Vito Pulizzoto | Una ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Barano nel 2012 e non eseguita dai diretti interessati aveva indotto l’Ufficio Tecnico nel 2017, dunque ben cinque anni dopo, ad applicare la sanzione pecuniaria di 20.000 euro prevista in caso di inottemperanza. Ma introdotta da una legge del 2014. Dunque successivamente all’emanazione dell’ordine di abbattimento. Di qui il ricorso al Tar dei proprietari delle opere abusive, che si sono visti dare ragione dai giudici. E sconfitto il Comune costituitosi in giudizio. Niente applicazione retroattiva, anche se su questo tema la giurisprudenza è divisa. In Italia, si sa, l’interpretazione delle leggi troppo spesso non è uniforme e questo dà luogo a casi controversi, disquisizioni tecniche e scappatoie. Una confusione in cui il cittadino comune non si raccapezza, ma che spesso fa cadere in qualche trappola anche gli “addetti ai lavori”, come nel caso dei responsabili degli uffici comunali.
La storia prende appunto inizio dalla ordinanza di demolizione adottata a febbraio del 2012. Rimasta lettera morta. Ma sta di fatto che solo a febbraio del 2017 la Polizia Municipale aveva accertato la mancata esecuzione e il responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale di Barano ad ottobre dello stesso anno aveva dunque notificato altra ordinanza, stavolta di ingiunzione di pagamento dei 20.000 euro. Una sanzione peraltro applicata nella misura massima.
COMUNE INERTE
Una serie di ritardi – si sa che gli uffici si muovono sempre con ingiustificabile lentezza – che pure sono stati contestati dai ricorrenti.
Ed infatti hanno innanzitutto sostenuto l’illegittimità dell’atto in riferimento alla legge 241/90 e in particolare al potere dovere dell’amministrazione di eseguire le ordinanze: «In quanto, a seguito dell’emanazione dell’ordinanza di demolizione notificata in data 7 febbraio 2012, l’amministrazione comunale aveva il potere – dovere di eseguirla, ossia di portare a termine il procedimento, come previsto dalla stessa norma, il quale dispone che “i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente”, mentre, nel caso di specie, l’ordinanza di demolizione non eseguita nel termine di giorni novanta successivi alla sua notifica, non ha comportato l’immediata emanazione di atti conseguenti, tanto è vero che l’amministrazione ha constatato l’inottemperanza solo con verbale del 18 febbraio 2017, dopo ben oltre cinque anni dal provvedimento».
Evidenziando dunque la colpevole inerzia del Comune, che pure poteva intervenire in tempi brevi con una esecuzione in danno o altre iniziative. Ma che invece aveva atteso cinque anni per procedere. Tra l’altro all’epoca della prima ordinanza il manufatto abusivo era sottoposto a sequestro penale, che rende impossibile anche la demolizione.
SANZIONE ECCESSIVA
Ma il vizio sostanziale è la retroattività della sanzione pecuniaria, che evidentemente ha indotto l’Utc di Barano ad adottare l’ingiunzione. Una interpretazione, appunto. Per i ricorrenti ovviamente un errore, invocando la irretroattività delle norme amministrative. Come riporta il Tar nella sentenza: «In quanto l’illecito ed il provvedimento di demolizione rimasto ineseguito, risalgono a data antecedente alla entrata in vigore della norma che ha previsto la sanzione pecuniaria e l’amministrazione non può reiterare la demolizione, che verrebbe così duplicata, né irrogare la sanzione pecuniaria per la inottemperanza, comminando la pena pecuniaria, trattandosi di analogia in “malam partem” vietata dall’ordinamento. L’inottemperanza all’ordine di demolizione, nel caso di specie, si è verificata il 7 maggio 2012, in epoca molto antecedente alla data di entrata in vigore della legge 164/2014, per cui non poteva essere applicata la sanzione pecuniaria non ancora vigente».
Ai ricorrenti non è “piaciuta” nemmeno l’applicazione della sanzione nella misura massima. Ritenuta immotivata e troppo punitiva. Spiegando nel ricorso che «il provvedimento impugnato, che applica la sanzione nella misura massima, sarebbe viziato anche per difetto di motivazione, dal momento che la costruzione in questione sarebbe conforme alle normative antisismiche, non insisterebbe in zona “rossa” e, quindi, non costituirebbe pericolo per la incolumità pubblica e privata, né sarebbe situata in zona di assoluta inedificabilità in quanto ricadente in zona di ristrutturazione paesistica del Piano Paesistico della Isola di Ischia, per cui gli interventi edilizi in questione sarebbero legittimi e sanabili, ricadendo l’immobile in zona agricola. Né l’area sarebbe caratterizzata da elevato rischio idrogeologico». Sarebbe dunque stata comunque eccessiva la somma di 20.000 euro che il Comune pretendeva.
