Luciano Castaldi | Notte del primo plenilunio di primavera. Notte del Venerdì di Passione. La pallida luna casamicciolese di questa notte se ne sta lontana. Nascosta dietro uno strano velo perlato, bello come quello delle spose più eleganti. Da buona paesana, stanotte indossa il manto scuro: un cielo immenso, senza nuvole, senza lacrime e senza stelle. Un cielo immenso e silenzioso, adatto al Venerdì di Passione, ma per nulla malinconico. È un cielo, quello di Casamicciola, che ispira serenità, che favorisce il raccoglimento, il respiro della preghiera di quanti, questa notte, veglieranno. I casamicciolesi veraci non dormono il venerdì santo e si danno appuntamento presso la Congrega dedicata alla Madonna della Pietà, quella che affaccia sul piazzale dell’ancora e che esibisce, come una medaglia sul petto, una lapide marmorea che ne esalta gli oltre 500 anni di storia.
Mercoledì scorso avevamo lasciato qui l’Addolorata dopo la processione partita da La Rita. Io e Patrizia arriviamo alle 3 e il rosario è già iniziato. Un gruppo di bambini, disciplinatamente seduto sugli scanni laterali, partecipa con fervore. Sembrano dei nonnini tanto sono compunti, seri, fervorosi. In sacrestia è un pullulare di attività, di preoccupazioni su questo o quell’altro ultimo dettaglio da sistemare. Fuori invece è già pronta ogni cosa: il tronetto processionale e i portatori sono già belli “caldi”. Un ragazzo è addirittura a maniche corte: bravo, così si fa! È così che si fa la “rivoluzione” della tradizione! Intanto, in chiesa si distribuiscono i libretti devozionali con le meditazioni alla Via Matris scritte dal Venerabile Giuseppe Morgera. Don Gino, “Barba nera”, ha detto sì. Si parte. Un ragazzo agita con sapienza ed equilibrio la “traccola”, lo strumento che sostituisce le campane in questi due giorni nei quali la chiesa commemora la passione e la morte di Gesù Cristo. Sono solo segni, è vero. Ma guai a non averceli: dove queste cose sono state abbandonate, crescono desolazione e sconforto, non certo la spiritualità pura e disincarnata, tanto cara a certi pseudo teologi. I ragazzi si avvicinano orgogliosamente al simulacro della Vergine. La omaggiano, la abbracciano, la sollevano, la portano trionfalmente in strada. La processione muove i primi passi in direzione delle case che insistono alle spalle della chiesa.
Le prime emozioni, le prime indimenticabili scene, almeno per me che non avevo mai partecipato a questo incanto. Partono i primi canti. I giovani che non devono mettere le loro spalle al servizio dell’Addolorata seguono dietro. Hanno tra le mani la corona del rosario, non il telefonino. Giuro che non bevo da Carnevale. Davanti al corteo un ragazzo “porta la croce”. È una croce nuda, sulle braccia una stola bianca. Subito dietro don Gino e don Antonio Mazzella. Gli uomini neri sono raddoppiati. Entrambi in talare, entrambi con la corona del rosario tra le mani. Peppina Mattera, patrimonio universale dell’Umanità, ha il compito di guidare il canto. Lei parte, i fedeli rispondono in coro. Ma il top è quando fa tutto da sola. La sua voce, intensa e antica, il suo tono da tragedia greca sono mistica pura, sentimento popolare e rendono giustizia di tutte le schitarrate e le tamarrate che si vedono oggigiorno nelle chiese, anche della nostra isola. Peppina non ha bisogno di accompagnamento né di spartiti musicali, perché le sue sono note che partono dal cuore, le sue sono parole distillate dall’anima dei casamicciolesi di sempre. Nel silenzio della notte, la voce di Peppina si dilata nell’eco fino a perdersi nell’infinito, non prima però di aver fustigato l’anima più fredda e insensibile tra i presenti. Semmai, ve ne fosse una. Peppina farebbe uscire pazzo persino il regista più blasfemo. Vabbè… ci siamo capiti. Uscito dal Rione, il corteo si dirige verso la chiesina della Madonna del Buon Consiglio, quella che sta proprio sulla piazza principale del comune termale. Primo dolore. Poi si torna indietro, di nuovo verso la chiesina della Pietà, secondo dolore. Poi verso il cuore del popoloso quartiere di Perrone. Qui l’atmosfera si carica ancora più di intensità, di densità, di potenza, di spiritualità. Si affaccia qualche donna in pigiama, ma a me sembra di vedere sui balconi, dietro le finestre, gli antichi abitanti di queste case basse e umili: i reduci del terremoto dell’1883 , gli orfani e le vedove di quella immane tragedia.
