4WARD di Davide Conte
“I sogni son desideri di felicità | nel sogno non hai pensieri esprimi con sincerità | Si vede chissà se un giorno | la sorte non ti arriderà | tu sogna e spera fermamente | dimentica il presente | e il sogno realtà diverrà.” (da “Cenerentola” – Walt Disney).
Quanto è importante sognare? Amo ripetere spesso che, a mio giudizio, è gratis e fa bene. Ma è altrettanto vero che al di là di questo concetto vagamente psicosomatico, vivere nel cosiddetto mondo dei sogni può rappresentare un’arma a doppio taglio, il modo più semplice, innocente e al tempo stesso pericoloso di allontanarsi da quella realtà che, nonostante tutto, ci circonda e ci mette quotidianamente alla prova.
Sogni ed obiettivi viaggiano spesso su binari paralleli, ma che rischiano di incrociarsi molto più facilmente di quanto si possa pensare. Un confine troppo sottile, quello che li divide, proprio come la possibilità che in particolare tra i giovani, un volo pindarico di troppo possa disorientare e finanche disadattare un’esistenza.
“Ama il tuo sogno se pur ti tormenta” è una citazione di Gabriele D’Annunzio che amo molto e che ritrovo quotidianamente in una mattonella di ceramica smaltata, posta da anni nell’androne di casa materna. Ne ho fatto una ragione di vita e tuttora mi identifico molto in essa. Ciononostante, quando rifletto sul momento che stiamo vivendo rapportandolo inevitabilmente al futuro dei miei figli, mi chiedo quanto farei bene a trasmettere loro questo genere di ambiziosità, quel “pensare in grande” stile Donald Trump che certamente fa autostima, ma che potrebbe comportare, oggi come oggi, un cammino antitetico alla grande necessità di oculatezza e spirito di sacrificio indispensabili anche ai giovani delle migliori famiglie.
Le notizie che provengono dal mondo del lavoro, dell’economia, della finanza e men che meno dalla politica, non sono certo incoraggianti. Sono arrivate a quattro milioni le famiglie italiane entro la soglia di povertà, la disoccupazione è ancora alle stelle e, come se non bastasse, anche quelle facoltà universitarie e quei master che in passato rappresentavano assoluta certezza di trovar lavoro, oggi stentano a far breccia nei confronti di quei contesti privati oggi diventati quasi off limits anche per i più bravi e meritevoli.
In altre parole, viviamo in un periodo in cui è fin troppo facile vedersi sottrarre la gioia dei propri sogni. E se questo può in qualche modo essere tollerabile per un over 45, ad un neo-diplomato o un laureando appare tutt’altro che un incoraggiamento. Ricercare motivazioni sufficienti a giustificare i propri sacrifici in funzione di un domani in cui le certezze sono ancor meno di quelle evocate da Lorenzo de’ Medici nel quindicesimo secolo è un’impresa sempre più ardua e, per quanto ne so, stratificata in modo ormai abbastanza omogeneo tra nord e sud. Ma allora, non ci resta che piangere?
Un inguaribile ottimista come me non può non identificare la strada della speranza, anche in un panorama desolante come quello di un’isola che stenta a reagire rispetto alle continue spallucce di una classe politica incapace di affrontare problemi ed esigenze sociali di qualsiasi entità. E’ complicato trovare stimoli per non rassegnarsi e tentare la via della fuga, rifugiandosi dietro soddisfazioni sempre più rare e difficili da duplicare; ma il buon senso ci impone di dover proseguire e, nella speranza, cercare di spianare la strada all’intraprendenza e, perché no, ai sogni di chi stiamo precedendo in questo cammino.
E’ senz’altro un’opera difficile, ma oggi tocca proprio a quelli come me ed ai miei coetanei, posti perfettamente a metà strada tra la fabbrica dell’esperienza dei nostri anziani e l’acerba esuberanza della gioventù, a trovare il modo migliore di incoraggiare i giovani a esplorare correttamente i loro bisogni, le loro ambizioni, il loro irrefrenabile entusiasmo di vivere. Lo studio, la formazione, la specializzazione, armoniosamente abbinati ad una ricca esperienza sul campo e, ove possibile, in giro per il mondo, rappresentano ancora il viatico migliore per una visione globale delle opportunità che non possono e non devono fermarsi al proprio cortile. Ma soprattutto, è fondamentale offrire loro un progetto reale per sintetizzare al meglio tutto ciò e, con l’aiuto del Buon Dio, cercare di concretizzarlo adeguatamente.
Il naturale egoismo di chi vive una realtà ristretta come quella insulare deve necessariamente cedere il passo ad un gioco di squadra che faccia bene a tutti, sia a chi dà, sia a chi riceve. Chiunque, ovunque possibile, dovrebbe imparare a spendere una piccola porzione del proprio tempo e del proprio vissuto a favore delle nuove generazioni, che in un modo o nell’altro potranno farne tesoro. E chissà che in un futuro tutt’altro che remoto, anche il ruolo dell’amministratore pubblico sulla nostra Isola, forte di tale consapevolezza, non riesca a rientrare in quei ranghi di nobiltà a cui il munus per eccellenza (quello derivante, cioè, dal mandato elettivo popolare) proprio non dovrebbe derogare.
Comunque sia, abbasso i ladri di sogni! Tutti.