Gaetano Di Meglio | La storia del piccolo Mattia ha vissuto il suo primo atto di “violenza istituzionale”. Un atto che è terminato con un nulla di fatto in attesa di una rapida interlocuzione tra i legali della parte e il collegio che si è espresso sulla base delle risultanze prodotte dagli assistenti sociali dell’Ambito di Ischia.
Nei giorni scorsi vi abbiamo parlato della storia del piccolo Mattia e della sua storia di “violenza istituzionale”.
Una storia iniziata otto anni fa con la denuncia di un presunto abuso sessuale domestico, terminato penalmente con un’archiviazione perché “non avrebbe retto in giudizio” ma civilmente finito dopo un contenzioso, appunto viziato dall’agire di chi avrebbe dovuto, invece, comprendere ed essere vicino ad una donna che si è trovata ad affrontare una montagna di nero e di buio in solitudine e con la gestione di un figlio, affetto da favismo, e alle prese la sordità delle leggi.
Ieri pomeriggio a via Pannella, si sono presentati i Poliziotti del Commissariato di Ischia e gli assistenti sociali per mettere in esecuzione la pronuncia del Tribunale anche se, in verità, la Cassazione nel merito ha chiarito che certe azioni possono essere svolte solo in alcuni specifici casi e non in quello di cui stiamo parlando.
In borghese, con auto senza lampeggianti e con toni molti concilianti, gli agenti coordinati dal vicequestore Ciro Re hanno effettuato un accesso – poi sospeso in serata dopo un confronto tra il magistrato e gli avvocati della mamma a cui ha preso parte anche il sindaco Giacomo Pascale – insieme alle assistenti sociali di Ischia che è passato quasi inosservato. Un modo di agire delicato e rispettoso della situazione e, soprattutto, del piccolo Mattia.
Nelle ore precedenti, tuttavia, va annotato che il sindaco di Lacco Ameno, Giacomo Pascale – che, evidentemente, conosce bene i suoi – si era sentito in dovere di inoltrare alle assistenti sociali una nota nella quale ricordava di rispettare i loro obblighi di legge ma di farlo con forza proporzionata al fine di evitare ulteriori traumi al piccolo bimbo.
A Lacco Ameno era previsto anche l’arrivo dei vigili del fuoco che avrebbero dovuto sfondare il portone dell’abitazione della donna e, con la forza, permettere agli agenti di strappare dalle cure della mamma il piccolo Mattia.
Una scena, per fortuna, evitata ma che è collegata al confronto aperto con il collegio giudicante e con gli avvocati della parte che, in giornata, dovrebbero presentare alcune proposte e relazioni utili a trovare una soluzione diversa che, è chiaro, nel caso non arrivi sarà il solo preludio ad altre scene di assurda violenza istituzionale.
A questo punto, però, per affrontare con coscienza questa vicenda è giusto aggiungere qualche nozione in più. La storia di Mattia è simile a molte altre e l’iter che sta affrontando la mamma è simile a tanti altri. Così tanti e così assurdi che anche la Corte di Cassazione è intervenuta nel merito con l’ordinanza n. 286/2022.
IL CASO DI MATTIA
Uno degli aspetti del caso di Mattia è la cosiddetta “alienazione parentale” (o PAS), ovvero il rifiuto psicologico da parte di un figlio verso uno dei due genitori a causa dell’influenza dell’altro genitore. Nella maggior parte dei casi questo meccanismo si verifica durante il processo di separazione o di divorzio, ovvero in tutti i contesti in cui la conflittualità genitoriale è molto accesa. Questo concetto nasce negli anni 80′ quando la comunità scientifica definisce l’alienazione come una vera e propria “sindrome” che colpisce figli di genitori separati/divorziati. La PAS sarebbe, quindi, il risultato di un “lavaggio del cervello” fatto ai figli da parte di uno dei due genitori nei confronti dell’altro genitore che viene denigrato.
Su questo aspetto, però, è giusto sapere cosa ha detto la Cassazione. La Corte di Cassazione con l’ordinanza 286/2022 tratta della sindrome da alienazione parentale e ha stabilito che “il richiamo alla PAS e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo”. E, ancora, i giudici della Suprema Corte hanno stabilito che la bigenitorialità (quello che in parte si contesta alla mamma di Mattia, ndr) non deve essere garantita anche contro il superiore interesse del minore, che va sempre preso in considerazione quale primo criterio di giudizio”
Infine, la Corte di Cassazione ha anche condannato il mancato ascolto del figlio, che seppur dodicenne (nel caso dell’ordinanza) aveva capacità di discernimento.
Ma, attenzione, sempre collegandoci a quello che NON è successo ieri pomeriggio, la Cassazione ha anche condannato anche “l’uso della forza fisica che venne usata per prelevare il minore dalla abitazione nella quale viveva con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia”. Per la Cassazione, ditelo anche alle assistenti sociali di Ischia, usare la forza per allontanare i figli dalle madri usando la forza pubblica è una misura ritenuta ” non conforme ai principi dello Stato di diritto in quanto prescinde del tutto dall’età del minore, ormai dodicenne, non ascoltato, e dalle sue capacità di discernimento”.