Ida Trofa | L’alluvione che ha colpito le Marche nelle ultime 48 ore è l’ennesima tragedia annunciata, legata al maltempo, questo certamente, ma soprattutto dovuta all’assenza di prevenzione e coordinamento fra chi si occupa di tutela del territorio, emergenza, urgenza e protezione civile. Un male organico al nostrano Stato i cui effetti nefasti abbiamo pagato sulla nostra pelle di isolani, isolati e mal rappresentati.
Abbiamo ancora i morti che pesano sulle spalle di chi avrebbe dovuto agire e non lo ha fatto, di chi ha lasciato che le denunce, il grido di allarme e di paura rimanesse inascoltato. Un’emergenza legata alla fragilità del nostro territorio, agli abusi scriteriati che ne acuiscono gli effetti e che denunciamo, attraverso queste colonne, da sempre.
ISPRA. Ischia e Procida: 14.124 abitanti a rischio frane. 3.027 a rischio alluvioni
In base all’ultimo rapporto Ispra: il 93,9% dei comuni italiani (7423 municipi) a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera.1, 3 milioni di abitanti sono a rischio frane, 6, 8 milioni di abitanti sono a rischio alluvioni. Tutti i dati sono in aumento rispetto a quelli raccolti nel precedente rapporto dalla 2018.
Nelle due isole del Golfo di Napoli, Ischia e Procida, secondo i dati del’Istituto Italiano, a Forio vi è una popolazione a rischio frane di 2.038 abitanti, mentre quella a rischio alluvioni è pari a 500 abitanti. Lacco Ameno conta una popolazione a rischio frane di 1.019 abitanti rispetto a 409 abitanti a rischio alluvioni. Casamicciola Terme registra una popolazione a rischio frane 2.030 abitanti rispetto a quella a rischio alluvione di 299 abitanti; Ischia ha una popolazione a rischio frane di 3.666 abitanti conto quella a rischio alluvioni di 622 abitanti. Barano d’Ischia ha una popolazione a rischio frane di 2.995 abitanti con 732 abitanti a rischio alluvioni. Serrara Fontana viene indicata con una popolazione a rischio frane di 1.355 con gli abitanti a rischio alluvioni pari 359 abitanti. Sta meglio Procida con una popolazione a rischio frane di soli 1.021 abitanti alluvioni 106 abitanti. Per complessivi 14.124 abitanti a rischio frane e 3.027 a rischio alluvioni. Certo è che la nuova batosta conferma, più ancora di quel vuoto ischitano, la necessità assoluta di un monitoraggio capillare dello stato di sicurezza della nostra terra.
Un problema serissimo. Aggravato nei secoli, ma con una spericolata accelerazione negli ultimi decenni, dalle scelte compiute dagli uomini. Capaci di occupare ogni metro quadrato del terreno, fino a consumare (dato Ispra) il 22,8 per cento di spazio utile. Un problema, è vero, comune anche ad altre parti d’Italia e anche in tempi più lontani.
Emergenza dimenticata: quel vuoto in mezzo a due palazzi e giù in fondo il tombato
Guardando al passato e fatte le debite proporzioni tra tutte le realtà, Casamicciola Terme, senza ombra di dubbio, è l’emblema di questo disastro. Sinonimo di catastrofe per eccellenza, il destino non voglia, un giorno, potrebbe passare alla storia per essersi trasformata nella terra dell’apocalisse, trascinandosi dietro anche un pezzo importante di Lacco Ameno.
Fango è rimasto poco. Anzi il canale non scorre neanche più. Danni ancora tanti, come certe ferite che non si vedono, ma te le raccontano. Un pugno di mattoni in pieno volto, uno schiaffo di fango e acqua alla piccola Europa che fu culla del termalismo. Colpi dai quali non ci si rialza più.
L’ultimo affondo durissimo dopo le frane costiere del 2019 è stata la distruzione dell’Alveo La Rita nel 2021: non è cambiato niente e lo Stato ci ha davvero abbandonato. Oltre le strumentalizzazioni il nulla. Abbiamo celebrato (che schifo) il quinto anniversario del terremoto 2017, in autunno ricorderemo la tragica alluvione del 2009 e ad Aprile è ormai dimentica la tragedia del Monte Vezzi. Era il 2006. La massima di Pisone impera: “Si parla si parla e poi si finisce per non fare nulla.”
A Casamicciola, ma se riflettiamo a dovere anche a Lacco Ameno (alveo del Monaco, via Dei Carri, Alveo La Rita) resta di estrema gravità la questione del rischio idrogeologico, degli alvei da risistemare e sopratutto della necessità di pensare ad una mitigazione, ad una messa in sicurezza, e rischio idrogeologico.
Una bomba sulle nostre teste e sulle principali strutture ed infrastrutture isolane. C’è anche l’ospedale
Nel merito il tema dei temi è l’alveo La Rita. Perché? Perché la sua infinita diramazione sfocia e sarebbe bene dire incombe sull’Ospedale Anna Rizzoli, la scuola di Via Fundera, la centrale Enel che serve l’isola, le case in edilizia economica e popolare per poi sfociare all’ingresso del porto di Lacco Ameno. Ecco perché.
