Da 24 anni sulla scena teatrale spezzina, Marco Balma, dopo il primo periodo con la SCLAT e CIDOBO diretta da Roberto Merlino, collabora con la Compagnia degli Evasi dalla sua nascita nel 2002, nella quadruplice veste di autore, attore, regista ed insegnante di laboratorio.
Perché la scelta di Mandragola, quali modifiche hai fatto, come sei intervenuto da autore sul testo?
«Amo molto la storia Italiana del rinascimento. Personaggi come Lorenzo il Magnifico, Savonarola, Leonardo, Michelangelo e naturalmente Machiavelli hanno sempre attirato la mia attenzione. Era da un po’ che avevo nel mirino il capolavoro del genio fiorentino, ma pensavo che gli Evasi non fossero abbastanza maturi per rendere al meglio questa commedia. Negli ultimi anni però abbiamo fatto un salto di qualità artistica veramente notevole così mi sono deciso. Volevo conservare il linguaggio cinquecentesco, che considero melodioso ed armonico, addirittura in certe locuzioni più di quello attuale, quindi non ho modificato nulla, mi sono limitato a tagliare qua e la alcune espressioni che sarebbero state veramente difficili da capire per un pubblico moderno».
Spiegaci la scelta della scenografia, dei costumi e anche delle musiche, conoscendovi, sappiamo che questa ricerca anche musicale fa parte della vostra cifra stilistica.
«I personaggi nati dalla penna del genio Fiorentino sono assolutamente moderni. Bèh, se sono moderni allora vestiamoli come noi, e se sono cinici, truffatori, egoisti il nero è il colore che meglio li rappresenta. Invece di far svolgere l’azione ad un angolo di strada, diamogli un luogo non ben definito ma che ricordi da vicino un bar od un night. Ecco l’idea degli sgabelli e delle abat-jour. E in ogni locale ci deve essere della musica. Hai ragione sulla cifra stilistica. Più di una volta la mia regia parte da una canzone che stimola immagini che poi si trasformano in spettacoli. Quando ascoltai per la prima volta “Ni oui, ni non”di Zaz, ricordo che mi apparve immediatamente l’immagine di alcuni loschi figuri che avanzavano nella notte, quella che diventò poi la scena del rapimento, credo una delle più divertent»i.
La società corrotta messa alla berlina da Machiavelli, sembra poter essere trasferita anche ai giorni nostri, il messaggio dello spettacolo è quanto mai attuale, vero?
«Certo. Nel vivisezionare la psicologia dei sette personaggi della commedia, rimanevo stupito di come veramente avrei potuto assegnare ad ognuno di loro un equivalente tra i torbidi personaggi che affollano le nostre cronache. Politici, preti, gentildonne, personaggi dello spettacolo, truffatori più o meno legalizzati. Ciò che mi colpiva era come purtroppo nel guardare alla commedia riusciamo a vederne solo il lato divertente, quasi che le caratteristiche negative dei caratteri ci attraggano e compiacciano. Non riusciamo ad essere severi con chi nella commedia compie azioni non corrette. Questo un poco mi sconcerta. Spero che però il pubblico una volta tornato a casa e deposta la risata, riesca a riflettere su questo fatto e magari ne tragga un piccolo insegnamento sulla fragilità della natura umana».
Parlaci della Compagnia degli Evasi, la vostra storia, il cast che ti accompagna, i vostri progetti futuri. Qual è la vostra idea di teatro?
«Gli Evasi sono la mia seconda famiglia. Non conosco tutte le realtà amatoriali naturalmente, ma credo sia veramente difficile trovare un gruppo che superi le 20 unità e che sia così coeso, impegnato, e preparato. In pratica siamo tutti in prima linea non solo nella recitazione, o nella regia, ma anche nella scrittura o nella circuitazione degli spettacoli e, non meno importante, nella parte più umile e faticosa dell’allestimento. Gli Evasi sanno fare e fanno di tutto. Anche se è doveroso riconoscere ad Alessandro Vanello la leadership, soprattutto organizzativa, del gruppo, anch’egli è consapevole che ognuno è indispensabile al funzionamento della compagnia. E’ grazie alla sua idea e alla sua spinta se siamo riusciti a realizzare un sogno come Teatrika, il festival da noi organizzato ogni estate che raccoglie, mi emoziona dirlo, più di trecento spettatori a sera. Da quando nascemmo nel Luglio del 2002, grazie alla voglia di una decina di persone che volevano ‘evadere’ dal grigiore quotidiano, la nostra filosofia è rimasta la stessa: fare teatro sempre e dovunque, portare in scena testi nostri, i grandi classici, teatro sperimentale, spettacoli di poesia o di impegno sociale. E’ con orgoglio che possiamo annoverare nel nostro curriculum ogni tipo di spettacolo. Ma soprattutto ci piace fare teatro con chiunque ci accolga, come avete fatto voi. Essere ad Ischia non è solo un traguardo importante per noi, è soprattutto gioia».
Perché gli ischitani dovrebbero vedere Mandragola e cosa vi aspettate da questa trasferta isolana?
«Sorvolando sul fatto che la vostra Isola è uno tra i luoghi più belli d’Italia, e per la proprietà transitiva, del mondo, questa trasferta sarà sicuramente un modo per conoscere una nuova realtà, persone che condividono con noi l’emozione di fare teatro per passione, scambiare idee, racconti, ricordi. Insomma a noi interessa il fattore umano. Credo sia solo attraverso quello che nasca il miglior teatro. Dall’emozione di pensarlo, crearlo, vederlo realizzato, com’è accaduto per Mandragola, all’emozione di regalarlo al pubblico, di cui non vediamo l’ora di sentire il calore. Noi il nostro premio lo abbiamo già vinto. Se poi la giuria vorrà aggiungerne un altro, siamo prontissim»i.