attori e spettatori di Anna Fermo | Mentre scriviamo, le sirene di allarme per i razzi da Gaza stanno di nuovo suonando a Gerusalemme ed il portavoce militare ha appena confermato: “Aerei israeliani hanno bombardato il mercato ortofrutticolo di Jabalia, nel nord della Striscia…. I morti sono oltre 50”. Yoav Gallant, ministro israeliano della difesa ha infatti ordinato “l’assedio completo” della Striscia di Gaza: “Ho ordinato il completo assedio: non ci sarà elettricità, né cibo, né benzina. Tutto è chiuso”. “Stiamo combattendo animali umani e ci comporteremo di conseguenza”.
“Nessun negoziato possibile” al momento con Israele, ha poi risposto di contro un funzionario di Hamas a Doha in Qatar.
Cosa sta accadendo?
“Di gran lunga la peggiore giornata nella storia di Israele”: così un portavoce delle Forze di difesa di Israele ha definito il 7 ottobre, sabato scorso, giorno dell’attacco di Hamas allo Stato ebraico. Un attacco paragonabile a Pearl Horbor o all’11 settembre. “I combattimenti sono ancora in corso nel Sud di Israele, terroristi sono ancora nel Paese, sono entrati circa mille palestinesi assetati di sangue, sono andati casa per casa, edificio per edificio per massacrare civili e militari israeliani… Mai nella storia di Israele ci sono state tante vittime per un solo attacco”.
C’è una sola priorità al momento: “entrare a Gaza”; come ha detto Benyamin Netanyahu a Joe Biden nel corso del colloquio telefonico di domenica. “Dobbiamo andare dentro. Non possiamo trattare ora”.
Secondo il Washington Post, gli Usa si aspettano una vasta operazione via terra contro Hamas a Gaza nelle prossime 24-48 ore ed Israele avrebbe infatti chiesto agli Usa missili per l’Iron Dome, bombe di piccolo diametro, munizioni per mitragliatrici e una maggiore cooperazione nella condivisione di informazioni di intelligence per rispondere al durissimo attacco di Hamas.
Il nuovo bilancio dei morti israeliani continua intanto a salire ed è arrivato ad 800. Sono 2.900 i feriti, moltissimi gravi. Ci sarebbero poi ancora 750 dispersi ed almeno 100 ostaggi nelle mani di Hamas. Tra loro americani e tedeschi. E poi, ci solo loro, i circa 260 giovani, morti al rave dei giovani pacifisti nel deserto. I morti palestinesi a Gaza per gli attacchi di Israele sono arrivati a 560. “Oltre 123.538 persone sono state sfollate all’interno di Gaza, principalmente a causa della paura, dei problemi di protezione e della distruzione delle loro case”, ha segnalato l’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, Ocha, con oltre 73.000 rifugiati nelle scuole. Sono numeri che atteriscono e che purtroppo non lasciano presagire altro che una ulteriore escalation del conflitto.
Spiace dirlo, ma purtroppo è cosi, il Medio Oriente si conferma una pericolosa polveriera pronta ad esplodere.
Il riconoscimento diplomatico di Israele da parte dell’Arabia Saudita, esito sperato degli Accordi di Abramo siglati nel 2020 tra Riad, Gerusalemme e Washington, sembrava imminente, ma dopo i recenti attacchi da parte dell’organizzazione paramilitare palestinese Hamas, costola dei Fratelli Musulmani che dal 2007 controllano la Striscia di Gaza, la pacificazione di queste terre sembra davvero più lontana che mai. L’incursione armata nel sud di Israele, perpetrata intorno alle 7 del mattino di sabato 7 ottobre, apre non a caso una nuova fase del conflitto israelo-palestinese e per il governo di Benjamin Netanyahu torna lo spettro della guerra del Kippur del 1973. I numeri delle vittime e degli ostaggi non smettono di crescere e si affollano le notizie e le immagini devastanti riportate dai media internazionali.
Migliaia di razzi, (almeno 5.000 quelli accertati), hanno colpito decine di villaggi israeliani al confine, spingendosi fino a Tel Aviv. L’attacco non è stato solo via aria, ma come abbiamo visto, anche via terra: i miliziani si sono introdotti nel territorio israeliano, facendo irruzione al rave party Festival Supernova di Re’im, dove erano presenti 3.000 giovani. Qui sono stati ritrovati nelle ore successive i 260 corpi di ragazzi barbaramente uccisi. Tra i dispersi c’è anche la giovane Noa, una delle tante ragazze che è stata rapita e portata via in motorino da alcuni miliziani, come è stato mostrato da alcuni istanti di un video straziante fatto circolare sui social.
