Il sottosegretario di Stato alla Cultura del Governo Meloni, l’on. Gianmarco Mazzi, che ho avuto modo di conoscere nel corso della mia collaborazione pluriennale con Antonella Clerici, non è esattamente l’ultimo arrivato: basta dare uno sguardo al suo curriculum da autore e dirigente d’azienda per rendersi conto che stiamo parlando di una vera e propria autorità nel settore dello spettacolo e della comunicazione. E perché no… della cultura.
E proprio Mazzi è stato autore di una elegante quanto efficace reprimenda in aula avverso le solite lamentele di certa sinistra dal pensiero unico, quella che si ritiene depositaria da sempre di un’egemonia culturale che non può e non deve albergare altrove, neppure quando si tratta di un processo del tutto naturale allorquando vi sono ruoli che vanno in scadenza e che conferiscono a chi ha vinto le elezioni per governare il Paese il diritto di compiere delle scelte
«Non vogliamo imporre un’egemonia, ma liberare la cultura. Aria fresca. Se questo non vi piace dovrete farvene una ragione», è quanto riferito da Mazzi nell’aula di Montecitorio, replicando alle accuse di spoils system nell’ambito delle nomine già effettuate o imminenti in seno al dicastero guidato da Sangiuliano. A cattivo intenditor, poche parole, anche ben dette, che una volta e per tutte ricordano a chi fa finta di dimenticare che chi vince governa e decide. Per tutti. Ed è decisamente pleonastico ricordare ai soliti buontemponi e alle loro prediche inopportune che in tempi non sospetti la sinistra e i cinquestelle hanno fatto decisamente peggio, per buona pace di chi aveva sì il diritto di sbattere i piedi in terra, ma anche quello di soffrire in silenzio già sapendo di non ottenere altro oltre la ribalta mediatica di un giorno.
Ed era ora che in barba a quel maledetto compromesso storico che consentì al Partito Comunista Italiano prima e a chi ne ha raccolto l’eredità poi di fare del mondo della cultura italiana un vero e proprio feudo intoccabile, qualcuno mettesse mano in sede decisionale seguendo quel che è lo stile dettato dalle parole e dai fatti di Mazzi in termini di libertà e di freschezza, affrancandosi da quegli schemi precostituiti e apparentemente intoccabili imposti sin dal secondo novecento. Un metodo più che legittimo sia sotto il punto di vista squisitamente fiduciario sia, per quanto possibile, nell’ottica di valorizzare talenti sistematicamente esclusi dai posti che contano perché non appartenenti “al bottone”. Evviva!