venerdì, Aprile 18, 2025

Il santo nella tempesta. La camicia di Moscati, la reliquia dimenticata di Procida

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Leo Pugliese | Certe reliquie non sono d’oro né incastonate nei reliquiari. Alcune sono fatte di stoffa, di fibra e di tempo. Alcune profumano ancora di vino e di pioggia. Alcune restano lì, in silenzio, a raccontare ciò che le parole non osano dire. È il caso della camicia di San Giuseppe Moscati, oggetto apparentemente comune, ma intriso di una sacralità che sfida il tempo e la dimenticanza.

Sono passati novantotto anni dalla morte del medico dei poveri, eppure la sua presenza aleggia ancora sull’isola di Procida, come un’ombra benevola che veglia sulle case, sui vicoli, sui cuori di chi sa ricordare. In un antico palazzo di via Flavio Gioia si conserva una reliquia sconosciuta ai più, ma profonda quanto una preghiera sussurrata: una camicia appartenuta a Moscati, macchiata di vino rosso, mai più reclamata, divenuta simbolo di speranza e guarigione.

Era il 26 maggio 1923. L’aria sull’isola era pesante, il cielo plumbeo. Da giorni, il giovane Aniello Porta giaceva a letto, paralizzato, senza che alcun rimedio sembrasse efficace. La famiglia, disperata, si rivolse agli influenti Del Giudice, che fecero giungere sull’isola un uomo che già allora era leggenda: Giuseppe Moscati, primario dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, scienziato, medico, ma soprattutto uomo di Dio.

Moscati non esitò. Abbandonò i suoi impegni e, con la discrezione che lo contraddistingueva, salì su una barca e affrontò il mare. Non era la prima volta che lo faceva. Per lui, ogni malato era un fratello. Ogni dolore, una chiamata.
Giunto a Procida, salì i gradini del Palazzo Porta, varcò la soglia della casa e visitò il giovane Aniello. La diagnosi fu immediata e la cura prescritta con la precisione di chi conosce non solo il corpo, ma anche l’anima. I familiari lo guardarono con gratitudine, ma non sapevano che quella giornata sarebbe diventata leggenda.

Nel pomeriggio, il cielo si aprì in un urlo. Un violento temporale si abbatté sull’isola, rendendo impossibile il ritorno a Napoli. Le onde si ingrossarono, i traghetti si fermarono. Moscati fu costretto a rimanere.
La famiglia Porta, onorata di ospitarlo, preparò una cena modesta ma sincera, fatta di affetto più che di fasto. Fu durante quel pasto che accadde l’imprevisto: un calice di vino rosso si rovesciò sulla camicia del dottore. Un gesto involontario, un istante fugace. Ma il tempo, a volte, si ferma nei dettagli.

Vedendo la camicia macchiata, i padroni di casa offrirono a Moscati una camicia pulita per la notte. Lui la accettò con gratitudine, lasciando la propria sporca ad asciugare, con la promessa di tornare a prenderla. Una promessa che non mantenne mai.
All’alba, il mare si placò. Moscati tornò sulla terraferma, lasciando Procida e quella camicia. Non tornò mai più. Quattro anni dopo, il 12 aprile 1927, si spense improvvisamente, lasciando un vuoto incolmabile nei cuori di chi lo aveva conosciuto.

La camicia fu custodita dalla famiglia Porta, poi affidata a Salvatore Schiano di Zenise, che ancora oggi la conserva con reverenza. Incorniciata, accanto a una foto del santo, essa riposa su un comodino come una reliquia non ufficiale, ma potentissima nella sua umanità.

Non è un oggetto sacro secondo i canoni ecclesiastici, ma per chi conosce la storia, è un frammento di cielo caduto sulla terra. Un simbolo di carità, di medicina vissuta come missione, di umiltà profonda.
San Giuseppe Moscati non cercò mai la gloria né il riconoscimento. Non fondò ordini religiosi né compì miracoli scenografici. Il suo miracolo fu quotidiano: ascoltare, curare, amare. Nei suoi occhi, ogni paziente era Cristo. Nelle sue mani, ogni ferita era una via verso la salvezza.

Oggi, in un mondo che corre e dimentica, quella camicia ci impone una sosta. Ci ricorda che la santità non sempre brilla. A volte, si sporca. A volte, si bagna di pioggia. A volte, resta indietro, in una stanza, su una sedia, ad aspettare che qualcuno la riconosca per ciò che è: un segno.
Un segno lasciato da un santo nella tempesta.

Autore

  • Leonardo Pugliese

    Leo Pugliese, nasce a Napoli ma vive e risiede a Procida. Giornalista da oltre 20 anni, è laureato in Scienze Politiche ed è stato giovane Ricercatore Universitario. Ha collaborato con diverse testate giornalistiche, diverse TV e programmi televisivi. E' padre di Michela, la gioia della sua vita.

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