sabato, Novembre 2, 2024

La ‘Ndrezzata perde il suo più grande Caporale

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Gianni Vuoso | Incredibile. Quando si dice la coincidenza. E’ morto Gennaro l’arti…(“artista o artigiano, scegliete voi” diceva, a completare il titolo che aveva impresso sulla mattonella affissa fuori casa sua, una delle sue trovate geniali, estemporanee, che dovevano servire a ergerlo sempre al centro dell’attenzione). Se ne è andato proprio il 24 giugno, il giorno della ‘Ndrezzata. Incredibile. Non poteva succedere diversamente. Lui, che era stato l’anima di questa danza, che aveva anche alimentato polemiche su polemiche attorno a questo evento, ormai internazionale. E dappertutto sapevano che quella danza si teneva in piedi perché lui voleva così. Da quando già diciassettenne, si esibì in quella danza diabolica al carnevale di Lacco Ameno. Poi, ben presto, due anni dopo, ne prese le redini assumendo il ruolo di Caporale, un titolo che per lui era un gran vanto. E da Caporale guidò il gruppo dal 69 al 77: “In quel periodo la Ndrezzata fu spettacolare- me lo ha sempre ripetuto col sorriso sottolineato da quel baffetto beffardo- e ognuno mi diceva che per 8 anni la ‘Ndrezzata è stata spettacolare e io a tutti ho risposto: se volete posso insegnarvela”.
Giorno per giorno ci ha sempre pensato, quasi una fissa, la ‘Ndrezzata al centro della sua vita come la moglie, i figli, la famiglia e niente altro. Forse solo i cestini in vimini, le sue creazioni, i lampadari, le bottiglie, il presepe, l’albero di Natale fatto di cestini: “Questa è la madonna e questo è Gesù” mi spiegava indicandomi piccoli cesti, minute realizzazioni in vimini e mi chiedeva di fotografare ogni particolare per pubblicare tutto sul giornale “Mi raccomando, in prima pagina!”. E sì, questa era la sua preoccupazione principale: far sapere a tutti chi era Gennaro e cosa faceva. Non un megalomane, ma un protagonista senz’altro, uno che s’era conquistato lo spazio nella società con la forza della sua irruenza, della sua tenacia, della sua volontà e delle sue qualità.
Certo, non le mandava a dire e questo suo modo di essere lo aveva costretto a mettersi in urto con parecchi concittadini, in primo luogo, col potere, quello politico e quello religioso. Qualche amico comune mi ha suggerito che forse la storia di Don Camillo e Peppone è nata proprio a Buonopane, terra di Gennaro e di parroci, di un vecchio comunista e di vecchi democristiani feudali, padroni del territorio e di tante famiglie. Un ambiente che Gennaro criticava con schiettezza, senza mezzi termini, fin da quando ebbe a fondare, insieme ad altri compagni, la sezione del PCI. “Ma io non mi sono mai presentato- ci teneva a precisarlo- ho fatto sempre la campagna elettorale per altri compagni, per Franco, per Filippo”.
Ad alimentare la voglia di far politica, la sua passione viscerale per quella danza sulla quale avrebbe voluto scrivere la sua verità storica per dimostrare che era fatta da soli uomini, non cole femmine, per dire a tutti che tanti intellettuali avevano scritto delle sciocchezze, per insegnare ai suoi amici di Buonopane e ai turisti che lo cercavano per acquistare un cestino, che la ‘Ndrezzata, quella vera, era nata solo con lui. E di episodi ne conosceva tanti. Uno lo ricordava con grande piacere e quando ne parlava quegli occhietti vispi diventavano lucidi: “Ho insegnato a tanti la danza, in particolare ai bambini. Un episodio: “Un giorno una bambina ebbe la sfortuna di essere colpita durante la danza, ti garantisco che il dolore che si prova è immenso, il colpo del mazzariello è secco, potente, ti spezza, embè lei mise sotto l’acqua la mano per qualche momento. Poi, quando mi accorsi dell’incidente cercai di lasciarla riposare, mi disse no perché doveva continuare. Per me fu commovente questa sua forza, perché dimostrava che aveva capito il senso di far parte di quel gruppo e di continuare nonostante tutto…”. Mentre racconta gli occhi sono lucidi.
Ma non manca di raccontare episodi di altro tenore, quelli che gli permettono di sfatare il mito di certi personaggi, suoi concittadini, che vantavano certe esperienze: “Nel 79 facemmo la barca di Sant’Anna per partecipare alla Sagra e per la prima volta venimmo da Buonopane. Presentammo ovviamente, “Storia della ‘Ndrezzata”, ci classificammo al quinto posto e vincemmo 30 mila lire. Con quei soldi mangiammo in 60 persone. Ovviamente una cena a base di conigli ma quella volta i conigli erano di Pozzuoli. Fra di noi c’era anche Giovanni Di Meglio, personaggio di grande fama che si spacciava soprattutto per essere un intenditore di conigli. Quando gli chiesi cosa ne pensasse dei conigli rispose che erano buoni perché pensava fossero ischitani! Hai capito com’è certa gente?” Ecco, non trascurava niente, pur di dimostrare che lui era capace di mettere ai quattro venti tante debolezze e tante inutili spavalderie altrui.
Così, spontaneo, a volte grezzo, a volte più simpatico, s’era imposto come punto di riferimento per la sua arte e per la sua danza.
Filippo Florio mi ricorda che in ogni borgo d’Italia, in ogni paese, la gente si avvicinava al gruppo per cercare “Mastu Gennaro”, perché il suo nome, la sua dedizione, il suo impegno avevano ormai varcato i confini dell’isola. E lui si alimentava di queste gioie, amava tanta ammirazione come amava il vino e non c’era verso di fargli capire che a lungo andare, avrebbe potuto nuocergli alla salute: “E’ l’acqua che ‘nfracida, lascia stare…”.
Ha avuto torto ma non possiamo fare a meno di promettergli che le nuove generazioni, come lui voleva, devono tenere alto il buon nome della ‘Ndrezzata ricordando la sua esperienza, i suoi insegnamenti, la sua storia che ormai fa parte della storia di Buonopane e di tutta l’isola.

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