L’altroieri sera tornavo da Pozzuoli a Casamicciola con la nave delle 18.30. Mentre la “Maria Buono” completava la sua evoluzione in porto, da un oblò ebbi modo di ammirare lo specchio acqueo compreso tra il molo di sopraflutto e la punta di Monte Vico. Non esagero se affermo che mi sono quasi emozionato; sembrava un lago e i colori della prima sera, o se preferite del giorno che sta per volgere al termine nella sua luce naturale, rendevano quel paesaggio particolarmente affascinante. E per un appassionato diportista nautico come me, era fin troppo facile pregustare una gita pasquale in barca, magari verso la vicina Ventotene, incontrando come spesso accade il solito branco di delfini stanziali che scorrazzano intorno al canyon di Cuma.
Solo pochi giorni prima, insieme a Orso e Nepal (i miei due setter inglesi), avevo ripercorso uno dei miei soliti itinerari venatori ischitani, partendo a piedi dal sentiero che si inerpica nei pressi del maneggio di Fiaiano giungendo fino a Buceto, Trippodi, la piana di San Paolo, le antenne dell’Epomeo, Toccaneto, Buttavento e dintorni. Anche in quel caso, ringraziare Dio di avermi offerto la rinnovata gioia per gli occhi nell’ammirare una natura incontenibile nella sua rigogliosità e nei panorami di rara bellezza che offre man mano che ci si addentra in quei boschi, mi è parso più di un semplice atto dovuto.
Eppure, tutto questo e molto altro è parte integrante dei miei cinquantuno anni vissuti da ischitano autoctono e innamorato perso di quest’Isola; quindi potrebbe apparire risibile stupirsi e restare affascinato ancora oggi di ciò che conosci fin troppo bene e che hai a disposizione intorno a te ogni giorno della tua vita. Non è così? Del resto, lo stesso famoso “beato te” o “beato lei”, riservato a noi Ischitani secondo i casi da chi ci incontra per la prima volta e che viene a sapere dove viviamo, ci sembra a volte una specie di tiritera, quasi una presa in giro per chi vede solo il “buono” di casa nostra, ignorando i mille limiti che pur ci appartengono.
Vedete, forse il nostro problema è proprio questo! Siamo troppo abituati alla bellezza che ci circonda al punto da trascurarne la straordinarietà, ottenebrati da un’inconsapevole voglia di normalità che, nel caso di specie, tale non può essere. La nostra visione superficiale e deviata di tutto quel che è nostro più d’ogni altra cosa ci porta non solo a dimenticarne il valore, ma anche e principalmente a diventare totalmente noncuranti della necessità di salvaguardarlo più di qualsiasi altro patrimonio materiale, a cui invece diamo sistematicamente precedenza.
Il mio compianto amico “zio” Ernesto Federico, caprese d.o.c. che ha preferito vivere e investire ad Ischia, teneva sempre a sottolinearmi un aspetto a dir poco terribile che distingue gli abitanti delle due isole: “Vedi –mi raccontava-, se chiami cornuto un caprese poco gli importa, ma se gli tocchi Capri è capace di ammazzarti. Con gli Ischitani, invece, succede l’esatto contrario. Ad Ischia abbiamo l’oro puro nelle mani ma lo trattiamo come piombo”. Sono passati tanti anni, ma neppure la crisi chiamata in causa di anno in anno un po’ da tutti e i postumi del 21 agosto (questi ultimi sicuramente gravissimi per tutta la nostra Comunità e non solo per il Majo e il Fango), contrariamente a quanto teorizzava Albert Einstein, sono riusciti a piegare la nostra indifferenza e, perché no, l’ignoranza ricorrente di chi pensa che ancora una volta tutto si aggiusterà da sé.
Questo modo di fare, della serie “simme tutte purtuall” (per chi legge fuori dall’Isola, l’espressione SIAMO TUTTI ARANCE sta a indicare una sorta di qualunquismo che tende a mettere tutti noi, indistintamente, sullo stesso piano), o se preferite “campa cavallo che l’erba cresce”, non ci consentirà di resistere ancora troppo a lungo. Anche i migliori propositi, dalle nostre parti, si fermano ancora oggi alle mere enunciazioni, cedendo il passo alla necessità spasmodica di perseguire obiettivi personalistici e non certo quell’interesse comune che, se opportunamente tutelato, diverrebbe la polizza vita dei primi e, soprattutto, delle generazioni a seguire.
Ma quanto potrà durare ancora tutto questo? Non bisognerà mica toccare il fondo sul serio, prima di capire che bisogna agire concretamente ed evitare di essere sorpassati, in fatto di turismo, da nuove realtà come il Salento, dove sia il territorio sia l’Ospite sono rispettati per tutto ciò che sono in grado di darci e non considerati semplicemente strumento di arricchimento da sfruttare a tutti i costi e fino alla fine…
Io credo che il nostro primo step da compiere sia rappresentato dalla necessità di innamorarci nuovamente della nostra terra, di rimetterla al centro di ogni nostra azione, di disabituarci a tutto quanto di meraviglioso ci circonda restandone piacevolmente sorpresi ogni giorno di più. Solo questa forma di amore ritrovato, di volontaria disabitudine, di cittadinanza ischitanamente attiva e sostenibile (che dovrebbe anche comportare una maggiore conoscenza dell’Isola a tutto tondo visitando finalmente quei luoghi di cui molti hanno solo sentito parlare ma non sanno neppure come raggiungerli) può dare il via alla svolta che tutti ci aspettiamo.
Sarò noioso, non è certo la prima volta che Ve ne scrivo. Ma chissà, col tempo, insistendo…