Leader nello spogliatoio, capitano in campo. Da oltre un decennio in pianta stabile nel gruppo gialloblù, Davide Trofa è uno dei pilastri dell’Ischia Calcio. Domenica scorsa, in occasione della gara contro il Budoni, il centrocampista è stato premiato dalla società per le 300 presenze raggiunte. Il duttile mediano isolano si è raccontato in una lunga intervista ai nostri microfoni.
Benvenuto al capitano dell’Ischia, Davide Trofa, dopo aver raggiunto la soglia delle 300 presenze con la maglia gialloblù. Più volte abbiamo parlato del tuo impegno con l’Ischia, prima di analizzare queste lunghe 13 stagioni, quando hai dato il primo calcio al pallone?
“Ho iniziato da piccolino perché avevo un campetto vicino casa dove andare a giocare, insieme a mia sorella Ida, che mi portava con lei. Volevo giocare a tutti i costi anche se erano tutti più grandi e giustamente, come accade, all’epoca i più piccoli andavano in porta. Mi mettevano in porta e prendevo certe pallonate perché, anche se ero piccolo, non importava, la partita era sempre importante e quindi si tirava forte uguale. E questo inizio mi ha fatto appassionare. Poi c’è quel richiamo che sente ogni giocatore che vuole andare in campo per giocare e divertirsi.”
Parliamo di un campetto in zona Maio a Casamicciola, una zona poi purtroppo colpita da due eventi tragici. Il calcio comincia ad essere quello giocato. Si lascia il campetto e inizia l’attività giovanile e quindi l’avventura nella scuola calcio.
“Ho iniziato verso i dieci anni, non a Casamicciola perché non c’era una scuola calcio. Dopo aver giocato nel campetto vicino a casa, guardando le pubblicità di Pino Taglialatela, grazie a mio zio che ci teneva molto e mi accompagnava lui a Ischia, ho iniziato a giocare con il Campagnano, la società che ha poi lanciato tanti giovani calciatori. Eravamo il Campagnano “E” e il mister era Gennaro Pilato, Vangal”. Lì ho iniziato la trafila della scuola calcio.”
Poi arrivano le Juniores e le prime squadre cominciano un po’ a vedere questo centrocampista che aveva fisico, forza, intensità e voglia
“Ma io ho sempre giocato per il piacere di giocare. È il mio divertimento. Ero giovane, ma al di là delle categorie, non mi interessava dove si giocava, io potevo stare anche in strada, volevo giocare a calcio e dare tutto, insomma, sempre. Raggiunta l’età dei 15/16 anni, purtroppo non si può giocare più con i compagni perché o si continua a giocare e purtroppo finisce arrivando alla Juniores, il calcio finisce a un certo punto, o si inizia a giocare in una prima squadra. C’è stato il Lacco Ameno dove ho fatto due anni lì e poi sono passato all’Ischia”.
Ad Ischia hai giocato un po’ in tutte le squadre. Ma arriviamo all’Ischia e proviamo a raccontare di queste 13 stagioni in gialloblù che coprono un bella parentesi nell’arco di anni, un po’ di presidenti, di società, di gioia, di delusioni. Proviamole a raccontarle
“Ho iniziato a Lacco Ameno con mister Franco Impagliazzo, Taratà. E domenica, quando la società mi ha consegnato questa targa, è stato molto emozionante. E appena l’ho visto, gli ho detto “Questo guaio lo hai fatto tu”. In qualche modo lui mi ha portato a fare queste 300 partite, perché poi lui passò all’Ischia e dopo mi ha voluto fortemente. La prima partita l’abbiamo fatta in Coppa Italia. Era un autunno e giocammo di pomeriggio contro la Nocerina pareggiando”
In queste 13 stagioni ce ne sono state 15 presenze nei campionati professionistici dell’Ischia. Però tu hai sempre fatto il professionista al di là della categoria.
“Ma a me piace solo giocare al calcio, al di là della categoria, al di là del luogo e del posto. A me fa piacere giocare anche con gli amici, se mi chiamano per fare una partita dico sempre sì. Il calcio è quello che mi fa piacere e oggi, guardando dietro, lo trovo pure una cosa normale. Non è che è una cosa che mi pesa, non è un lavoro, uno sforzo, è una cosa che faccio con piacere”
E questo lo vediamo anche noi dagli spalti che tu trovi piacere e forza, e questo ci arriva soprattutto dalle testimonianze che abbiamo sentito in sala stampa di recente. Anche parlando con i vari giocatori che sono arrivati e che magari arrivavano da categorie più importanti, hanno sempre trovato in te una persona che fa sul serio, che prende l’impegno, che tiene allo spogliatoio come una cosa seria.
