Davide Conte | Inascoltabili! Questo l’aggettivo ideale per gran parte delle canzoni in gara all’ultimo festival di Sanremo, sempre più leader Auditel nel panorama tv italiano. Sia chiaro, Viva Sanremo per l’attenzione indiscutibile che riesce a catalizzare da sessantasei anni a questa parte attraverso i piccoli schermi del nostro Paese, ma l’irrefrenabile voglia di innovazione ed originalità presente in gran parte delle composizioni dà troppo spesso vita a risultati di dubbio gusto, tutt’altro che orecchiabili e, per giunta, accompagnati sovente da un look dei relativi interpreti che, per esser buono, mi limito a dire che lascia alquanto a desiderare.
Sabato scorso, su invito dell’amico Massimo Ranieri, ho avuto modo di assistere da ospite in studio all’ultima puntata del suo show “Sogno e son desto 3” in diretta su Raiuno. Tra gli special guests c’era Riccardo Cocciante, che ormai da tempo non si esibisce in concerti se non seguendo il suo musical “Notre dame de Paris”, in giro da un ventennio in tutto il mondo. Solo alla terza edizione della sua trasmissione, Ranieri è riuscito ad ottenere la presenza di Cocciante in studio e posso assicurarVi che è stata un’autentica delizia: un artista che a pochi giorni dal suo sessantanovesimo compleanno (li compirà tra otto giorni esatti) ha dimostrato di conservare intatte le sue qualità vocali, che abbinate alla grande abilità degna del pianista e grande interprete qual è, hanno dato vita ad un’esibizione da far accapponare la pelle. I suoi evergreen hanno fatto cantare l’intero studio alla Tiburtina, procurandogli continui applausi a scena aperta e lunghissime standing ovations, ma soprattutto rispolverando un repertorio che ancora oggi conserva intatto il suo pregio nell’ambito della storia della canzone italiana. Innegabile una nota di merito anche a Ranieri, sia da co-interprete dei brani dei suoi ospiti, sia nell’eseguire, nel corso della trasmissione, alcuni tra i suoi successi più famosi, unitamente ad alcuni classici napoletani, tutti rigenerati con quell’interpretazione magistrale che tuttora gli è propria e che, se vogliamo, è la ragione del successo che lo porta ad avere quasi un concerto al giorno in Italia ed all’estero.
Naturalmente non ho la pretesa che il pubblico d’ogni età, specialmente quello delle ultime generazioni, riesca a legarsi nostalgicamente solo a questo genere di musica italiana, rinnegando la sua naturale tendenza a seguire le mode del momento. Nessuno, però, può privarmi di rivendicare quella che oggettivamente è la differenza tra una produzione musicale di qualità, nei testi, negli arrangiamenti e nell’interpretazione, che riesce a durare e piacere costantemente nel tempo senza passare mai di moda, rispetto a composizioni dalla vita brevissima e che molto spesso sfociano in autentica accozzaglia audiovisiva: tra tutti, quella presentato in gara da Neffa alla corrente kermesse rivierasca, l’altroieri sera, si commenta da solo forse più di ogni altro. Così come, per quanto innocente, trovo di pessimo gusto che un’artista che si esibisce a Sanremo (leggasi Clementino e Noemi), pur di guadagnare un po’ di viralità in più sul web, debbano accogliere l’invito dei video-internauti napoletani The Jackall a salutare il pubblico con una citazione della fiction Gomorra: tutto simpatico, ma di sicuro a scapito della serietà dell’evento.
L’evoluzione della musica, dei testi, del modo di presentarsi sul palco fa parte del gioco: impossibile pretendere ai giorni nostri liriche in stile “Non ho l’età”, “Nel blu dipinto di blu” o “Grazie dei fior”, con la censura incombente al minimo accenno di sensualità o al centimetro appena mancante alla gonnella di turno (neppure le auspicherei, in tutta onestà); basterebbe, però, mantenere vivo quel fill rouge che dovrebbe unire buon gusto, qualità, rispetto del telespettatore/ascoltatore e, perché no, del contribuente RAI che con il suo canone contribuisce a racimolare i dodici milioni di euro costituenti l’investimento base messo in campo dalla televisione di Stato per tenere il piedi il carrozzone di Sanremo.
Artiste come Giusy Ferreri, Malika Ayane, la stessa Alessandra Amoroso, al pari di Arisa e Lorenzo Fragola (per questi ultimi due molto belli sia i brani, sia le interpretazioni), così come Cesare Cremonini e Marco Mengoni, senza per questo dimenticare i sempreverdi Jovanotti e Biagio Antonacci, lasciano cogliere nel loro lavoro quel barlume di gradevole originalità pur mantenendosi al passo coi tempi, a dimostrazione che non necessariamente ciò che è nuovo e moderno debba sfociare nell’anticonformismo pur di piacere, tenendo alta e viva la migliore tradizione della nostra musica.
Comunque sia, onore a Carlo Conti, ormai punta di diamante della televisione italiana, il quale, sebbene avrebbe potuto dare un colore ed una fisionomia diversa alle discutibili geometrie della sua scarna chioma, è riuscito con semplicità e simpatia a garantire nelle ultime edizioni non solo un record assoluto di ascolti, scardinando così il mito delle “due B” (Baudo e Bonolis -ndr), ma anche una scelta di ospiti variegata e di grandissima levatura. E’ anche grazie a lui ed alla smania di tutti di parlarne ad ogni costo che, nonostante tutto, Sanremo è sempre Sanremo. Ma… attenzione: se un italiano su due, nelle prime due serate, gli ha dato ragione, sono veramente curioso di leggere il seguito televisivo del Festival dalle 21.00 alle 22.45 di domani. Io, per buona pace dei melomani, non ci sarò: il mio Napoli viene prima!