Caso La Russa Junior: per la sinistra il problema non è il presunto stupro, non è un dramma di cronaca da chiarire né un procedimento giudiziario da innestare, è un romanzetto ideologico d’appendice sulla destra patriarcale, con i cattivi tutti maschi e tutti di destra!
ANNA FERMO| Una giovane donna di ventidue anni, ex compagna di scuola di Leonardo La Russa, lo incontra durante una serata in discoteca, lo saluta, poi beve uno o due cocktail, e da quel punto non ricorda più niente fino alla mattina dopo, quando, si sveglia a letto con lui che le avrebbe detto di avere avuto con lei un rapporto sessuale, e come lui anche l’amico che dormiva nella stanza accanto. La donna ne parla poi con un’amica, che le conferma di averla vista in stato confusionale e di aver tentato senza successo di portarla via. Poi, con la madre, va a farsi visitare all’ospedale Mangiagalli, dove le riscontrano una ferita ad una coscia e un’ecchimosi al collo. Lascia passare diversi giorni e poi fa denuncia di stupro!
Ci vorrà tempo per capire cosa sia davvero successo a casa del presidente del Senato Ignazio La Russa, e per verificare se le accuse mosse a suo figlio siano fondate, non fosse altro perché questa è davvero una storia ancora tutta da verificare ed in cui ci si districa fra quello che potrebbe essere successo davvero e quello che la donna, che ha sporto denuncia formale, è in grado di provare. Eppure, questa storia ci ripropone ancora una volta una riflessione su cosa sia il consenso, la reciprocità, la partecipazione o meno nell’atto sessuale e non di certo quel che sta veicolando il circo politico-mediatico. Lo stupro è diventato materia incandescente, ma dovrebbe esserlo anche il garantismo, che esiste per evitare invece stupri della giustizia (anche a danno dei presunti stupratori). Purtroppo fa male prendere atto che si sta facendo ideologia sulla pelle della ragazza, o del ragazzo, o di entrambi. E’ come voler rendere le persone mere accidenti, ingranaggi per dimostrare un teorema, il solito della sinistra: la destra patriarcale, dimentichi che oggi ci governa una donna di destra!
Leonardo La Russa non nega di avere fatto sesso con la ragazza mentre lei era sotto l’effetto di stupefacenti, ma nega di averglieli dati o somministrati con l’inganno. A questo punto, ci si chiede, davvero la ragazza in quel momento poteva non essere in grado di dare il suo consenso, né di ritirarlo anche avendolo dato in precedenza? La questione è tutta qui: non opporsi, non gridare e non lottare è o non è consenso? Se non lo è, sarebbe “stupro” secondo una definizione corrente.
Cosa c’entra dunque tutta questa strampalata teoria contro il maschio etc?
Elly Schlein con questa dichiarazione: «C’è stata una sottovalutazione quando abbiamo rivisto emergere chi, nostalgico del fascismo, ha rialzato la testa. Mano a mano ci siamo ritrovati al governo dei nostalgici», cosa voleva dire, che in Italia è tornato il fascismo perché il figlio del presidente del Senato è accusato di violenza sessuale? Davvero sembrano i “deliri da centro sociale di periferia”.
Il caso La Russa, che ci riporta anche al caso di Ciro Grillo, rinviato a giudizio insieme a un gruppo di amici con l’accusa di violenza sessuale e stupro di gruppo, perché simile nelle modalità e anche nella reazione del genitore celebre di riferimento, non possono sollevare questioni ideologiche così stupide.
Nel caso Grillo, tra l’altro, il processo è a rischio a causa del trasferimento di uno dei giudici competenti, ma anche qui, che si tratti o meno di persone celebri, nel più dei casi è ciò che avviene: la quasi totalità degli stupratori alla fine la fa franca così, semplicemente aspettando che passi il tempo.
