La vendetta è un piatto che va gustato freddo. È questo il modo migliore per introdurre la proposta di Legge presentata lo scorso 20 marzo alla Camera dei Deputati dall’on. Vietri e altri. Una legge che non è un condono, come dice lo stesso relatore e che tratta le “Modifiche all’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di sanatoria degli illeciti edilizi”.
Per comprendere di più quale sia il senso di questa legge, pubblichiamo un ampio resoconto della relazione introduttiva dell’On. Vietri. Tuttavia, prima di approfondire il testo, vale la pena evidenziare due aspetti non secondari. Il primo è che Vietri è un onorevole di Fratelli d’Italia (molto vicino alla Meloni) e che questa proposta arriva dal partito di governo.
“Con l’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 – inizia Vietri rivolgendosi agli Onorevoli -, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è stata consentita la regolarizzazione delle opere edilizie esistenti non conformi alla disciplina vigente, mediante il rilascio in sanatoria del necessario titolo abilitativo. Il comma 25 del medesimo articolo ammette a condono le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 per le quali gli interessati, così come prescritto dal successivo comma 32, hanno provveduto a presentare la specifica domanda di definizione dell’illecito edilizio, tra l’11 novembre 2004 e il 10 dicembre 2004. Gli interventi normativi promossi dalle regioni non sempre hanno agevolato la corretta applicazione della normativa, risolvendosi, talvolta, in una immotivata riduzione delle possibilità di accesso al beneficio del condono, e, talaltra, addirittura in un fattore preclusivo altrettanto ingiustificato. Da ciò è derivata un’applicazione dell’istituto del condono non sempre uniforme, con il configurarsi di situazioni oggettive di disparità di trattamento tra i cittadini, assolutamente incompatibili con il principio di uguaglianza enunciato dal- l’articolo 3 della Costituzione”.
IL “TORTO” DI BASSOLINO AI CAMPANI
In maniera puntuale Vietri fa a pezzi la sinistra di Bassolino: “Emblematica, in tal senso, è la vicenda normativa che ha interessato la regione Campania. Con deliberazione della giunta regionale n. 2827 del 30 settembre 2003 (integrazione alle linee guida per la pianificazione territoriale in Campania, di cui alla deliberazione n. 4459 del 30 settembre 2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi) veniva disposta, mediante specifica prescrizione intitolata «divieto di sanatoria», una preclusione assoluta al condono edilizio disciplinato dal citato decreto- legge n. 269 del 2003, essendosi stabilito che nel territorio di quella regione « non è ammessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti ».
Avverso tale previsione il Presidente del Consiglio dei ministri sollevava conflitto di attribuzioni accolto dalla Corte costituzionale che annullava l’atto deliberativo adottato dalla Campania, statuendo che «non spetta alla regione Campania, e per essa alla Giunta regionale, adottare un atto con il quale si nega efficacia, all’interno del proprio territorio, ad un atto legislativo dello Stato». A seguito della pronuncia della Corte costituzionale veniva approvata la legge regionale 18 novembre 2004, n. 10, recante disposizioni anch’esse finalizzate a restringere l’ambito di applicazione della disciplina del condono edilizio, comprimendo in termini pressoché assoluti la portata del citato decreto-legge n. 269 del 2003, reso, di fatto, nuovamente inoperante. Anche della questione relativa a tale ultima previsione legislativa veniva investita la Corte costituzionale che, con sentenza n. 49 del 6 febbraio 2006, dichiarava ancora una volta l’illegittimità costituzionale della legge regionale n. 10 del 2004. Ai cittadini campani, pertanto, già disorientati dall’enunciato della delibera n. 2827 del 2003 che illegittimamente dichiarava il condono inapplicabile in Campania, è stata di fatto preclusa la possibilità di utilizzare lo speciale istituto di sanatoria previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003, posto che, in costanza del termine perentorio fissato per inoltrare la richiesta di condono edilizio, entrava in vigore una normativa regionale fortemente restrittiva che impediva la regolarizzazione della quasi totalità degli abusi realizzati entro il 31 marzo 2003. La stessa sentenza della Corte costituzionale ha esaminato congiuntamente le leggi approvate in materia da altre regioni (Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Marche ed Emilia- Romagna), pronunciando la parziale illegittimità anche delle leggi regionali delle Marche e dell’Emilia-Romagna e, in particolare, la seconda nella parte in cui introduceva una sanatoria straordinaria gratuita non compatibile con le esigenze della finanza pubblica, che avrebbe portato molto probabilmente a una nuova legge regionale per il condono oneroso degli illeciti ante 1977.