IL NODO DELLA RETROATTIVITA’
Come detto il Tar ha accolto il ricorso proprio sull’applicazione della sanzione introdotta nel 2014 per una inottemperanza risalente a due anni prima. Un aspetto comunque controverso e dunque i giudici amministrativi spiegano dettagliatamente i motivi della loro decisione: «Il Collegio, infatti, ha ritenuto di aderire alla tesi “secondo cui la sanzione pecuniaria introdotta a partire dal 12 novembre 2014 non può applicarsi retroattivamente a fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore”. E, in particolare, ha ritenuto che “l’applicazione del principio di legalità e tipicità degli illeciti amministrativi e delle relative sanzioni presuppone che la fattispecie prevista (omessa esecuzione nel termine di 90 giorni di un ordine di demolizione emanato per interventi di nuova costruzione eseguiti in difetto di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali) si sia interamente verificata sotto il suo vigore, cioè dopo la data del 12 novembre 2014, nel senso che la sanzione è applicabile a condizione che venga in rilievo un ordine di demolizione comunicato a partire da quella data che sia rimasto ineseguito”».
Un orientamento non unanimemente condiviso, ed infatti la sentenza richiama anche la tesi contraria, ovvero quella che sostiene che «una volta entrata in vigore la l. 11 novembre 2014, il giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U. (avvenuta il medesimo giorno), ricominciano a decorrere i 90 giorni per la demolizione, ai fini dell’applicazione della distinta sanzione pecuniaria ed occorre, pertanto, un nuovo accertamento dell’inottemperanza da porre a base della medesima».
L’INTERPRETAZIONE DELLA NORMA
La Sesta Sezione del Tar Campania però ha ritenuto di non uniformarsi a questa impostazione, rifacendosi alla giurisprudenza di segno contrario. Una impostazione, si legge in sentenza, «che non costituisce applicazione del principio di legalità né il frutto di una operazione di interpretazione e si risolve nella introduzione in via giurisprudenziale di una norma di diritto transitorio che stabilisce che per le ingiunzioni alla demolizione comunicate prima del 12 novembre 2014 il termine di novanta giorni per eseguire la demolizione ricomincia a decorrere da tale data con conseguente applicabilità della sanzione pecuniaria una volta che tale nuovo termine decorra interamente e il ripristino non venga eseguito».
Una norma che però «in realtà non esiste e non può essere introdotta dal giudice in via di interpretazione se non a costo di creare un nuovo illecito (consistente nella mancata esecuzione entro la data del 10 febbraio 2015 delle ordinanze di demolizione comunicate prima della data del 12 novembre 2014) ovvero di applicare retroattivamente la sanzione che, proprio perché sanzione, non può essere applicata se non agli illeciti interamente perfezionati dopo la sua entrata in vigore».
E nemmeno può servire, a sostegno della iniziativa del Comune di Barano, il carattere permanente dell’illecito edilizio, «dato che l’illecito sanzionato non si identifica con la realizzazione dell’opera abusiva (che secondo la costante giurisprudenza è illecito a carattere permanente) ma con la omessa esecuzione nel termine di novanta giorni dell’ordine di demolizione e ripristino».
MANCATA ACQUISIZIONE
L’Utc aveva fondato l’ingiunzione di pagamento della sanzione e la sua difesa in giudizio proprio su quella retroattività negata dal collegio. Ma c’è di più. Quella tesi «si pone in contrasto, sul piano sistematico, con il consolidato orientamento secondo cui per effetto del decorso del termine di 90 giorni fissato per il ripristino l’amministrazione acquista automaticamente la proprietà dell’opera abusiva tanto che “l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa”».
E dunque: «Se per effetto del decorso del termine per la demolizione il destinatario dell’ordine è spogliato automaticamente della proprietà (tanto che l’atto successivo di acquisizione ha carattere dichiarativo di un effetto già automaticamente verificatosi) non è possibile ipotizzare la decorrenza dal 12 novembre 2014 di un nuovo termine di 90 giorni per demolire, venendo in rilievo un immobile di cui l’interessato non è più proprietario e del quale non potrebbe più disporre». Ma in questo caso l’Ente non si era attivato nemmeno per intraprendere la strada dell’acquisizione.
Niente da fare, dunque. Quei 20.000 euro non finiranno nelle casse del Comune di Barano. A cui va solo un “contentino”. Nonostante l’accoglimento del ricorso, il Tar ha deciso infatti di compensare le spese di giudizio «in considerazione dei contrasti giurisprudenziali esistenti in materia». Come a dire che dopotutto, anche se si ritiene errata l’iniziativa del Comune, non mancavano in questo caso le “giustificazioni”.