Il codice penale italiano, all’articolo 609-bis, prevede che il reato di stupro sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, della minaccia, dell’inganno, o dell’abuso di autorità. In nessun modo lo stupro viene definito un rapporto sessuale senza consenso. Amnesty International, proprio in questi giorni ha dunque rilanciato la sua campagna, #iolochiedo, perché il consenso entri nel codice penale anche in Italia.
Una ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità relativa al 2021, ha confermato che nel mondo una donna su tre nel corso della sua vita subisce violenze fisiche e/o sessuali, principalmente da parte di un partner intimo. Il report Donne vittime di violenza, pubblicato dal dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno lo scorso marzo, ha evidenziato come in Italia si registri un trend in crescita per le violenze sessuali: dal 2020 l’incremento è stato del 33%: 5.991 casi. «La Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale di più vasta portata sul tema della violenza contro le donne, ha posto in maniera chiara il tema della necessità di passare dalla repressione alla prevenzione dell’abuso. Nonostante l’Italia abbia ratificato la Convenzione oltre dieci anni fa, il nostro Codice penale non è mai stato aggiornato secondo le direttive del documento» ha detto Tina Marinari, coordinatrice della campagna #IoloChiedo di Amnesty International Italia.
Così, se diversi stati europei hanno già allineato la definizione del reato di violenza sessuale alla Convenzione, definendo il sesso senza consenso come stupro, la nostra legge è ancora specchio di una cultura basata sulla discriminazione di genere, sullo sbilanciamento di potere nelle relazioni e sulla colpevolizzazione della persona offesa.
Una recente indagine Istat, non a caso, dice che, nel nostro paese, è più che mai radicato il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita per il modo di vestire (23,9% degli intervistati) o se sotto effetto di alcool e droghe (15,1%). Il 39,3% degli intervistati ritiene inoltre che una donna sia perfettamente sempre in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo desidera. Un altro sondaggio, fatto da IPSOS per Amnesty International Italia, riporta che il 31% degli Italiani ritiene che il rifiuto di una donna sia un modo per farsi desiderare, direbbe no, ma intenderebbe sì.
Va da se che la stragrande maggioranza delle violenze sessuali non viene mai denunciata. Paura, vergogna quanto il fatto che non esiste nella nostra legislazione una definizione chiara e inequivocabile di “consenso” che sgomberi il campo dalle interpretazioni fantasiose.
Qualcuno, non senza argomentazioni logiche, ha affermato: “non c’è scampo, è stupro quando la donna decide che lo sia. Qualsiasi episodio potrebbe essere classificato come stupro. Nessuno può avere la sicurezza di non essere denunciato per violenza sessuale, ma veramente nessuno. Poco importa se le accuse arrivino dopo mezz’ora, il giorno dopo o dodici mesi dopo, l’alea esiste per chiunque a prescindere dal fatto che l’episodio incriminato nasca in un contesto coniugale o extraconiugale, da una relazione stabile o da un incontro occasionale”. La teoria dice che «Affinché non vi sia violenza sessuale è necessario che il rapporto sia voluto dal primo all’ultimo attimo. Un “no” dell’ultimo minuto potrebbe far scattare lo stupro, benché i preliminari siano stati consenzienti». Fin qui tutto chiaro: va rispettata la libertà di qualsiasi persona – uomo o donna – di ripensare il proprio consenso: consenso espresso all’inizio del rapporto ma ritirato in itinere.
Il problema concreto però è nella pratica: il consenso può anche non essere esplicito e il ripensamento può essere ancora meno esplicito. E’ indubbio: si rischia di scendere nel terreno dell’assurdo, immaginando i dialoghi nelle situazioni paradossali che oggettivamente si verrebbero a creare per chi volesse mettersi al riparo da ogni rischio. O perlomeno provare a farlo, visto che la sicurezza è impossibile. Come si fa a certificare la volontà di entrambi a proseguire innalzando l’asticella? I tribunali non lo dicono, né come conservare prova dell’avvenuto accertamento da esibire, anche dopo mesi, in caso di processo per stupro. Bisognerebbe forse richiedere alla partner una firma sotto a un modulo prestampato di consenso alla copula ? Oppure il consenso, anche qualora venisse messo per iscritto, potrebbe essere estorto a causa della ridotta capacità di intendere e volere della donna che ha bevuto un bicchiere di troppo?
