La politica italiana sta per arrivare nuovamente al capolinea. Con l’ufficializzazione della data del voto per il prossimo 4 marzo si è dato il “via” ad una campagna elettorale che, se vogliamo, era già cominciata da tempo. Da entrambi gli schieramenti ascoltiamo proclami, buoni propositi, dichiarazioni d’ogni genere a supporto di una vittoria finale a cui tutti anelano ma che, per il momento, è affidata solo alla relativa credibilità ed attendibilità dei sondaggi più che consentiti in questa fase, nonché all’acume politico di chi è solito masticare previsioni abbastanza fondate ma che, con il quadro attuale, lasciano il tempo che trovano.
Parlavo di capolinea, all’inizio, proprio per questo! Oggi è realmente difficile abbozzare una previsione. Se è inequivocabile l’ascesa del centrodestra nonostante la quasi sicura incandidabilità di Silvio Berlusconi (comunque fortemente in campo a recuperare la media di un punto al mese per tutto il centrodestra), al pari della flessione di un centrosinistra sempre più martoriato dalle sue stesse compagini interne, dall’altro resta l’incognita di un’antipolitica che, per quanto mitigatasi negli ultimi mesi, conserva le sue roccaforti sia tra i possibili astenuti (ancora superiori ad un terzo degli aventi diritto) sia tra i seguaci del Movimento Cinque Stelle, buon secondo polo nelle previsioni di tutti i principali istituti demoscopici. E se l’impostazione berlusconiano-salviniana di “parlare alla pancia” degli Italiani sta dando ottimi frutti, forte anche dell’esempio vittorioso di Trump negli Stati Uniti (ne riparliamo più avanti), è altrettanto vero che la sete degli Italiani di sentirsi dire ciò che ci si aspetta di ascoltare da un politico è sempre più forte. Tutto passa in secondo piano, in primis la visione di uno stato moderno, efficace ed efficiente in ogni sua azione: una lacuna che, a quanto pare, continuerà a penalizzarci anche nei prossimi anni, proprio perché manca finora una reale presa di coscienza della necessità di cambiare marcia nel gestire ciò che è di tutti.
Ma soprattutto, c’è da dire che al momento nessuno tra i candidati alla vittoria finale, anche tenuto conto del fatto che di veri neofiti in giro non ne riusciamo a scorgere, può aspirare a una sorta di blind trust da parte dell’elettorato rispetto alla capacità (e perché no, alla volontà) di rispettare fedelmente i propri impegni programmatici (chiamatele, se volete, promesse) una volta al Governo del Paese. In questo il buon Presidente Trump casca proprio a fagiolo: meno di un mese fa sono stato in California e ho avuto modo, placando la mia consueta sete di curiosità, di confrontarmi con molti americani (amici e non) rispetto all’operato del loro Presidente. E’ evidente che l’abilità di rendersi simpatico non sia esattamente il suo forte, ma posso assicurarVi che finanche i più ostinati democratici riconoscono senza indugio al tyconn la ferma volontà –unitamente alla capacità- di rispettare quanto promesso nella lunga ed estenuante campagna elettorale americana. La drastica riduzione delle tasse, che peraltro non ha intaccato di un centesimo i benefici ritenuti importantissimi dalla borghesia americana, a cominciare dalle detrazioni fiscali sui proventi da fitto delle seconde case (sì, avete capito bene: in Italia quando si fitta un’abitazione lo Stato pretende tasse a go-go; negli States, invece, si riducono le tasse a chi incassa il fitto di una seconda casa), è un risultato ampiamente sbandierato da Trump nella sua cavalcata verso la Casa Bianca. Il chiacchieratissimo muro a difesa dei clandestini messicani è tutt’altro che sgradito, specialmente dai Californiani, che salvano una piccolissima percentuale dei loro “vicini” nel novero delle persone perbene, relegandone invece la stragrande maggioranza tra delinquenti e incivili di vario genere. E, giusto per chiudere, lo stesso riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello stato d’Israele è stato sistematicamente promesso da tutti e tre gli ultimi presidenti americani, salvo poi rimangiarsi l’impegno nell’ambito dei loro mandati, mentre Trump lo ha detto e lo ha fatto. A quanto pare, questo genere di “politico” risulta estremamente gradito alla gente comune, tant’è che le già fitte previsioni in corso verso le prossime elezioni americane, a meno di una discesa in campo di Mark Zuckerberg tra i democratici o per un filone totalmente estraneo a questi come ai GOP, vede il Presidente già nettamente favorito per la riconferma.
Ischia, come e più di sempre, sembra distinta e distante tanto dall’Italia quanto dal mondo intero. In tanti sono convinti che la nostra isola rappresenti il centro dell’universo, proprio perché dall’isola ci si allontana poco e ci si confronta ancor meno con le realtà che contano, rispetto alle quali restiamo un piccolo territorio che, per quanto importante, è solo uno dei tanti tasselli che compongono il puzzle della nostra nazione. Continuiamo a ignorare tanto l’insipienza della stragrande maggioranza dei nostri amministratori locali quanto l’assenza di iniziative politiche serie che possano in qualche modo instradarci verso una scelta di campo utile al voto nazionale ormai imminente. Ma questa volta, a mio giudizio, non sarà la simpatia o la sempre più latente ideologia ad indirizzare la preferenza in cabina: sono fortemente convinto, infatti, che sarà proprio la credibilità dei singoli candidati, sia quelli nei collegi locali sia i leader nazionali di ciascuno schieramento, a ispirare la fiducia del singolo elettore con una –seppur apparente- capacità di dimostrarsi in grado di rispettare gli impegni del proprio programma elettorale, condivisibile o meno che sia.
Il proscenio di questi prossimi, intensissimi tre mesi di effettiva campagna elettorale ci riferirà molto presto a cosa stiamo andando incontro e se, in fin dei conti, c’è ancora qualcosa di positivo in cui poter sperare.