LA VANA RICERCA DEI TITOLI EDILIZI
Come è noto, molti cittadini, proprietari di abitazioni costruite prevalente- mente negli anni 50/60 e 70, in fabbricati pluripiani, nell’effettuare presso gli archivi dei Comuni la ricerca dei titoli edilizi per accedere ai vari bonus edilizi, hanno scoperto delle irregolarità praticate dai costruttori dell’epoca non regolarizzabili con le vigenti norme in materia. Altri cittadini hanno presentato domande di regolarizzazione edilizia ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326 anche per gli immobili ricadenti in zone sottoposte a vincoli. Oggi molti Comuni si trovano a dover dichiarare improcedibili tali domande e a emettere i conseguenziali provvedimenti di rigetto e ordinare il ripristino dello stato ante abuso edilizio. Ciò comporta un contenzioso tra cittadini e Comuni che rallentano l’ordinaria attività lavorativa degli uffici tecnici e di quelli legali; i ricorsi dei cittadini ai Tribunali Regionali rallentano le attività lavorative ordinarie degli stessi; i cittadini sono costretti a sostenere ingenti spese giudiziarie.
ANCHE PER LE AREE SOTTOPOSTE A VINCOLI
Con il diniego delle domande di condono, improcedibili perché ricadenti in aree sottoposte a vincoli, (senza nemmeno entrare nel merito e/o giungere ad un equilibrio mediante prescrizioni) i Comuni sono costretti a restituire le somme versate per gli oneri concessori e il costo di costruzione (molte volte le somme sono state già spese dagli Enti Locali) con gravi problemi per i bilanci degli stessi.
Lo Stato italiano dovrà restituire le somme versate a titolo di oblazione. La presente proposta di legge non è un nuovo condono edilizio, ma mira, attraverso una riapertura dei termini per la presentazione della domanda di regolarizzazione degli abusi edilizi commessi entro il 31 marzo 2003, a consentire a quanti non hanno potuto presentare la relativa domanda alla scadenza prevista dall’articolo 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, a causa di interventi normativi regionali poi dichiarati incostituzionali, o di chi era ignaro di avere una proprietà con abusi edilizi perché acquistato in buona fede, di poterla presentare con l’osservanza delle stesse modalità presentate dal medesimo articolo 32 e a dare la possibilità di presentare domanda di condono anche per gli immobili ricadenti in aree sottoposte a vincolo, fermo restante (così come è avvenuto per il primo e secondo condono edilizio) il vincolante parere dell’Ente preposto alla tutela del vincolo.
BYE BYE DOPPIA CONFORMITÀ URBANISTICA
La semplificazione dei procedimenti amministrativi deve necessariamente riguardare anche i procedimenti di sanatoria ordinaria, mediante il superamento dell’attuale istituto giuridico della c.d. doppia conformità urbanistica, in quanto l’istituto giuridico della doppia compatibilità introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla L. n. 47/85, nel corso degli anni si è rilevato illogico e contraddittorio in quanto ha impedito di sanare i manufatti edilizi conformi alla normativa vigente alla data di presentazione dell’istanza.
Allo stato, l’articolo 36 del Testo unico dispone che in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in caso di difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33 comma 1 e 34 comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Quindi, ai fini dell’ottenimento della sanatoria per gli abusi formali, si richiede la cd. doppia conformità alla normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza e all’epoca di esecuzione delle opere illecite.
