domenica, Aprile 13, 2025

LETTERA APERTA (dal Paese dove il porto è cosa loro, ma anche un po’ nostra) | #4WD

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Carissimi concittadini,nel 4WARD di ieri, con tanto di virgolettato, Vi ho dedicato questa dichiarazione immaginifica di un presunto sindaco che all’insegna del “cosi è, se vi pare”, si rivolge alla cittadinanza invitandola alla rassegnazione sufficiente per accettare le sue decisioni capotiche e prive di ogni logica della buona amministrazione di ciò che è di tutti ma, nei fatti, lui ritiene sia suo. Chiaro è che ogni riferimento a chi avete immaginato egli sia (e so bene che ci siete riusciti) è puramente casuale. O forse no?Una cosa è certa: da semplici spettatori quali siamo, abbiamo avuto il privilegio – sì, il privilegio – di assistere in diretta alla nascita di una nuova forma di governo: la Portocrazia Comunale. Un sistema trasparente, dove tutto è limpido… come le acque del porto alle sei del mattino, prima che arrivi la puzza dello sversamento di qualche condotta fognaria o di altrettanto fetide sentine.Un sindaco – che, sia chiaro, non è solo un sindaco, ma il padrone di casa – ha deciso che il porto turistico è roba sua. Una mossa che alcuni definirebbero “coraggiosa”, altri “azzardata”, altri ancora “un regolamento di conti con contorno di morosità a base di prestiti e combustibili vari, gasolio nautico compreso”. Noi preferiamo chiamarla con il suo vero nome: presa di potere in grande stile.E guai a chi osa opporsi. Un imprenditore che credeva ancora nella parola data – poverino – si è visto voltare le spalle senza se e senza ma. Ha prestato denaro? Ha fatto favori? Ha creduto che ci fosse onore tra amici rispettando comunque la legalità e la stretta di mano al tempo stesso? Ingenuo. Ora si ritrova contro un muro di gomma (in altri tempi si sarebbe chiamato “faccia da c..o”), tante parole e promesse rimangiate e, soprattutto, un nuovo contenzioso in essere contro l’amministrazione. E come da copione, sarà il Comune (cioè noi) a pagare le parcelle degli avvocati. Ma cosa vuoi che sia, no? Un altro piccolo investimento nella “visione” di quel primo cittadino.Nel frattempo, la barca di famiglia del sindaco resta lì, salda al suo posto in banchina, da anni. A pagamento? Non si sa. Nessuno osa chiedere. Forse è parte del paesaggio, come il busto o la targa in piazza o il cane dell’ex marittimo (oggi provetto diportista) che gli fa compagnia quando va a pesca. Solo che quella barca, diversamente dal cane, occupa spazio pubblico. E produce onde, non certo affetto degno di carezze. E neppure fatturato per il Comune, men che meno per l’ex gestore.E mentre tutto questo succede, noi? Stiamo zitti. Per paura, per rassegnazione, o semplicemente perché siamo troppo impegnati a trovare parcheggio, a inciuciare fuori al bar con le amiche aspettando il figlioletto che esce da scuola, a cercare i soldi per pagare le bollette e la rata di mutuo, o semplicemente a pietire cazzetti nostri dai compagni di merende del sindaco-padrone all’insegna del #ciòfamiglia (meglio questo che l’apostrofo tra la consonante e il verbo). Intanto, il messaggio è chiaro: comanda lui. E se non vi va bene, arrangiatevi.Il paese, a quanto pare, non è più dei cittadini. È dei forti, di chi ha il cognome giusto, gli amici giusti, la barca giusta. Di chi può dire “questo è mio” anche quando è nostro. E se osi ribellarti, non ti arriva una risposta, ma una guerra senza quartiere e su ogni fronte possibile, senza eroi, con un solo (e solito) vincitore e tanti altri vinti e sottomessi.Ma sapete cosa? Prima o poi il silenzio si rompe, le barche si staccano e le onde tornano indietro. Sempre. E talvolta travolgono anche chi le ha sfidate, provocandole oltre il dovuto.Vostro, come e più di sempre, DAVIDE CONTE (Cittadino qualsiasi, ma non cieco).

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