E’ impressionante analizzare il dato pubblicizzato nei giorni scorsi che riguarda i cosiddetti “magnifici 100”, ovvero i brand globali con il più elevato valore economico del pianeta. Nelle prime dieci posizioni, ben cinque sono occupate da aziende hi-tech (Apple al primo posto, Google al secondo, Microsoft al terzo, Samsung al sesto, Facebook all’ottavo e IBM al decimo), una al retail (Amazon al quinto), due all’automobilistico (Toyota al settimo e Mercedes-Benz al nono) e una sola al food and beverage (Coca-Cola al quarto). Tra queste, solo le ultime due menzionate hanno subito un calo (-5 e -6%), ma nonostante tutto stiamo parlando di valori elevatissimi (in dieci, all’incirca 770 miliardi di dollari sui circa 1900 complessivi). Nella mega-classifica, vanno registrate le new entries di Netflix (il colosso dei film on line), Salesforce.com (ormai il CRM –custom relationship management- più diffuso al mondo) e la nostra Ferrari.
Dopo aver citato un po’ a volo d’uccello queste informazioni, rilevando altresì che il dato di crescita più impressionante è quello di Facebook, dove il “giocattolo” di Mark Zuckerberg porta un +48% che di questi tempi lascia senza parole, dobbiamo senza dubbio convincerci che la tanto sbandierata crisi si sta ponendo ormai alle nostre spalle. I cosiddetti “brand finanziari” di questa classifica, infatti, ne occupano oltre il 15% del valore; grandi nomi del retail sono presenti con forza e con indicatori positivi (parliamo non solo di Amazon ottimo quinto, ma anche di Ikea e e-Bay, rispettivamente venticinquesimo e trentaquattresimo); ma soprattutto va sottolineato che il tecnologico continua a farla da padrone, piazzando ben quindici aziende su cento con numeri da capogiro. Ergo, i beni voluttuari, in barba alla piramide di Maslow (che per chi non conoscesse il vecchio Abraham, stabiliva –in sintesi- che non è possibile soddisfare i bisogni secondari senza aver prima fatto fronte a quelli primari), continuano a farla da padroni nelle intenzioni dei consumatori mondiali.
Una valutazione alquanto incoraggiante, per certi versi, che prescinde dalle raffinatezze dei grandi economisti e/o sociologi che in questo genere di comportamenti potrebbero, a giusta ragione, scorgere una sorta di incoscienza gestionale da parte del cittadino/capofamiglia medio. Mi sembra più semplice, invece, considerare la possibilità che se da una parte la cosiddetta soglia di povertà continua ad accogliere sempre più italiani (giusto per restare a casa nostra) e la crescita del p.i.l. nazionale resta timida ma ritorna con insistenza, i soldi sembrano non aver mai smesso di sostare nelle tasche e sui conti di tutti noi, ma soprattutto di girare, seppur timidamente e talvolta a rate mensili caricate di interessi, dalle tasche ai vari negozi sia fisici che on line.
