La terza categoria italiana e la massima competizione europea hanno incassi completamente differenti. Le cifre che portano le piccole società al fallimento e le big europee a mercati lussuosi
Il Camp Nou e i piccoli stadi da provincia, due facce della stessa medaglia e di uno sport che vive di contraddizioni. Con un filo non troppo sottile che collega uno dei templi del calcio moderno con gli impianti di periferia: la passione. Inseguire la rete del vantaggio o difendersi dagli assedi avversari è ogni volta una nuova battaglia, un fortino da conquistare e una fortezza da proteggere. E non importa se in palio c’è un posto nell’Olimpo dei club o la permanenza in una categoria inferiore. O forse sì.
Quando formazioni come Barcellona e Real Madrid scendono in campo per una partita di Champions League, sanno che stanno giocando nei migliori campi del mondo contro le squadre più attrezzate del vecchio continente. Con l’obiettivo di vincere e dimostrare di essere superiori sul terreno di gioco. A loro poco importa se poi con il successo le casse societarie verranno rimpinguate e il presidente potrà permettersi nuovi acquisti. Qualche decina di metri più in là, lontano ma non troppo dal paradiso verde in cui svolazzano giocate angeliche, il presidente e il suo staff sudano e iniziano a fare due conti. Quanto può valere una vittoria in Champions League? Oltre alla gloria e alla storia, che sono discorsi per chi non deve far approvare un bilancio a fine stagione.
La calcolatrice del contabile di società si mette sulla modalità “on” e inizia a fare i suoi conti. Il solo ingresso alla fase a gironi vale sui 13 milioni di euro, a cui vanno aggiunti gli introiti derivanti da accordi con gli sponsor e partite vinte nel girone. L’accesso agli ottavi di finale porta nelle casse di ogni club altri 3,9 milioni, sempre escludendo extra di ogni genere. Entrare nei migliori otto della competizione significa imbottire il salvadanaio di altri 3,5 milioni, oltre a giocarsi la possibilità di entrare in semi finale. Nel caso il tentativo dovesse riuscire ecco altri 4,9 milioni di euro di introiti gentilmente offerti dalle casse della UEFA. Andare a giocarsi l’atto finale significa intascare altri 6,5 milioni di euro, che diventano 4 in più qualora l’impresa di alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie dovesse riuscire. Si aggiunga poi la cifra derivante dai diritti televisivi, che poniamo sui 35 milioni di euro arrotondando la media tra i guadagni di Barcellona (21) e Juventus (56) nella scorsa stagione. La calcolatrice completa il suo lavoro e il contabile strabuzza gli occhi: 70,8 milioni assicurati, al netto di incassi al botteghino, sponsor e marketing di vario genere. Una cifra che può permettere di fare follie sul mercato per esaltare i tifosi. Ma soprattutto di gonfiare il conto in banca.
Mentre al Camp Nou il contabile esegue i suoi calcoli e si frega le mani pensando al nuovo colpaccio con i soldi intascati, a Varese qualcuno fa due conti e scuote la testa. Mandare avanti la baracca in queste condizioni è veramente impossibile. Gli incassi medi in una stagione per una squadra di buon livello di Lega Pro sono appena superiori al milione di euro, le spese tre volte superiori. Pensare di continuare a gestire una società con un bilancio che grida pietà è impossibile. Qualcuno risolve vendendo le partite per scommessa, qualcun altro preferisce lasciare la dignità a una società e a un intero sport. E così il Varese, che pochi anni fa è stato ad una partita dalla Serie A, è costretto a ripartire dall’Eccellenza, con campi al limite del praticabile appena le nuvole spruzzano un po’ d’acqua su quel terreno una volta così verde.
Impossibile capire se Barcellona e Varese sono due facce dello stesso sport. Perché mentre una squadra prepara la trasferta al Parco dei Principi l’altra cerca la prima vittoria stagionale a Mariano Comense. E Dio solo sa se con un paio di tiri più precisi adesso starebbero attendendo una sfida qualche chilometro più in là, in quel di San Siro. Forse davvero sono due universi paralleli che in comune hanno soltanto il sogno di far gonfiare quella rete, di perdere il fiato tra una ripartenza e l’altra. Poco importa se sugli spalti ci sono decine di migliaia di tifosi o soltanto amici, parenti e poco più. E’ la passione la regina del calcio vero. E quella si può trovare in ogni campo.