venerdì, Settembre 20, 2024

La nostra storia tra frane, terremoti e future eruzioni

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La profezia di Mercalli e le frane di Forio

BENEDETTO VALENTINO | Che la zona della frana dello scorso novembre fosse a rischio lo testimonia, più di ogni altro documento, la foto scattata da JOHNSTON LAVIS nel 1885, due anni dopo il terribile terremoto del 1883.
L’immagine ci mostra alcune delle frane che si registrano dopo il terremoto. Oltre alle grandi frane sopra il Fango e a Casamicciola, altre si registrano tra Ischia e Casamicciola e il numero di pomici cadute a mare fece pensare ad una eruzione sottomarina. La frana principale si sviluppa a 400 metri da Montecito, di 90 metri circa per una altezza 3/4 volte superiore. Un’altra leggermente più piccola, poco più avanti.


La nostra storia è piena di queste cronache: oltre alle alluvioni del 1566, 57 e 59, quella che è rimasta nella memoria di tutti gli isolani per secoli, è la pioggia torrenziale del 1655, avvenuta probabilmente tra il 7 luglio e il 7 agosto, quando la terribile peste fu spazzata via proprio da una grande alluvione.
Se la storia ci deve essere da monito per il futuro, deve far riflettere quello che ci dice Giuseppe D’Ascia in una breve nota: “quella alluvione del Seicento provocò una gigantesca frana sempre nella zona del Fango, dando vita al “letto di lava” che delinea il tratto dell’attuale Via Spinavola.”

Altre frane, sempre tra Casamicciola e il Fango, si susseguirono nel 1762, 1777, 1779 e continuarono anche nel 1827, 1841 e 1863.
A parlarci di una grande frana fu anche il medico De Siano che ci descrive così: “Resta a dire delle piazze della Pera e di Catreca. Il primo luogo è un piano nella faccia settentrionale dell’Epomeo nella direzione della terra di Casamice, ove una volta fu la fabrica del solfato di allume, di cui sinora esistono ancora i vestigi. Questo luogo sembra essere il fondo di un bacino o cratere dalla figura del lato meridionale denominato il getto; il lato settentrionale ha dovuto crollare sopra sé stesso. Il masso di questa parte è di terra argillosa bianca insipida”.
Anche il D’Ascia ripete la cronaca di una grande frana che riporta il De Siano in località Crateca: “dannosissimo fu il crollamento di quelle franose rupi, nella notte dei 14 dicembre 1797, alle ore 10 p. m. dal lato di Catreca, in due punti diversi irti e ripidi, che produsse gravi guasti alle sottoposte vigne di Casamicciola. Questi crollamenti non sono mica cessati e si avverano da quell’istesso lato. Pochi anni sono si riprodussero apportando non lievi danni ai vigneti del Fango.”

Nel 1835 il dott. De Rivaz ci notizia del fatto che, due anni prima, nella valle dell’Umbrasco (piazza Bagni) una frana aveva sotterrato la sorgente dell’acqua della COLATA, già descritta da Jasolino.
Lo stesso De Rivaz scopre una nuova sorgente a cui da il nome di Sorgente Aloisio, ma ci notizia anche del fatto che detta sorgente nel 1837 è sommersa da una ennesima frana.
Altra frana, che ormai conoscono tutti, molto simile per modalità e caratteristiche a quella attuale, è l’alluvione del 24 ottobre 1910 sempre partita da un distaccamento della montagna del Celario, che causò ben 13 morti.
Meno nota, ma sicuramente più grande nelle proporzioni, è quella che colpì, pochi giorni dopo, il comune di Forio, che distrusse la strada borbonica e inondò Forio. I lavori di ripristino furono affidati nel 1915 all’ing. D’Ascia.
Nel 1936 alle ore 22,14 si registrò una frana di circa 500 tonnellate, caduta ad occidente di Porto d’Ischia: gli abitanti pensarono inizialmente si trattasse di una scossa di terremoto, e spaventati, pernottarono all’aperto.
E’ probabile che la “frana ad occidente” riguardi Forio: il 25 febbraio 1937 infatti il governo vara un decreto sul consolidamento di frane che minacciano abitati e nello specifico del comune di Forio d’Ischia, su proposta del ministro dei lavori pubblici Codolli-Giglio.

