Ieri a Milano ho assistito alla cerimonia di proclamazione dei nuovi laureati bocconiani, tra i quali c’era anche mio nipote Giuseppe, un giovane ischitano che a diciassette anni e con le sue sole forze, riusciva a pochi mesi dalla maturità scientifica ad essere ammesso all’ateneo del management tra i più ambiti al mondo, affrontando il trasferimento a Milano subito dopo l’estate, non ancora maggiorenne, lasciando alle spalle per gran parte del triennio di studi la sua isola, la sua casa, i suoi affetti.
Tra la gioia e la commozione, riflettevo sul concetto del sacrificio, quello che dovrebbe fondare e animare i sogni e le ambizioni di ciascun giovane che si rispetti. Per carità, è indubbio che sono fin troppi i coetanei di mio nipote a non aver potuto “pensare in grande” (per ricalcare in parte un aforisma di Donald Trump a me molto caro) e perseguire liberamente i propri obiettivi; ma è altrettanto vero che la condizione più diffusa tra i nostri giovani (non solo tra certi politici) è proprio quella di risultare incapaci di identificare le vere priorità.
Il ruolo dei genitori è senz’altro fondamentale in questo, ma non sempre risulta determinante. Anche nei migliori orti, capita che il frutto cada ben lontano dalla pianta che lo ha generato. I giovani sono sempre più portati a considerare come modello l’esempio dei coetanei, in luogo di quello delle figure di riferimento (familiari, insegnanti) della loro età, trascurandone i consigli e le esperienze. Appare strano, quindi, che il vantaggio di essere giovani e, almeno sulla carta, più svegli di noi adulti, faccia il paio con quell’inspiegabile pigrizia mista ad indifferenza che li porta finanche ad ignorare la materiale impossibilità di soddisfare, talvolta, le loro minime esigenze quotidiane, spingendoli a lavorare sodo per aver presto dalla vita ciò che desiderano.
I tempi particolarmente difficili in cui stiamo vivendo, specialmente dalle nostre parti, sembrano riportare alla mente quel primo novecento mai dimenticato, in cui tantissimi giovani italiani furono costretti a cercar fortuna lontano da casa, in molti casi non tornandoci mai più. Ciononostante, la fame di crescere e di rendersi indipendenti in linea con le proprie ambizioni, sembra non essere ancora tale da ispirare quella giusta dose di sacrificio che oggi potrebbe ancora rappresentare una scelta saggia, ma che domani (speriamo di no) potrebbe restare, tempi permettendo, l’ultima carta da giocarsi.
Il cosiddetto honor code bocconiano, quello che dai docenti all’ultimo degli impiegati viene trasmesso ai discenti di tutto il mondo che frequentano l’università dei due leoni, si fonda su concetti come indipendenza, etica, trasparenza, libertà di espressione, equità, solidarietà, valorizzazione delle diversità, attenzione al merito e allo sviluppo delle capacità individuali, professionalità e tensione alla qualità, responsabilità sociale. E’ fin troppo facile capire che nella “normalità” di un ragazzo qualunque, ciò che lo circonda è tale da sfiduciarlo non poco rispetto alla rarità con cui, ogni giorno, tali valori vengano realmente praticati. Ma proprio per questo, com’è possibile che anche la benché minima presa di coscienza del what to do e dei relativi sacrifici da sostenere sia così difficile da metabolizzare?
Riflessioni ed interrogativi, questi, che anche da padre mi pongo spesso. Difficile trovare le giuste risposte, ancor di più tener viva la speranza paolina di non restare delusi dagli esiti del proprio arduo compito di genitori. Il tempo, come sempre, ci rivelerà se e in che ragione siamo stati abili a svolgerlo; e al tempo stesso, se il giusto spirito di sacrificio nel realizzare una dimensione degna dell’appellativo di “uomini del futuro” sia riuscito a prevalere sulla persistente ricerca dell’assistenzialismo (sociale e familiare) e di un vivere alla giornata che non può e non deve più bastare alle nuove generazioni.