“La partita è lo specchio della settimana. Ho sempre detto che se ti alleni bene, sicuramente hai più probabilità di fare bene la domenica. Invece, se logicamente si tralasciano delle cose e ti applichi meno, la domenica verrà fuori quello che è il prodotto della settimana. Ma questo penso sia nel calcio come nella vita in generale; quindi, la cosa la devi fare bene. Se non fai bene, è inutile”
Tanti gol, 30 in totale. Quale ricordi di più?
“Forse il gol che feci a Grottaglie. Venivamo da un periodo difficilissimo. Partimmo vento in poppa, e vedevamo cambiare le cose, c’era una società ricca, insomma, e venivamo da anni in cui si era fatto poco e arrivammo a novembre quando praticamente andarono via tutti e rimanemmo solo noi giocatori del posto più qualche aggregato della Juniores. C’era mister “Billone” Monti, che era subentrato a Taratà. Andammo a giocare, da novembre ci ritrovammo con una squadra, diciamo un’accozzaglia di giocatori tra giovani e qualcuno che era rimasto di noi isolani, per cui io, Billoncino, Isidoro e poi gli aggregati della juniores. Era un periodo che non riuscivamo ad ottenere risultati, fu la prima vittoria che riuscimmo a raggiungere al 93esimo. E fu una bella gioia”
Veniamo un po’ più ai tempi recenti. L’anno scorso in Eccellenza è stato un campionato trionfante con un numero importante di giocatori ischitani e mi collego a quello che dicevi prima e poi fino al torneo attuale. Ma noi siamo scaramantici, non diciamo un altro, un campionato con una classifica che ci sorride. Una serie di risultati dovuti anche alla collaborazione di Pino Taglialatela, di Enrico Buonocore e anche del direttore Mario Lubrano. Proviamo a raccontare gli ultimi due anni che sono forse quelli che poi sono pure più belli.
“L’anno scorso credo sia stato il coronamento di un piccolo percorso. Perché comunque anche durante l’era D’Abundo, che aveva improntato una linea guida, abbiamo giocato solo noi giocatori isolani e anche la guida tecnica isolana. Il presidente aveva lanciato un’idea di calcio, di fare calcio. Poi purtroppo abbiamo perso una finale contro la Mariglianese che ci poteva portare al salto di categoria. E quello è stato un grosso rammarico, un dispiacere grosso anche per gli sforzi dei miei compagni isolani che erano con me.
La vittoria dell’anno scorso, l’ho dedicata anche a loro, è stato uno sforzo che ho fatto anche per chi non c’era più, sapevo come avessero sofferto per quella partita persa. Quindi ho fatto di tutto anche con l’aiuto dei miei compagni e con l’aiuto del mister per far sì che, con questa vittoria, l’Ischia tornasse in un campionato più consono alle sue idee e al suo blasone. La componente del mister e del direttore sportivo ha permesso, anche con le caratteristiche dei giocatori isolani come Florio, Chicco Arcamone, Carlo Mazzella e non voglio dimenticare alcuni di loro; quindi, dico tutti quelli che c’erano l’anno scorso, che si prendessero quelle due o tre pedine dalla terraferma che potessero essere fondamentali per improntare un’idea di calcio e far sì che l’Ischia potesse essere competitiva, raggiungendo l’obiettivo del campionato”.
L’allenatore che più ha lasciato un’impronta
“Molti dicono che sono affezionato a Taratà, che sono un “taratatino”. E’ stato il mio primo allenatore tra i grandi, ma condivido comunque qualcosa con chiunque abbia avuto come allenatore. Penso che la sua sfrontatezza tra virgolette, la sua autostima e convinzione, credere in sé stessi, sia una cosa molto importante per qualsiasi allenatore e diciamo anche le sue idee, uno che si occupa solo della sua squadra, non degli avversari. È uno che mi è rimasto molto dentro. Poi logicamente ognuno a suo modo mi ha lasciato qualcosa Enrico è una persona che ci mette passione, ha le sue idee”.