Sì, il loro spirito aleggia sulle nostre teste e vola accanto alla loro Madonna di notte. Pregano e cantano con noi. Chissà – mi chiedo- cosa doveva essere il passaggio della processione tra questi vicoli, quando non c’erano i lampioni dell’illuminazione pubblica… La “traccola” spaventa una coppia di colombi che, destatisi improvvisamente dal sonno, non sanno che balcone prendere. Finalmente si posano su un cornicione. Li osservo, mentre loro ci guardano perplessi, agitando la testolina a destra e a sinistra. Chiesa di S. Antonio da Padova e l’adiacente cimitero: altro dolore di Maria, altri dolori nostri. Prima di scendere non posso evitare di ammirare la luna casamicciolese: alta e pallida. Davanti a noi il mare, “n’asteche e cielo”.
Scuro e profondo, riflette le luci di un Paese che non conoscevo e di cui mi sto pazzamente innamorando. Si scende, allora. Altro suono delle traccole. Ancora nel cuore di Perrone. Verso la salita di San Pasquale la scena si fa ancora di più caravaggesca. Le ombre, il buio e le poche luci esaltano all’ennesima potenza la bellezza di tutto ciò che sto vivendo. Nelle adiacenze della Chiesa di San Giuseppe, all’interno nella Casa di riposo don Orione e nei pressi della chiesa di sant’Anna, ovvero di San Pasquale, Peppina arriva a quello che deve essere il suo pezzo forte: “A Maria Addulurata”: “In ciel sarà contenta quest’alma quando arriva: veder la Madre mia Addulurata”. Non ho parole… Ci avviciniamo, dopo due ore abbondanti di pellegrinaggio, alla Basilica di Santa Maria Maddalena. Nessuno sembra stanco.
Un nonnino stringe la mano al nipotino, così come il suo aveva fatto con lui. Nessuno dei bambini presenti si è “scocciato”, si lamenta, vuole tornare a letto. Finita anche la recita del Rosario, “Barba Nera” intona il Salve Regina. Cattolicamente e quindi in latino. Tutti lo seguono, anche quelli che, come me, non lo conoscono, il latino. “Mamma, veniamo anche alla processione di stasera?”, sussurra un bambino. Per le litanie il microfono torna a Peppina. E anche lei, rigorosamente, canta in latinorum. Arriviamo sul sagrato della monumentale basilica voluta dal parroco Morgera ed edificata in appena 13 anni! Tredici dico. Apro parentesi: oggi per fare un po’ di manutenzione alle chiese, passano decenni…
Chiusa parentesi. Sale ancora la voce di Peppina. Dobbiamo inciderla. La voce, intendo. Altro che Mina! Si entra in chiesa. I ragazzi adagiano l’Addolorata su un lato. Poi spazio ad altri canti e ad altre orazioni. Non c’è l’organo. Non serve. Tutta Casamicciola canta un cuor solo e un’anima sola: “Noi facciamo compagnia…”.
La notte si chiude con un piccolo, ma splendido. sermone a cura del giovane don Antonio e una riflessione del prof. Giovanni Barbieri. Una canzone ancora. Poi cala il silenzio. I fedeli, incredibilmente, non si muovono. Restano immobili al loro posto in profonda meditazione. È una scena surreale, che dura qualche minuto. Una scena da film.
Come i tanti quadri di Caravaggio, come la voce di Peppina, come le talari dei due uomini neri, come il nonnino e il nipotino… La Madonna di Notte si ferma qui, per ripartire in serata e farmi vivere altri momenti indimenticabili di cui parlerò in seguito. Usciamo, mentre dietro l’orizzonte esplodono e si spandono i colori dell’aurora nel cielo e sul mare del Golfo più bello dell’universo. E, insieme all’aurora, esplode il mio cuore.