giovedì, Marzo 20, 2025

La lite tra fratelli fa “litigare” i tribunali… Residenza nel deposito, non spetta al Tar

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Il contenzioso a Forio dovrà essere riproposto dinanzi al giudice civile. Il fratello chiedeva l’annullamento dell’atto che confermava l’iscrizione nei registri comunali della sorella all’indirizzo di un locale commerciale

Una disputa sulla residenza fissata in un locale commerciale, anzi addirittura in un deposito, dunque una “sede” inidonea, ha chiamato in causa il Comune di Forio dinanzi al Tar. Che però si è dichiarato incompetente, in quanto la materia è di competenza del giudice civile.
Il contenzioso che vede contrapposti due cittadini che peraltro, non si sa se per mera casualità o legami di parentela, portano lo stesso cognome, resta dunque al momento irrisolto.

A ricorrere al Tar il cittadini difeso dall’avv. Michelangelo Morgera, mentre il Comune e la controinteressata si sono costituiti in giudizio rappresentati rispettivamente dagli avvocati Giuseppe Di Meglio e Anna Di Meglio.
Il ricorrente, che si presume proprietario o comunque possessore dell’immobile, chiedeva l’annullamento del provvedimento dell’ufficiale di stato civile del Comune di Forio con il quale era stata confermata l’iscrizione nei registri comunali della controinteressata all’indirizzo di via Calosirto.

Rappresentando di aver già presentato in sede procedimentale «osservazioni sulla inidoneità abitativa dell’immobile presso il quale, appunto, la controinteressata aveva trasferito la sua residenza in quanto esso avrebbe avuto destinazione commerciale, o meglio risulterebbe accatastato nella categoria C/2, dunque si tratterebbe di un deposito; peraltro, anche nel corso del sopralluogo svolto dai vigili urbani ai fini della verifica della effettività della residenza della richiedente, erano risultati in corso lavori di ristrutturazione dell’immobile e ciò avrebbe dovuto rappresentare una ulteriore causa ostativa ai fini del rilascio a favore della controinteressata della certificazione dalla stessa richiesta».

Un atto censurato «sul presupposto della mancanza dei requisiti di regolarità edilizia dell’immobile presso il quale è stata riconosciuta la residenza che non sarebbero stati adeguatamente valutati dall’amministrazione con conseguente adozione di un provvedimento illegittimo che meriterebbe di essere annullato».
Seppure errore ci fosse effettivamente stato da parte del Comune di Forio, come sembrerebbe da quanto esposto, non sarebbe nemmeno fonte di gravi responsabilità e comunque sarà accertato in altra sede.

RICORSO INAMMISSIBILE
Il collegio della Sesta Sezione presieduto da Santino Scudeller già all’apertura dell’udienza camerale ha sottoposto al ricorrente «profili di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice adito».
La causa è stata definita, se così si può dire, nell’immediato, ritenendo il ricorso inammissibile appunto alla luce dell’evidenziato difetto di giurisdizione.
La sentenza spiega l’errore nell’adire il tribunale amministrativo: «Nel caso in esame, il ricorrente ha proposto una azione di annullamento della certificazione di residenza rilasciata a favore di terzi, censurando le modalità di esercizio del potere in capo all’Amministrazione che, secondo la sua prospettiva, non avrebbe valutato la carenza dei presupposti – riconducibili alla destinazione edilizia dell’immobile – per il rilascio della certificazione».

Quindi definisce la materia di causa: «Tuttavia, ai fini del rilascio del certificato di residenza, l’amministrazione svolge una funzione non riconducibile all’esercizio di un potere concessorio e la situazione soggettiva che fa capo al privato che richiede il certificato di residenza non è di interesse legittimo ma di diritto soggettivo con conseguenze in punto di riparto di giurisdizione per le controversie che attengono a tale fattispecie».
Il collegio richiama quanto da sempre indicato dalla Corte di Cassazione, ovvero «che la residenza è determinata dall’abituale e volontaria dimora del singolo consociato in un determinato luogo e che per individuare questo luogo debbono sussistere in capo al soggetto due elementi: uno oggettivo, ossia la sua permanenza fisica in un determinato luogo, ed uno soggettivo, ossia la volontarietà della permanenza, desumibile dal comportamento tenuto dal soggetto».

ACCERTAMENTO DEL DIRITTO E NON CONCESSIONE
La Suprema Corte ha anche delimitato le competenze e le responsabilità dei Comuni: «In presenza di questi requisiti, sorge in capo al singolo un vero e proprio diritto soggettivo perfetto, nei confronti del quale la pubblica amministrazione ha solo un potere di accertamento e nessun margine di discrezionalità. Per questo, l’ufficio anagrafe comunale è tenuto esclusivamente a dare applicazione alle norme regolanti la materia, il suo controllo ha carattere meramente formale e il provvedimento di accoglimento ha natura dichiarativa e non costitutiva del diritto».

Entrando maggiormente nel dettaglio, una sentenza delle Sezioni unite della Cassazione risalente al 2000 ha affermato che «l’iscrizione anagrafica non è un provvedimento concessorio, ma è un diritto per il cittadino e un obbligo per l’ufficiale d’anagrafe. Per questo il diritto alla residenza, ovvero il diritto a essere iscritti alle liste anagrafiche tenute dai Comuni, è un diritto soggettivo e non un interesse legittimo, cosi che le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione, coinvolgendo situazioni di diritto soggettivo, sono devolute al giudice ordinario».

Dunque la controversia rientra nella sfera di competenza del giudice civile dinanzi al quale la causa dovrà essere riassunta.
Nessuna decisione. Tuttavia, in ragione delle «peculiari connotazioni della vicenda» il Tar ha compensato tra le parti le spese di giudizio. Esborsi inutili, visto che il ricorrente, se ancora ne avrà interesse, dovrà riproporre il contenzioso dinanzi al giudice civile, con ulteriori spese.

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  • Articolo realizzato dalla Redazione Web de Il Dispari Quotidiano. La redazione si occupa dell'analisi e della pubblicazione fedele degli atti e dei documenti ufficiali, garantendo un'informazione precisa, imparziale e trasparente. Ogni contenuto viene riportato senza interpretazioni o valutazioni personali, nel rispetto dell’integrità delle fonti e della veridicità dei fatti.

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