Davide è un argomento che forse ai giovani calciatori interessa relativamente meno, ma all’ambiente e a tante persone invece potrebbe significare qualcosa di più. Sei tornato in campo adesso dopo un infortunio. Purtroppo non sei più un giovanotto, dove si trova la forza per reagire a un infortunio e per ritornare un’altra volta in campo, ad indossare la maglia e sognare non solo la fascia da capitano, ma soprattutto la maglia da titolare.
“Ripeto, è quello che dicevo prima, è il piacere di fare qualcosa. Se lo fai senza piacere diventa difficile. Poi, dopo la prima difficoltà ti arrendi. Non nascondo che comunque è dura, perché comunque poi ritrovare il ritmo, ritrovare te stesso diventa più difficile, diventa più faticoso. Magari il percorso diventa un po’ più lungo, perché magari certe volte recuperi in uno o due giorni. Ora per recuperare ci vuole un po’ più di tempo, quindi ci vuole pazienza, non abbattersi logicamente e insistere”.
Hai mai sognato magari di entrare nella storia di una società con 300 presenze. Quando hai realizzato che erano 300 partite con quella maglia, cosa hai pensato?
“Non lo ho ancora realizzato perché, se non ci fosse stata questa sorpresa domenica, non ci avrei mai pensato alle presenze. Non l’ho mai guardato perché sono cose che non mi interessano. Logicamente poi escono fuori, diciamo è normale che ti giri e dici: “Forse abbiamo fatto un percorso lungo”. La realtà è che non ci ho riflettuto, non ci ho pensato. Se non me lo avessero detto, non lo avrei saputo nemmeno”.
E parliamo di Davide Trofa di domani. Spesso ti abbiamo visto con la macchina carica di ragazzini, carica di zainetti, di cinesini, con tuo figlio Francesco e con tutti quanti gli altri. Come sta andando avanti? E’ un altro tipo di calcio che ti sta prendendo?
“Mi piace perché sinceramente con i ragazzini penso che sia la cosa più bella. Cerco di dare loro qualcosa. Una possibilità, di accendere una fiammella. Io non penso che per allenare o per essere istruttori dei piccoli ci voglia chissà cosa, bisogna accendere la passione e cerco di farlo dando tutto me stesso, nel senso che è un piacere, perché è veramente un piacere vedere la loro felicità, la loro gioia e spero almeno di accendere la passione in loro per questo sport”
Cosa si prova a indossare la fascia di capitano?
“E’ una responsabilità in più, perché comunque è un’aspettativa in più da parte dei tuoi compagni e da parte del pubblico. E’ una cosa che comunque ti fa onore. Però poi quando parte il calcio e quando la palla inizia a rotolare, non è che pensi più alla fascia, perché qualsiasi sia il tuo compito, ognuno pensa sempre a fare il meglio. A mente fredda è una responsabilità in più, ma non pesa più di tanto. Anzi, è solo una cosa per chi vede, non per chi la indossa!”
In conclusione, quest’anno è un po’ particolare perché c’è l’obbligo dei quattro under, quindi con voi si devono integrare anche i ragazzini 2005, 2006, potrebbero essere quasi tuoi figli. Come si riesce a trovare la forza di puntare su questi ragazzi e magari anche responsabilizzarli, renderli partecipi di un gruppo.
“Il campionato di serie D logicamente è cambiato. Poi io penso che sia proprio per i giovani. Sono contento perché siamo riusciti a portare l’Ischia in Serie D proprio per questo. Due anni fa, quando perdemmo lo spareggio, ero rammaricato proprio per questo. Portare l’Ischia in Serie D vuol dire che i ragazzi migliori che sono sull’isola, comunque verranno attirati dalla prima squadra e si troveranno in Serie D. Con la regola degli under avranno un’opportunità in più per dimostrare il loro valore. E’ una cosa importante per i giovani, mentre magari se sono ancora in Promozione o in Eccellenza logicamente il migliore 2005 o 2006 sarebbe di valore, ma comunque in un campionato regionale. Quindi maggiore è la categoria, più il ragazzo avrà l’occasione di potersi far valere e sono contento. E poi logicamente la forza in campo si trova nel gruppo, siamo undici persone e siamo tutti in grado di giocare con il compagno, non è come il tennis che devi giocare da solo, quindi la palla si passa al sedicenne come la si passa al trentenne.”
I sogni nel cassetto di Davide ce ne sono ancora qualcuno da realizzare
“Veramente penso a giocare e a divertirmi giorno per giorno. Poi, come ho sempre preso la realtà, penso a giorno per giorno. Quello che viene domani, vediamo”