Qui, a La Rita, si sono registrati crolli nella parte bassa del tombato in questione e su via Terme La Rita e, sempre qui, da anni si discute dell’importante progetto di recupero con l’imbrigliamento delle acque che ora dilavano a cielo aperto. Per chi non conoscesse i luoghi si tratta della zona calda del terremoto tra Casamicciola e Lacco e delle questioni di lana caprina legate alle proprietà, agli espropri temporanei ed ai passaggi oltre che allo sfruttamento delle antiche ed omonime Sorgenti Termali.
Sono passati quasi due anni
“E’ urgente ripulire tutto l’alveo sia dalla vegetazione (tagliando gli alberi ad alto fusto caduti o in imminente pericolo di caduta), sia dall’immondizia e dai blocchi di materiale solido presenti all’interno. Infine è necessario eliminare tutto il materiale franato che l’acqua potrebbe trascinare a valle ma soprattutto ripristinare gli stramazzi oramai quasi inesistenti”. E’ soltanto la parte finale della relazione redatta dai tecnici del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spelelogico a seguito del dettagliato sopralluogo eseguito nel febbraio 2021 presso l’alveo tombato, laddove sgorgano le sorgenti termali di La Rita e dove fatiscenti complessi immobiliari sono stati oggetto di un crollo nella prima mattinata di sabato 13 febbraio 2021. Crolli che hanno creato danni anche alle strutture limitrofe. A breve saranno due anni che il crollo della struttura costruita sull’alveo e nell’alveo continua a tenere in scacco una intera comunità. Una comunità a rischio, ignara, quasi disinteressata alla potenziale bomba che potrebbe esplodergli sulla testa.
L’esito dell’ispezione degli speleologi sembrava non aver lasciato dubbi: bisognava agire con urgenza. Perché? Perché come recita in un altro passaggio la relazione “la possibilità di ulteriori crolli è sicuramente una realtà a dir poco imminente”.
Eppure, siamo ancora a sollevare una questione di cui dovremmo cominciare seriamente ad avere paura.
Parole inequivocabili quelle degli alpini che non avrebbero dovuto lasciare spazio ad attese di sorta e, non a caso, l’allora sindaco Giovan Battista Castagna, o aveva invocato l’intervento di tecnici ed esperti intuendo nel crollo un potenziale allarme, ha indirizzato una nota all’allora commissario per la ricostruzione post sisma, Carlo Schilardi, chiedendo un incontro urgente, svoltosi, venerdì 19 febbraio alle ore 12.00.
Schilardi accolse le richieste di Castagna pagando una parte degli interventi e lo smaltimento dei prodotti crollati con i fondi del terremoto: “Non c’è tempo da perdere, se c’è un aspetto sul quale non si deroga e non si indugia, questo è la sicurezza. C’è una situazione di pericolo che va immediatamente “disinnescata” e stiamo muovendo tutti i passi perché questo avvenga celermente”. Aveva tuonato il sindaco chiedendo ed ottenendo fondi anche dal Genio Civile per una prima somma urgenza. Tutto, mentre il privato propietario se ne fotteva di tutto e di tutti.
Lo stabilimento crollato è riferibile ad un noto politico locale. La struttura crollata ha occluso il tombato di cui si erano impossessati arbitrariamente. Così, mentre il tappo sull’alveo minaccia il paese, il politico, i suoi sodali, familiari e congiunti continuano a fare le loro attività, ad emungere le acque termali e a fare impresa. E questo ve lo abbiamo già raccontato. Come vi abbiamo raccontato di quasi 200 mila euro e forze più stracciati solo per inseguire le somme urgenze che non ha affatto risolto il problema ostruzione e rischi.
Crolli a cava La Rita. Ancora tutto fermo, nonostante le chiacchiere e gli stanziamenti
Doveva esser tutto e subito per dare sicurezza e tranquillità, invece sono mesi, anni, di stasi, inutili carteggi e spreco di danaro pubblico. Il rischio resta.
Instancabilmente portiamo all’attenzione dell’opinione pubblica lo scandalo di Cava La Rita e dei crolli delle vecchie terme. Quel vuoto spettrale tra i due parallelepipedi mozzati dei vecchi fabbricati destinati ai complessi termali e rimasti in piedi ci impongono di colpo di gridare mai più Marche.
I decisori istituzionali giocano all’allegro carteggio, al facciamo finta di niente che prima o poi si dimenticano e la bomba tombato resta innescata. Il rischio da febbraio 2021 resta dov’era nonostante le chiacchiere e le promesse. Si assiste ad una stucchevole e pericolosa fase di stallo, fatto di rimpalli di competenze ed attese. Intanto il pericolo incombe.
È oggi che il dramma delle Marche è anche il nostro ci fa gridare: Mai più fango, mai più Marche!
Gli interrogativi
I lavori sono fermi? Perché? I lavori sono stati eseguiti realmente? Che fine a fatto il pericolo e le urgenze che tutti i nostri esperti dalla Regione Campania, agli speleologi degli alpini, al Genio Civile, fino a comune commissariato per la ricostruzione gridavano? A chi dobbiamo fare il favore bloccando il ripristino in sicurezza del deflusso delle acque dell’alveo La Rita a causa del crollo dei fabbricati termali sovrastanti avvenuto quasi due anni fa? Possiamo continuare ad affidare il nostro destino al Santo protettore dalle frane e dalle alluvioni? L’UOD Genio Civile di Napoli – Presidio di Protezione Civile era stata individuata quale Soggetto Attuatore di una parte degli interventi. qual si sono stati i risultati prodotti?