Rubriche | Attori & Spettatori di Anna Fermo | I fronti giudiziari dinanzi ai quali Alessandra Todde dovrà difendersi sono due : il primo è quello aperto dal Collegio di garanzia elettorale (Co.re.ge) che ha chiesto al Consiglio regionale di dichiararla decaduta dalla carica di onorevole, con un provvedimento che chiuderebbe la legislatura per dare luogo a nuove elezioni, ed il secondo, quello penale, perché sono gli stessi membri del Collegio, nell’ordinanza-ingiunzione notificata venerdì al presidente del Consiglio Piero Comandini, a comunicare che il fascicolo relativo alla candidatura della presidente è stato trasmesso alla Procura della Repubblica.
Da una parte dunque il ricorso davanti al tribunale ordinario, dall’altra la questione politica in Consiglio regionale. La vicenda, davvero complicata, tra l’altro assurge a primo caso nella fattispecie sullo scenario nazionale.
Così, da oggi, 7 gennaio, il provvedimento sarà sul tavolo della Giunta per le elezioni e l’atto inizierà ad essere affrontato prima con incontri informali e poi in una seduta ad hoc che sarà convocata dal presidente dell’organismo consiliare composto da nove consiglieri tra i quali 5 della maggioranza del campo largo e 4 delle opposizioni. I componenti dovranno quindi studiare le 10 pagine ed i 7 punti indicati nell’atto notificato i giorni scorsi alla presidente della Regione e che vede, al centro, le irregolarità nella rendicontazione delle spese elettorali di 11 mesi fa. Alla luce degli approfondimenti, poi, ci sarà da sciogliere il nodo sul se l’assemblea legislativa sarda possa solo fare una mera presa d’atto del provvedimento del collegio elettorale, o se possa decidere in maniera diversa.
Ecco servito l’ “affaire Todde”, dinanzi al quale la governatora intende comunque andare avanti, “resto dove sono per amore del popolo sardo”, e della questione, come ribadito anche nel corso dell’ultima conferenza stampa, dichiara: «se ne occuperanno gli avvocati». E poi anche il Consiglio regionale.
I tempi non saranno affatto brevi perché a dettare la linea sarà il ricorso davanti al giudice del tribunale ordinario, istanza che poi si intreccerà con l’attività portata avanti dal Consiglio regionale tirato in ballo proprio dall’ordinanza-ingiunzione che ha disposto, come citato, tra l’altro, (oltre a comminare una sanzione da 40 mila euro) «la trasmissione al presidente del Consiglio regionale per quanto di sua competenza in ordine all’adozione del provvedimenti decadenza di Alessandra Todde dalla carica di presidente della regione» e la «la trasmissione degli atti alla Procura stante le anomalie nelle dichiarazioni depositate».
Il “soccorso” alla presidente con tutti i livelli del centrosinistra schierati in difesa del suo operato in prima battuta non è mancato: dai vertici nazionali ai sindaci sardi eletti con le coalizioni di centrosinistra, sino ad arrivare a Conte ed alla Schlein. Tuttavia, nelle ultime ore si comincia a registrare il fuggi fuggi., altro che «piena fiducia» nella Governatrice.
“I fatti esposti nell’ordinanza a sostegno delle sette contestazioni sono chiarissimi e tutti documentali, gravi abbastanza – a giudizio del Co.re.ge – da determinare la decadenza della presidente dalla carica di consigliere regionale. Ma al di là del ricorso al tribunale civile già annunciato dal difensore Stefano Balletto e dei tempi di applicazione del provvedimento, il confronto aperto fra i giuristi verte soprattutto su un punto: tra la presunta violazione della legge sulla trasparenza elettorale e il rispetto della volontà dei cittadini che hanno eletto a maggioranza l’esponente del M5S, cosa deve prevalere?”.
E’ un interrogativo che non possiamo non fare anche nostro, rafforzato non a caso proprio dai dubbi che tutti cominciano ad avere rispetto alla consapevolezza da parte della candidata presidente.
A leggere le conclusioni del collegio sembra che a dimenticare colpevolmente di nominare un mandatario, di aprire un conto corrente bancario dedicato alle spese elettorali e di produrre un rendiconto intestato alla candidata sia stato il comitato elettorale del M5S, coordinato dal parlamentare Ettore Licheri, ma ciò, quand’anche fosse, dimostra la leggerezza grave della governatrice.
