Pasquale Raicaldo | Ci sarà un silenzio assordante, d’ora in poi, su quella spiaggia di cui era non un semplice figurante, ma uno degli attori principali. E immaginarla oggi senza quel «graffeeeeyyy», entrato di diritto nell’immaginario onomatopeico dei Maronti, quasi una melodia tra gli schiamazzi dei bagnanti e il rumore delle onde, dev’essere certo dura, durissima. Perché con Mario Mosca, con la sua tragica scomparsa, che fa seguito a quella del figlio Giuseppe (stesso mestiere, stessa passione, stesso sorriso), si chiude certo un’epoca. Accade quando il tempo, il destino beffardo o le debolezze, alle volte insospettabili, cancellano prematuramente figure che crediamo immortali: e quell’incedere claudicante, quella fascia al ginocchio, quei capelli impomatati, quel modo all’apparenza naturale eppure meticolosamente studiato di portare, quasi incastrandolo tra spalla e capo (“Il braccio sinistro piegato ad angolo, con la mano appoggiata sulla schiena, crea – scrisse Giulia Colomba Sannia – il supporto per reggere il vassoio delle graffen, il braccio destro, libero, appena appena lo sfiora o accompagna il movimento delle gambe”), e – ancora – il vassoio di cartone pieno di leccornie hanno conquistato generazioni di bagnanti.
Non casualmente, in quel palcoscenico virtuale che è Facebook, si sono affastellati, uno sull’altro, i ricordi di sessantenni e ventenni, tutti egualmente commossi, in un pianto collettivo con venature di sorrisi, volti a esorcizzare un lutto che è lutto dell’intera isola. Come già accaduto per quei personaggi – da Paccà a Ciro, dal salumiere Mattera al maresciallo Pesce, passando per quel figlio, Giuseppe, tragicamente scomparso qualche anno fa e che avrebbe dovuto, maledizione, raccoglierne l’eredità – che, anche virtù dell’essere così popolari (nell’accezione completa del termine, appartenenti al popolo e dal popolo riconosciuti), hanno portato via, con la loro esistenza, una fetta dell’Ischia più vera e genuina. Ci mancherà, Mario Mosca, e mancherà a tutti quelli che ieri gli hanno dedicato un pensiero, qualcheduna ironicamente ha tirato fuori, rimproverandogliela, la cellulite e la faccia “inguacchiata” di zucchero, qualchedun altro quella cortesia e quell’affabilità figlia di un’isola che sapeva fare turismo, coccolando i bagnanti, offrendo loro – con quella ciambella gustosa e ipercalorica – un modo d’essere, un’attenzione e persino quella cantilena ripetuta che un guru del marketing non avrebbe saputo rendere più efficace. Lo ricorderemo così, allora, mentre riposiziona con cura quel vassoio e riparte, sudato ma sorridente, verso un arenile che non finisce. Lui, le sue graffe e quel dramma che portava dentro, e che ce lo ha portato via.
Grazie per quest’articolo così struggente e così ricco di “pietas”. Perdonatemi le citazioni, fanno parte di me anche se ora sono solo una nonna che- nonostante la sua esperienza di vita -non riesce ad essere indifferente al dolore altrui.