Il problema della doppia conformità si è posta all’attenzione di molti anche e soprattutto di recente in seguito all’introduzione del cd. Superbonus 110%, in quanto dimostrare la conformità alla normativa vigente all’epoca dell’esecuzione delle opere abusive avrebbe rischiato di bloccare e far naufragare gli interventi di riqualificazione urbanistica, sismica ed energetica soprattutto per gli edifici costruiti in data antecedente al 1967, per i quali è risultato difficile se non impossibile rinvenire idonea documentazione presso gli enti comunali. Pertanto, al fine di semplificare ed accelerare le pratiche burocratiche, il decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 ha consentito la presentazione della CILA, comunicazione di inizio lavori asseverata.
Seguendo i principi espressi per un certo periodo dalla giurisprudenza in materia di sanatoria edilizia c.d giurisprudenziale, si interviene a modificare l’articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, prevedendo che l’immobile può essere oggetto di sanatoria qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda e qualora per il rilascio del permesso in sanatoria occorra acquisire l’autorizzazione paesaggistica postuma di cui all’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il responsabile dell’ufficio deve indire la conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990. Al fine di salvaguardare il principio di legalità che deve caratterizzare l’agire tanto privato quanto pubblico della pubblica amministrazione, si interviene eliminando l’istituto del silenzio-rigetto o diniego, che è in palese contrasto con il principio della leale e trasparente collaborazione tra i cittadini e la pubblica amministrazione, dell’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi e, di conseguenza, a tutela del diritto di difesa contro gli atti ed i provvedimenti della Amministrazione, costituzionalmente garantito dall’art. 113 della Costituzione.
“BLOCCATA” LA SOPRINTENDENZA
Si prevede, inoltre, che se l’intervento non è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca della realizzazione, il rilascio del permesso di costruire è subordinato al pagamento a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura tripla rispetto a quella prevista dall’art. 16 del D.p.R. n. 380/2001. Le misure di semplificazione e celerità inducono a modificare anche il decreto legislativo n. 42 del 2004. In uno spirito di coordinamento e collaborazione tra enti, viene altresì previsto che la Soprintendenza preposta alla tutela del vincolo qualora ravvisi l’incompatibilità dell’intervento con il vincolo, ha l’obbligo – prima di esprimersi in maniera sfavorevole – di indicare le soluzioni progettuali ed architettoniche da apportare al progetto per renderlo conforme alle esigenze paesaggistiche.
Inoltre, in aderenza all’orientamento della più recente giurisprudenza amministrativa, si precisa il perimetro della competenza dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Infine, in stretta connessione con le modifiche previste in materia di doppia conformità per l’autorizzazione edilizia e al fine di coordinare le norme in materia urbanistica – edilizia e paesaggistica si interviene a modificare la lettera a) e c) degli articoli 167, comma 4 e 181, comma 1- ter del decreto legislativo n. 42 del 2004, stabilendo il principio per cui l’amministrazione competente accerta la compatibilità paesaggistica per i lavori realizzati in assenza o in difformità dell’autorizzazione paesaggistica per i quali è ammissibile la sanatoria di cui all’articolo 36 del D.P.R. 38 del 2001 e per i lavori configurabili oltre quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria anche di ristrutturazione edilizia.
Sempre nel solco della semplificazione, al fine di superare il gravoso onere che grava sul proprietario che, per mancanza di specifica normativa, è stato spesso risolto dalla prassi giurisprudenziale, è necessario intervenire ad integrare l’articolo 9-bis prevedendo il principio secondo cui per tali edifici la mancanza o l’indeterminatezza degli atti progettuali in sede comunale è automaticamente integrata dai dati catastali di primo impianto. Tale misura consentirà di velocizzare l’istruttoria da parte delle amministrazioni competenti anche mediante un maggior e celere coordinamento tra le stesse”.