Il “Valentino” non può e non dev’essere considerato il nome di un singolo locale, ma quello di una vera e propria epoca, la linea di demarcazione tra i due cognomi che hanno fatto il by night che conta sull’Isola senza mai un vero e proprio passaggio di testimone, ma vivendo a lungo questo primato in apparente pacifica coabitazione, anche nell’immaginario collettivo.
Il “Valentino” è stato il “club” degli anni d’oro, quello in Via Ferrante d’Avalos, il primo autentico piano bar di alto livello; quello dove l’allievo (Luciano) prendeva definitivamente le distanze dal maestro (Tonino) e cominciava un nuovo cammino; quello in cui i “guagliuncielli” sapevano bene di non poter entrare perché non era per loro; quello in cui la compianta tycoon signora Sachs arrivava senza preavviso ma trovava immancabilmente il tavolo riservato con un mazzo di rose, perché proprio non poteva fare a meno di trascorrervi tante notti brave, al punto da spingere per una pur breve apertura anche a Cortina d’Ampezzo; quello dove “da mezzanotte all’alba”, come recita la famosa sigla, era il teatro di importanti scene di vita vissuta, di amori e amicizie che andavano e tornavano in nuvole di fumo espirate liberamente perché, all’epoca, si poteva fare, così come era legittima la permanenza in un locale strapieno che oggi, secondo le normative di sicurezza, per la sua stessa conformazione, credo mai potrebbe riaprire.
“Valentino”, quindi, è stato un fenomeno con più volti: quello del Charly, ovvero l’alternativa di sé stesso per il pubblico più giovane e -diciamolo- meno facoltoso, che nel corso del tempo ne è diventato la costola e, ancora successivamente, parte integrante. Charly e Valentino, l’ennesimo colpo di genio del “leone bianco”, d’accordo con un altro imprenditore lungimirante come Carlo Magno, ha trasformato l’ex Garage Azzurro in quello che per oltre quarant’anni ha rappresentato il trionfo di quella citazione epicurea di Seneca (“L’unica felicità è godersi la vita”…), pay off ideale per chiunque convenisse sulla necessità di vivere appieno l’oggi perché, come disse Lorenzo de’ Medici, “di doman non v’è certezza”.
Chiunque, tra noi ex nottambuli, ha qualcosa di speciale da associare tra il Charly e il Valentino. Lo ha ricordato molto bene e con parole semplici Merinda De Vico su Facebook, da figlia primogenita di Costantino, per anni “angelo custode” di tutti i locali ischitani in qualità di agente di zona SIAE: “Il Valentino è un baule di serate infinite, compleanni, Mak P, feste, emozioni, voglia di divertirsi, e perché no… anche qualche lacrima. Così come il Jane e il Charly a caccia dei For lady, le tessere di papà, le cotte, i baci, il cosa mi metto? o le telefonate alle amiche: cosa ti metti? Tutto passa, è vero, ma il baule dei ricordi resta”.
E anche chi vi scrive, che per anni è stato assiduo frequentatore dei locali targati Baiocco-Bondavalli e dell’accoppiata Charly-Valentino in particolare, ne ha viste e fatte veramente tante: ricordo il giorno in cui Fulceri Camerini, che era solito salutarmi come “collega” in virtù del mio cognome e del suo titolo nobiliare, una sera rispose al mio saluto dicendomi: “Ex collega, prego: mio padre è morto, ora sono Duca”. O quella sera in cui dovemmo convincere la splendida Moana Pozzi a tornare in pista e proseguire il suo spettacolo, dopo che qualche scalmanato alquanto su di giri, vedendola completamente nuda durante lo show (quello del celebre “Come ti chiami?” rivolto al mitico Antonio D’Arco), lanciò un bicchiere di vetro che si frantumò a un passo da lei, costringendola a ritirarsi in camerino minacciando di non andare oltre. E come dimenticare il “pronto intervento” di Marcello quando, in un serata del “Top11” di Franco Campana in quel del Charly, Mario Quintoni chiese il pagamento del biglietto ad un ospite illustre che, nel giustificarsi con il più classico dei “Ma io sono Michel Platini!”, si sentì rispondere con tanto di erre moscia dall’intransigente cassiere: “E io sono Diego Avmando Mavadona! E’ una sevata pavticolare, deve fave il biglietto”.
Quanto, poi, alle marachelle personali, celeberrimi sono i “falsi sessantesimi compleanni” di Luciano che per diverse estati, anche due volte in un mese, annunciavo dal microfono del Charly e del Valentino, abbassando la musica del deejay o con la complicità di Maurizio Filisdeo e con il locale stracolmo, scatenando una marea di persone che correvano a fargli gli auguri (magari pretendendo un drink omaggio per brindare), il suo “nun è ver nient… chillu str…” e altri improperi.
Ulteriore volto e costola del Valentino, proprio come il Charly, è stato l’Ecstasy, creato inizialmente da Michele Iovene e, anni dopo, rilevato dai fratelli Bondavalli, che nel tempo lo hanno espanso creandovi il prologo di prima serata per favorire poi la prosecuzione ai “piani inferiori”, oltre alla location ideale per eventi d’ogni genere e che avessero quale denominatore comune il buon bere e la buona musica, ma riuscendo a conferirgli una propria, fortissima identità che forse oggi sarà chiamata a reggere il testimone di un’eredità difficile e dolorosamente terminata, da un giorno all’altro, per tutti.
Credo sia opportuno fermarmi qui, perché più vado avanti a spremere la mia memoria più mi saltano in mente episodi, emozioni, storie vere che appartengono non solo a me, ma a tantissimi amici di sempre e a intere generazioni, di Ischia e non solo.
Così come è inevitabile, non fosse altro che per mero dovere di cronaca, che con la chiusura del Valentino si chiude, almeno parzialmente (perché l’Ecstasy è ancora lì), la storica querelle con gli abitanti delle aree circostanti la Piazzetta dei Pini, che per anni hanno reclamato (a giusta ragione, aggiungo) la perdita assoluta della loro quiete. Come spesso accade, oggi sembra essere stato il destino a risolvere finalmente il problema, imponendoci però una riflessione importante: quanto sarà facile, con i tempi che corrono, per una comunità che necessita durante l’intero corso dell’anno “per sé e per i suoi” anche di una discoteca sufficientemente capiente ed accogliente, fare i conti con la burocrazia, i costi d’impresa e, soprattutto, con un piano di delocalizzazione e sicurezza che riesca ad accontentare tutti? Non so darmi delle risposte, almeno per il momento, così come non conosco (e sinceramente non mi appassiona conoscerle) le vere cause che hanno spinto Marcello Bondavalli e Gianni Magno (figlio di Carlo) a questo divorzio commerciale. Sono grato, però, a Marcello, al mitico Luciano e anche a Micky Latorella che ci hanno lasciato troppo presto, oltre a tutti quelli che hanno tenuto in piedi con il proprio lavoro un “giocattolo a più facce” tutt’altro che semplice, di aver offerto a me e ad altre generazioni antecedenti e successive alla mia tante notti di felicità che rappresentano un’esperienza indimenticabile da portare nel cuore. Per sempre.
Davide Conte
Un gran bel ricordo, un gran bel scritto…