, le sue aspirazioni, la sua frustrazione, il suo disincanto.
“Ringraziamo il cielo perché tutto sommato c’è andata bene. Noi godiamo di una certa agiatezza costruita con il lavoro nostro e dei nostri genitori. Ma vorremmo anche poter guardare avanti con serenità. Chi dice delocalizzazione solo ci sta prendendo in giro. Ma la sua non è malafede. Prende solo altro tempo perché non può fare altro”. È documentatissimo l’imprenditore di Casamicciola, è affranto, è arrabbiato, ma è lucidissimo: cita leggi piani programmi decreti. Un fiume in piena. “Andare via da qui è semplicemente impossibile”. No, non è solo una questione di ricordi, storie, sentimenti, radici. “Ischia non è l’Abruzzo e Casamicciola non è l’Aquila. Dove possiamo acquistare casa? Dove esistono abitazioni che rispondono a tutti i requisiti abitativi, urbanistici e paesaggistici previsti dalla normativa vigente? Vorrei capire: gli stessi responsabili che in queste zone hanno autorizzato la ricostruzione oggi ci dicono che – poiché al rischio sismico si è aggiunto anche quello idrogeologico – non è più possibile restare. E quelli che hanno investito per la ricostruzione? Restare è impossibile, andare è impossibile. Cosa fare? Nell’attesa rassettiamo quel che è possibile rassettare, puliamo i muri a secco, accudiamo il vigneto, curiamo l’orto e… aspettiamo. Proviamo a vivere non solo sopravvivere”. Viene voglia di abbracciarlo.

Quanta dignità in queste parole!
È il crepuscolo, non c’è più luce per le foto. Torniamo a casa. Nella piazzetta, davanti alla baracca simbolo del post terremoto alcune scritte con lo spray, dietro un Crocifisso che non ve vuol più sapere di stare appeso al legno. Dalla chiesina dell’Immacolata giunge nervoso il suono delle campane. È domenica, ma per scarsità di preti, non c’è messa, solo il rosario organizzato spontaneamente da alcune donne. In una casa abbandonata su un tavolo c’è la stessa bottiglia di acqua Sorgesana abbandonata in fretta e furia da chi stava bevendo un sorso d’acqua. Tra le pietre, le porte divelte delle camere da letto, i calcinacci, i materassi, i servizi di piatti è spuntato un fiore selvatico. È di colore viola. Lo stesso che in questi precisi istanti il sole sta spargendo nel cielo prima di scomparire dentro il mare.
Ce ne andiamo. Mai mi sono sentito così inutile in vita mia.

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