Stringiamo ancora un po’ di più l’obiettivo, adesso! Ischia: cosa manca alla nostra isola per diventare a tutti gli effetti parte integrante della ripresa economica e sociale che, lentamente, sta riguardando il nostro Paese? Credo sia semplice: 1) la pretesa di non isolare, ma coinvolgere appieno nella rappresentatività delle sei amministrazioni locali, la zona rossa a cavallo tra Casamicciola Terme e Lacco Ameno, per la definizione a strettissimo giro di tutte le problematiche successive al 21 agosto e garantire l’immediata riapertura di tutte le attività della zona nonché il futuro di ogni singola famiglia rimasta senza casa. E’ impensabile pensare di far partire la stagione turistica 2018 portandoci dietro il bubbone di Majo e Fango, delle loro aziende e, soprattutto, della loro gente! Va ricordato, peraltro, che proprio in questi giorni, la Regione Campania ha assegnato al Comune di Ischia la titolarità –finanziata- della progettazione e della realizzazione di una serie di opere pubbliche, tra cui i tredici appartamenti richiesti nel 2006 alla Protezione Civile Nazionale dall’Amministrazione Brandi, da destinare alle famiglie sfollate dalla zona rossa dell’Arenella dopo la frana del 30 aprile di quell’anno. Sono passati “appena” undici anni e mezzo, non ci si può ripetere anche in quest’occasione! 2) riprendere e sostenere l’iter legislativo del Comune Unico, sforzandoci ad accettare in barba al campanile quella semplificazione amministrativa che già da anni ci avrebbe aiutato non poco, figuriamoci adesso; 3) attivare un’interlocuzione immediata con il Ministero delle Infrastrutture e la Regione Campania, affinché si consideri subito una revisione dei vincoli paesaggistici e dei piani urbanistici territoriali che consenta di far ripartire l’edilizia (e, di conseguenza, tutti i settori artigianali e commerciali ad essa connessi) sia per gli immobili abitativi da rifinire e completare sia per quelle opere indispensabili al comparto imprenditoriale e al “sociale” bello e buono (impianti sportivi, di depurazione, scuole, edilizia pubblica etc.) che favoriscano la crescita in positivo di tutta l’Isola, non solo dei singoli Comuni. 4) Pretendere dalle nostre sei amministrazioni comunali una strategia comune che affronti concretamente, di concerto con gli enti sovracomunali – ove necessario- le “palle al piede” che ci impediscono sistematicamente di decollare, offrendo il meglio a tutti gli Ospiti che ogni anno ci premiano con la loro presenza turistica. Traffico, trasporti, sanità, accoglienza, decoro: valori non più trascurabili che meritano di toccare i massimi livelli, visto che l’eccellenza è senza dubbio ancora alla nostra portata. 5) Adottare un piano marketing serio e condiviso dalle amministrazioni locali, che rilanci la nostra immagine prima sul territorio nazionale e, subito dopo, dimostri la voglia di tutte le forze buone presenti sul territorio di “stare insieme” e investire per il brand Ischia, prima che per quello della propria azienda, garantendo una continuità nell’azione promozionale che serva e faccia bene a tutti, nessuno escluso.
Siamo parte del mondo globale anche noi. Una piccola parte, ma ci siamo. E non possiamo far finta di nulla. Oggi più che mai.
Abbiamo i soldi per comprare l’ultimo modello di cellulare della Apple o della Samsung o un anonimo divano Ikea, per bere costantemente Coca-Cola o per fare l’abbonamento a Netflix (Google e Facebook invece li paghiamo senza accorgercene tramite la pubblicità).
Compriamo su Amazon o su Ebay l’ennesimo paio di sneakers trendy ma in compenso non avremo mai i soldi per comprare o costruire una casa, e per fortuna che le abbiamo ereditate dai nostri genitori o dai nostri nonni.. abbiamo una scuola e una sanità sempre più carenti, e le nostre pensioni saranno ben diverse da quelle dei nostri genitori per via del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
I posti di lavoro si sono sempre più precarizzati nel corso del tempo: da tempo indeterminato a tempo determinato, a part-time, a voucher, a stage non retribuito.. finché il tuo lavoro da operaio o da impiegato non l’hanno definitivamente delocalizzato in Cina o in Albania e buonanotte ai suonatori.
La ricchezza si è concentrata sempre più nelle mani di pochi che hanno saputo sfruttare la globalizzazione, come hanno dovuto ammettere recentemente anche il finanziere Guido Brera e l’ex industriale (fallito) Edoardo Nesi nel loro ultimo libro “Tutto è in frantumi e danza”.
Lo stock di ricchezza totale magari è rimasto invariato, ma la piramide si è appuntita verso l’alto: molti sono costretti a “drogarsi” con cazzatine voluttuarie ed estemporanee per sfuggire alla realtà e concedersi una botta di dopamina.. e allora vai coi bingo, le slot-machine, i negozi di scommesse che vanno alla grande anche sulla nostra isola, e le conseguenti ludopatie galoppanti.
Anche da noi la ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi albergatori, pochi supermercatari, pochi studi legali, pochi re della distribuzione.. attorniati da aspiranti vassalli in cerca di posti da cameriere o portiere o commesso, oppure da scaldasedia nella pubblica amministrazione o nelle partecipate o nel vigilato urbano.
C’è feudalesimo, feudalesimo ovunque…