Ben oltre i retroscena più o meno attendibili, come quelli che vedrebbero una Italia Viva responsabile dell’attacco alla Todde , c’è in verità un dato che emerge su tutti, come è stato osservato: “in prospettiva grillina, la fine del 2024 ricorda quella del 2014”…”Allora come oggi l’assurdo movimento-setta fondato da un comico in disarmo e da un informatico in fama di visionario, qualsiasi cosa volesse dire, sembrava sull’orlo dello scioglimento: le ultime tornate elettorali, amministrative ed europee, risolte in puntuali disfatte, il caos a regnare sovrano tra l’inettitudine dell’intera truppa parlamentare, le faide a minare le fondamenta di un partito di cartapesta, il guru che non nascondeva la sua volontà di sbaraccare per tornare ad altri palchi”… “La magistratura scoperchiò l’ennesimo calderone bancario e siccome le banche più esposte erano riconducibili al premier Renzi e al suo ministro Maria Elena Boschi (sarebbe ovviamente finita in nulla di fatto), Grillo trovava una sponda inattesa, intensificando la propaganda forcaiola con cui riconquistare i voti degli idioti in servizio permanente. Premiato alle comunali della primavera dell’anno successivo, che rilanciavano il “Movimento” a Roma e a Torino con due “sindache” donne, Virginia Raggi e Chiara Appendino, a dispetto di avventure amministrative tragicomiche, Beppone poteva costruire l’ascesa fino al governo, al politico di laboratorio Conte che non sapeva gestire la pandemia e abusava in abusi”.
Ecco, 10 anni dopo, “fondatore ed usurpatore” si sono affrontati lasciando sul campo una stella morta e mine vaganti in giro come la governatora Todde. “Come dieci anni fa, come sempre, il ridicolo si sovrappone al tragico”.
“Impugnerò la notifica della corte d’Appello nelle sedi opportune”: è una dichiarazione che dal giustizialismo moralistico lancia gli ultimi paladini penta stellati verso la paranoia del complotto.
Come dimenticare che volevano “aprire il Parlamento come la scatola del tonno” per poi, una volta entrati, scoprire che c’era più caviale che tonno, motivandosi a restare ad ogni costo? Quanto accade oggi, non sorprende affatto: quando un grillino finisce nei guai si salva accusando il mondo intero di qualsiasi crimine. E’ un dato di fatto che dalla fondazione del loro movimento non hanno combinato altro che disastri e che i danni accumulati sono incalcolabili: tra bonus, sussidi e banchi a rotelle, per tacere delle cinquecentomila imprese morte sotto pandemia, è stato tutto un trionfo dell’irresponsabilità.
Adesso invocano il garantismo? Ma sono seri?
Interpretano strumentalmente a seconda del momento, dell’interesse di parte e dei propri comodi politici e no i fatti e la vicenda della governatrice sarda,ne è solo l’ultimo esempio.
La posizione assunta dai 5stelle e dal Pd stride palesemente, solo per fare l’esempio più eclatante, con la tesi che sposarono quando il Senato votò la decadenza di Silvio Berlusconi. Oggi c’è un automatismo nell’applicazione della decisione assunta dalla magistratura, perché il potere di far decadere o meno la governatrice spetta al Consiglio regionale, all’epoca, invece, per il Cavaliere, dai grillini al Pd ufficiale, alla sinistra radicale, dal Fatto di Travaglio a Report, tutti sostennero l’idea, nella loro paradossale interpretazione della legge Severino, che il voto dell’aula di Palazzo Madama fosse solo un rito che doveva ratificare la decisione «sovrana» dei giudici.
Il presidente del Senato dell’epoca, Pietro Grasso – come ricorda Elio Vito, ai tempi parlamentare di Forza Italia, in un suo libro di memorie – nel caso di Berlusconi «stabilì che il voto del Senato dovesse essere palese e non segreto, a differenza di quanto prevedono i regolamenti parlamentari sui voti riguardanti le persone». Il tutto nella logica che la decisione dell’assemblea di Palazzo Madama dovesse essere quasi un atto dovuto della politica verso la magistratura. Che follia!
Adesso, giacché sul banco degli imputati non c’è più Berlusconi, e che la vicenda riguarda la grillina Todde, governatrice del «campo largo», è tornata d’un tratto la ragione? L’ovvietà?
Per dirla con le parole di un costituzionalista tra l’altro del Pd, Stefano Ceccanti, «se la legge prevede che una decisione debba essere ratificata da un’assemblea parlamentare o regionale, quel voto è sovrano, altrimenti il legislatore avrebbe dovuto non prevedere quel passaggio».
Si tratta o no di una ratio che i giustizialisti di ogni credo dovrebbero tenere a mente sempre e non solo quando fa comodo?
Oltre trent’anni: è questo il tempo che c’hanno messo, da quando nella loro logica bastava un avviso di garanzia per costringere un ministro alle dimissioni o prevedere l’espulsione di un eletto da un’assemblea parlamentare per un decreto della magistratura, a capire – ma solo nel caso riguardi loro – che certe logiche rappresentano un’offesa gravissima alla democrazia.
– foto Agenzia Fotogramma –