La storia dell’isola l’isola e in particolare di Casamicciola non è legata solo quella delle frane, ma soprattutto a terremoti ed eruzioni.
Il 14 luglio 1762, l’architetto Luigi Vanvitelli fu testimone di due scosse di terremoto quasi consecutive poco dopo le 9 della mattina. Secondo i giornali dell’epoca, ci furono danni notevoli agli edifici della cittadina.
Quattro anni dopo, alle 17,30 del 18 marzo 1796, un violento terremoto fece crollare circa 50 case nei dintorni della chiesa parrocchiale di S. Maria Maddalena: sotto le rovine morirono 7 persone e numerosi furono i feriti.
Ancora più distruttivo fu il terremoto del 2 febbraio 1828 ben descritto dal chimico Nicola Covelli che stava svolgendo uno studio sulle acque termali: la scossa distruttiva, avvenuta alle ore 10:15, colpì la parte nord-occidentale dell’isola d’Ischia, causando crolli estesi in un’area di pochi km2. Le località più danneggiate furono Casamicciola e Fango dove collassarono numerosi edifici causando 29 morti e circa 50 feriti. A Casamicciola tutti gli edifici del Maio e della Sentinella furono danneggiati molti edifici e alcuni crollarono. Crollò anche la navata centrale della chiesa di S. Maria Maddalena schiacciando molte persone che assistevano a una funzione religiosa.

Dopo poco più di dieci anni, il 6 marzo 1841 alle ore 13, una forte scossa causò lesioni negli edifici di Casamicciola. Nel 1852 e nel 1863 si registrarono altre scosse. Il 14 agosto 1867 un altro terremoto, poco dopo la mezzanotte, sempre a Casamicciola fece nuovi danni: testimoni furono Henrik Ibsen e lo scrittore danese Vilhelm Bergsøe.
Il 4 marzo 1881, Casamicciola registrò un nuovo violento evento sismico. Risultarono danneggiati 10 edifici pubblici e 883 privati, di cui 290 crollarono. Famoso e consegnato alla storia è quello del 1883 che causò la morte di 2.313 persone. Altri terremoti si registrarono nel 1884, 1886 e 1889.
Se Casamicciola è sinonimo di frane e terremoti, altre zone dell’isola sono interessate al fenomeno dello sprofondamento.


Storicamente, la tesi scientifica più accreditata per spiegare questo fenomeno geologico è che l’eruzione del Montagnone del 150 d. C. e quella del Cremato del 1301 e quindi lo svuotamento della camera magmatica, abbiano provocato uno sprofondamento delle terre emerse e quindi un collasso improvviso della costa di vari metri, trascinando a mare edifici e parte dell’abitato.
Ci sono varie conferme storiche e ritrovamenti che avallano questa teoria.
Il primo a parlare dello sprofondamento di Aenaria (antico nome di Ischia) è Gaio Plinio secondo, nel suo Naturalis Historia: “anche in questo modo sorgono le terre e di colpo emergono in un qualche mare qualsiasi, quasi che la natura pareggiasse i conti con sé stesse e restituisse da altre parti ciò che una voragine ha inghiottito. Famose da lungo tempo e isole di Delo e Rodi, sono registrate in questa tradizione, in seguito ne sono sorte di più piccole. Cosi raccontano si formarono anche le isole di Pithecusa e ben presto il monte Epopo, dopo un’improvvisa eruzione di fiamme fu livellata alla piatta distesa dei campi: nella medesima isola una città fu inghiottita nel profondo e per un altro sommovimento spuntò uno stagno e por un terzo, dopo un crollo di montagne, si costitui l’isola di Procida.”

L’Eruzione del Cremato del 1301 conta ben quattro testimoni oculari che raccontano queste vicende e sei libri postumi che trattano l’argomento.
Tra queste cronache un libro interessante, sfuggito all’ attenzione degli storici locali, è Cronache della Incluta città di Napoli emendatissime con li bagni de Pozzolo et Ischia del 1660, che comprende anche testi di Giovanni Villano cronista fiorentino nato nel 1280 e morto di peste nel 1348. In altri testi si parla di costruzioni esistite un tempo tra il litorale e il monte di Campagnano, lungo tutta la costa fino al lago, del “Bagno de sassi, sistenti nel lido della città, su di loro il mare si è molto inalzato. “
E’ interessante anche l’affresco della Torre di Guevara che ci illustra una casa che svettava tra le acque nel tratto di mare tra il castello e la baia di Cartaromana.
Gina Algranati riprende questo argomento negli anni trenta del novecento e ci riferisce di altri terreni sommersi: edifici ancora visibili al largo di Casamicciola nonché di una costruzione ritrovata ai piedi del monte Campagnano, discesa a mare sin al Lastraco (solaio).
La cronaca di un altro storico, l’Onorato, ci descrive altre rovine di una città sommersa “li ruderi, li rottami e le antiche mura sistenti in parte ancora su l’eminente scoglio nominato il Castiglione in tenimenti di Casamicciola, e le altre antiche fabbriche si vedevano su il largo e alto scoglio chiamato Monte di Vico e l’esistenza d’ intiere mura facevano conoscere la di loro antica abitazione.“
Anche Giulio Jasolino descrive così la zona: “le rovine di un antico castello, oggi detto il Castellone; e nei luoghi circostanti sono molto antichissime piscine a modo di quelle, che si veggono nelle rovine Cumane… Sotto detto Castello scaturisce nel lido del mare il bagno chiamato Castiglione, di meravigliose operazioni, e per gli edifici, e rovine grandi che in quel che si veggono teniamo che quivi sia stata una antica città e che forse Ierone tiranno secondo Strabone qui avesse eretto le muraglie e abitato, benché se ne fuggi scacciato da terremoti e da terribili incendi.”