Non siamo ridicoli: bisogna chiarire bene i termini della questione, altrimenti davvero rischiamo di delirare come la Schlein!
La donna non ha l’obbligo di segnalare il suo dissenso al rapporto sessuale. Può anche mandare segnali di consenso che possono persino essere documentati da un video, ma ciò non significa nulla. Il consenso infatti potrebbe venir simulato per paura di violenze fisiche o per il divario di potere tra stuprata e stupratore (il #metoo ha fatto scuola). La donna ha il diritto di ricostruire il suo consenso-dissenso a posteriori (anche dopo un anno, dice il Codice Rosso) ed è paradossale, ma vero: «ha il diritto di rendersi conto successivamente se davvero volesse o non volesse fare sesso. (“I never called it rape” = non pensavo che fosse stupro e invece lo era). Ciò che conta è la presenza del consenso interiore di cui essa stessa può non essere a conoscenza in quel momento ed ha il diritto di ricostruirlo in qualsiasi momento successivo. Insomma, detta così, sembrerebbe che é stupro quando la donna decide che lo sia.
Il caposaldo della giurisprudenza recente è davvero una clamorosa asimmetria valutativa in rapporto a chi faccia cosa: lui è sempre predatore e lei sempre preda, lui oppressore e lei oppressa, lui carnefice e lei vittima. Altro pregiudizio: lei non beve mai per sua volontà, è sempre costretta dai maschi tossici e predatori che vogliono approfittare di lei. Anche se i due si sono incontrati ad un rave al quale sono andati da perfetti sconosciuti, anche se lei ha usato smodatamente alcool, canne e pasticche in compagnia delle sue amiche, anche se ognuno ha ecceduto in compagnia delle rispettive comitive, anche se si sono conosciuti solo mezz’ora prima di uscire quando erano già stracotti … qualunque cosa succeda lei non è mai responsabile delle proprie azioni perché lui “l’ha fatta bere”.
Da qualsiasi lato la si voglia guardare, la questione risulta sbilanciata da una parte o dall’altra, perché la teoria, da sola non basta se non dotata degli strumenti più idonei ad attuarla nel concreto.
Le donne fanno errori come gli uomini e possono essere anche immature, cattive e vendicative, ma un dato è certo: nel più dei casi le denunce vengono fatte e ritirate per paura o vergogna o per pressione sociale, e le denunce non fatte derivano dalla decorrenza dei termini per la presentazione (dodici mesi, secondo l’ultima riforma: pochi, anche se il doppio dei sei mesi previsti in precedenza), quelle archiviate poi, perché la vittima non avrebbe avuto un comportamento coerente con quello di una donna violentata, e quelle in cui si va a processo e chi denuncia perde sempre per un’idea distorta di consenso.
È molto facile che una donna che ha subito un abuso non se la senta di andare a processo per non dover affrontare il trauma della vittimizzazione secondaria, oppure che non venga ascoltata o presa sul serio perché è stata vista conversare con l’abusante, o avrebbe comunicato con lui tramite messaggi di testo dopo l’accaduto, entrambi comportamenti che sono normalissimi per le vittime di abusi sessuali. Il tentativo di dirsi “non è successo niente”, prende spesso il sopravvento.
Non sappiamo come finirà la vicenda La Russa come quella di Grillo, ma di certo la questione non la risolveranno le dichiarazioni della segretaria PD contro la “mascolinità tossica” della destra.
Ci vuole un cambio culturale alla pari di strumenti normativi più chiari perché “non esiste sesso senza il consenso di qualcuno che non te lo può dare”.