Un attacco a sorpresa? Purtroppo non si può dire che sia andata davvero così. La Striscia di Gaza è una delle aree più densamente popolate del pianeta, nonchè una delle aree più pesantemente bloccate, sorvegliate e represse. Israele ha sviluppato un apparato di intelligence e un’aggressiva industria dello spionaggio digitale intorno alla promozione dei suoi interessi geopolitici, in particolare l’interminabile conflitto nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ed è per questo che sembra al quanto inverosimile quanto accaduto sabato. L’attacco a sorpresa è scioccante non solo per la sua portata rispetto agli attacchi precedenti, ma anche per il fatto che è stato pianificato ed eseguito all’insaputa di Israele, sottolineando i limiti di uno dei più invasivi sistemi di sorveglianza al mondo.
Come anticipato da alcune indiscrezioni rimaste inascoltate e fatte circolare alcuni giorni prima dagli 007 egiziani, come riporta Times of Israel, citato dal Corriere della Sera, è dimostrato che ci sia stata una grave falla nel sistema di intelligence israeliano, che non è stato in grado di prevedere e intercettare il complotto, verosimilmente preparato negli ultimi mesi. Per carità, oggi la risposta di Israele, che attraverso il suo primo ministro ha dichiarato: “Non è un’operazione, siamo in guerra”; non fa una piega. Intendono “rispondere alla guerra con un’ampiezza che il nemico non ha conosciuto finora”. “Il nemico – ha sottolineato Netanyahu – pagherà un prezzo che non ha mai dovuto pagare. Siamo in guerra e la vinceremo”. Eppure, l’intelligence non ha funzionato! E’ gravissimo!
La reazione dell’Occidente, ma anche di Cina e Stati Uniti, a sostegno dello storico alleato è doverosa così come la solidarietà internazionale: “La violenza non può fornire alcuna soluzione, soltanto dei negoziati possono portare alla pace tra i due Stati” è stato l’appello del segretario generale Onu António Guterres, che ha esortato la comunità internazionale a mettere in campo tutti gli sforzi diplomatici per evitare un allargamento del conflitto e un’escalation militare dalle conseguenze disastrose.
“Il Governo esprime la sua vicinanza e la sua solidarietà al popolo d’Israele e alle comunità ebraiche italiane. Il terrore non prevarrà mai”, ha commentato la nostra premier Giorgia Meloni, auspicando “un rapido decremento del conflitto, evitando un allargamento che avrebbe conseguenze incalcolabili per tutta l’area”.
Purtroppo, le tensioni tra Palestina e Israele, hanno una matrice storica che affonda le sue radici nel sionismo di fine dell’Ottocento, un’ideologia politica che promuoveva la creazione di uno Stato di Israele in Palestina. La risoluzione 181 del 1948 dell’Onu avrebbe dovuto sancire la creazione dello Stato di Israele e dello Stato arabo di Palestina, ma quest’ultimo non si è mai materializzato e la Guerra dei Sei Giorni ordita da Israele contro Siria, Egitto, Giordania e Iraq ha contribuito ad allontanare un possibile accordo di pace, riscrivendo la geografia politica della zona. Complice l’effetto a sorpresa Israele riuscì a strappare una vittoria strategica, sottraendo la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. Alla “risoluzione 242” delle Nazioni Unite che subordinava il ritiro israeliano dai Territori Occupati ad una pace “giusta e duratura” e alla cessazione delle attività terroristiche da parte dei palestinesi aderì Israele, insieme ad Egitto e Giordania, mentre i palestinesi che avevano l’appoggio della Siria la rifiutarono.
I contendenti rimasero fermi sulle loro posizioni e le diverse mediazioni non arrivarono a nulla, anzi, la popolazione palestinese fu costretta ad un nuovo esodo come quello del 1948. Da allora sono seguite la guerra del Kippur, le due Intifade palestinesi e in mezzo gli accordi di Oslo del 1993, che nonostante l’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la Striscia di Gaza, non hanno portato al riconoscimento dello Stato di Palestina. Dal 2005 Israele ha liberato la Striscia di Gaza, che tuttavia continua a dipendere dal Paese confinante per la fornitura di gas, acqua, petrolio e beni di prima necessità, stretta com’è tra Israele e il mare. Da allora non sono mancate le tensioni e le provocazioni con reciproci attacchi terroristici. Israele inoltre non ha mai rinunciato alle proprie politiche di insediamento in Cisgiordania, costruendo nuove case per i coloni nonostante la risoluzione 242 dell’Onu abbia ingiunto a Israele di ritirarsi dai territori palestinesi conquistati militarmente durante la Guerra dei Sei Giorni.
Per carità, niente giustifica un brutale attacco terroristico come quello consumatosi contro civili inermi nella notte tra il 6 e il 7 ottobre, ma di certo in questi anni nessuno dei due Paesi si è realmente battuto per una pace giusta e questo conferma che non sarà facile fermare l’escalation che tanto temiamo.
Ben detto, l’articolo tuttavia, poteva limitarsi già alla 40° riga…
Per la serie: Il resto è noia…