Riprendendo gli atti di un congresso dell’Accademia di scienza e matematica del 1936, la Algranati parla oltre che degli edifici sul fondo marino al largo di Casamicciola, di sorgenti potabili presso la spiaggia dei Maronti un tempo emerse, dell’isolotto sprofondato della Scrofa e della cantina dei fratelli Cammerate a Forio, attualmente indicati nelle carte nautiche come Scogli della Cammarate.
Per comprendere bene l’effetto del bradisismo ischitano basta osservare le mappe disegnate nel Seicento dove figurano grandi scogli fuor d’acqua nel tratto di mare tra Casamicciola e Lacco Ameno e anche in prossimità della costa di Forio.
La cosiddetta carta aragonese ci fa notare come la salina di Citara nel comune di Forio sia stata nel corso dei secoli sommersa dal mare.
Il manoscritto redatto da Domenico Verde, dotto sacerdote nato a Forio nel 1745, nel suo Ragguaglio istorico topografico avvalora la tesi dello sprofondamento: “il mare non solo è entrato notevolmente dentro, ma benanco del proprio livello, sino a qualche passo si è inalzato e si è elevato.”
Una descrizione interessante del Verde è quella riferita al “Ninfario” di Cartaromana: mirabile giardino, con vasto frutteto, congiunto con un molo ai luoghi per la caccia al coniglio, provvisto di una vasca scavata per la raccolta delle acque minerali. Esso era presso la torre di Bovino detta anche di Soronzano. Il Ninfario, la cui superficie andò riducendosi a che oggi è quasi totalmente scomparso, conteneva presso il mare, una fresca sor- gente di acqua potabile che alimentava tutto il borgo di Celsa e la cui scomparsa determinò una conduttura d’acqua dal Buceto sotto il Viceré cardinale di Granvela e sgorgante in una fontana del borgo.
Anche le cronache del Pontano così riportano: “Bartolomeo Pernice, genovese scopre le miniere di allume circa 163 anni prima della guerra le viscere della terra si erano aperte e si era sviluppato un grande incendio che aveva distrutto gran parte di Enaria, compresa una cittadina che poi fu inghiottita da una voragine”.

Altre descrizioni successive ci illustrano: “fuggendo fuori dall’isola e ancora si vedono i vestigi del foco, non nascendom herba né altro. Anzi per lo spazio di due miglia rimasta ogni cosa aspra e inculta, e questo spazio si chiama Le Cremate”.

Anche il medico napoletano Andria, autore di un libro, pubblicato nel 1783, sulla storia naturale e sulle acque minerali che descrive quasi tutte le fonti ischitane, scrive: ”i cui ruderi sfarinati in tutto o in buona parte si sono perduti nel mare”.
In questo contesto storico risuonano come drammatiche, ma doverose da ricordare, le parole di Giuseppe MERCALLI, il quale riteneva che i terremoti e le frane che colpiscono la zona di Casamicciola altro non sono che tentativi di eruzione. Lo stesso Mercalli nota varie fratture nella montagna di Casamicciola, causate dal terremoto del 1883 e ne annota con dovizia tutti i particolari nelle sue Memorie.
Per il Mercalli il ciclo di una nuova eruzione è iniziato nel 1762: “è molto probabile – dice Mercalli nelle sue Memorie – che il vulcano si apra lungo la frattura di Monte Cito e de La Rita.” Va detto che anche il Mercalli scrisse anche che questo potrebbe accadere dopo pochi giorni o dopo secoli.

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