Se pensate che questo editoriale sia ispirato dal fatto che mio figlio Alessandro si sia trasferito a soli 17 anni negli Stati Uniti, non Vi sbagliate! Penso sia utile parlarne e non certo per tessere le lodi di un ragazzo che ha avuto un gran coraggio che, sin da subito, lo ha ripagato con gli interessi, ma solo perché vorrei che si cominciasse ad affrontare seriamente il dramma sociale che appartiene alla nostra realtà ischitana, perfettamente in linea (se non peggio) con quella nazionale.
Su “Panorama”, grazie alla condivisione dell’amica Regina Buono (anche lei mamma di una ragazza super studiosa e promettente che lo scorso anno si è sradicata dallo scoglio e ha trascorso un anno d’interscambio negli States), ho avuto modo di leggere una testimonianza molto, molto forte. Il rapporto “Migrantes”, com’è noto, narra di oltre 107.000 giovani italiani espatriati nel 2015, ma a giudicare dai tanti non registratisi e, quindi, non censiti dal rapporto, il numero è sicuramente di gran lunga superiore. E soprattutto, il dato che deve far riflettere –come scrive Marco Ventura nel pezzo in questione- consiste in “generazioni di connazionali, di nostri figli, che mossi dal desiderio di maggiori opportunità lasciano la loro casa, la loro città, il loro e mio paese. E vivono stabilmente fuori dai confini nazionali”, distinguendoli così in maniera netta da quelli che si limitano ad un’esperienza temporanea, tipo Erasmus. Un distinguo fondamentale, perché dimostra che tra i nostri giovani, quelli che hanno l’opportunità di vivere il confronto tra il posto in cui vivono ed una nuova realtà proiettata ad una velocità totalmente diversa dalla loro, sia in termini di efficienza a tutto tondo che di semplice civiltà ed educazione, non ci pensano due volte prima di andarsene e regalarsi una concreta opportunità di un futuro degno di aspirazioni mai coltivate e, improvvisamente, fatte proprie grazie agli stimoli di un ambiente in grado di rispettarle e sostenerle. Marco, per esperienza personale, si riferiva ad esperienze di stampo studentesco, ma la situazione che ci riguarda da vicino è ben più ampia.
Nel nostro caso, per consentirgli di emergere dal grigiore sociale che in Italia ormai alberga anche a scuola e nel calcio (e ad Ischia… peggio che andar di notte), abbiamo sostenuto l’aspirazione di nostro figlio a giocare in una squadra di calcio di rango superiore a quelle offerte qui sull’Isola. Tra i vari contatti, un’agenzia italo-americana, la “College Life”, dopo averlo visionato in due occasioni, gli ha offerto l’opportunità di andare a giocare in Ohio e, dopo la promozione al quarto liceo, Alessandro ha deciso di partire. Dal 30 luglio si è stabilito lì, studia in una splendida high school, vive in una famiglia meravigliosa che lo ha ospitato spontaneamente, gioca a calcio nel Varsity di stato, una squadra di club lo ha già ingaggiato per il prosieguo della stagione ed è felicissimo, guardando già al prossimo anno in cui farà di tutto per entrare al College e restare negli Stati Uniti. Perché lì, finalmente, dopo le tipiche incertezze che albergano nel contesto giovanile che anche lui frequentava e che lo stavano irrimediabilmente contagiando in termini di apatia ed inutili consuetudini, sembra che abbia inquadrato il suo futuro e il suo ambiente ideale. Knock on wood!
Alessandro, come Silvia ed Elena (le figlie di Marco Ventura), probabilmente continuerà a vivere negli States, continuando ad amare Ischia e a tornarci ogni qualvolta potrà, in vacanza o semplicemente a trovare la sua famiglia e i suoi vecchi amici. Ma fa rabbia che in un’Isola dalle immense opportunità, parte integrante di un Paese d’inimitabile bellezza e ammirato indistintamente da tutto il mondo, non ci siano spazio e garanzie per le nuove generazioni. “Mi fa orrore –scrive Ventura- che i miei soldi debbano andare all’estero per sovvenzionare un sistema che trarrà dalla competenza delle mie figlie tutti i vantaggi, a danno dell’Italia. Vuoi per mancanza di opportunità nella ricerca, vuoi per scarsità di gratificazioni economiche. In Italia, la mia generazione e le precedenti hanno rubato il futuro ai nostri, ai miei, figli. E non c’è perdono per questo delitto perfetto”.
E cosa posso aggiungere io per la nostra Isola, se non associarmi al pensiero di Ventura, genitore quasi contrito da una colpa non sua, rapportando alla nostra quotidianità logiche conseguenze come questa specie di nuova emigrazione? Da noi, purtroppo, non è possibile limitare il fenomeno a studenti-modello o a ragazzi artisticamente talentuosi (uno per tutti, in quest’ultimo caso, il pianista nostrano Nikko Ielasi): sembra assurdo, ma sono decine e decine i nostri millennials presenti nel Regno Unito (a Leeds ce n’è una piccola colonia), in Germania, in Spagna, in America, in Canada e in Australia, a fare i portieri di notte, i camerieri, i cuochi, le commesse, spesso partendo con enormi sacrifici ed altrettanta umiltà per riuscirsi appena a mantenere e continuare a sperare in un salto di qualità che talvolta arriva, ma non ad Ischia. Come per Dimitri Cigliano, in quel di Londra, o per Samuel Hebert, nella lontana Toronto. Mestieri, i loro, che dovrebbero trovare spazio enorme qui ad Ischia, perché almeno sulla carta viviamo ancora di turismo e dovremmo accogliere a braccia aperte i profili professionali di rilievo affini a questo settore. E invece, li costringiamo ad andar via, talvolta per sempre.
E’ un’isola, Ischia, che non paga più e non solo materialmente. La sua è una deriva che abbiamo il dovere di arginare. Subito.
Tristemente vero. Se uno ha un curriculum troppo qualificante non se lo prende nessuno perchè si vuole risparmiare sullo stipendio e si prendono apprendist, stagisti e i ragazzi “scuola – lavoro” che costano zero. Che la preparazione e l’entusiasmo non servono si vede da tanti anni, bene fanno allora i giovani ad andarsene. Il futuro di Ischia lo vedo nero, ci stiamo scavando la fossa con le nostre mani.
Il problema principale (secondo me)penso che sia la sovrappopolazione dello scoglio,mano d’opera a basso prezzo e sottopagata ,perche’ ce ne e’ in abbondanza, inoltre molti giovani che NON vogliono far niente,e genitori culturalmente..”u figli mijj…” e’ una mentalita’limitata rapportata all’isola dove il mare delimita il proprio mondo…. i costumi le professionalita’ e le menti…. si dovrebbe uscire dal mondo Ischia, e, capire che il mondo gira ANCHE in altro modo….Ischia e’ un mondo a parte,piu volte ho provato a discuterne ma la risposta e’ stata sempre la stessa : ca’ e’ accussi’…. consapevolmente non si vuole cambiare ,fondamentalmente si sta ancora bene ed esce solo chi ne ha veramente bisogno o chi ha voglia di non fare il cameriere a vita…
la vita e il successo sono sempre oltre il confine del proprio giardino.
quindi! nulla di nuovo in questo articolo.