Il panorama del nostro calcio è particolarmente variegato, ma una cosa è certa: meravigliarsi del fatto che oggi ci troviamo con una Nazionale dal gioco pressoché inguardabile è da ipocriti, in quanto essa stessa è lo specchio fedele del modus operandi vigente in Italia in quel che resta dello sport più seguito dello Stivale. E questa non è certo colpa del buon Roberto Mancini, sebbene per me si tratti di un ottimo ex calciatore ma anche di un tecnico estremamente sopravvalutato.
In passato ho già avuto modo di scriverVi come viene concepito il calcio giovanile in paesi come la Germania, oggi senza dubbio al vertice delle prospettive europee mirate alla creazione di nuovi giovani talenti del pallone: investimenti, programmazione, serietà sono alla base (come in tutte le imprese) di successi annunciati e di pochi, rari fallimenti. Qui dalle nostre parti, invece, investire nel calcio significa spesso trovare una scappatoia per le proprie esigenze di detrazione fiscale, o forse puntare a ricavi la cui entità varia secondo le categorie ma che, di certo, non sminuisce il ruolo fondamentale del dio denaro a svantaggio dello sport e, cosa ancor più grave, senza aver rispetto neppure dei ragazzi e dei loro legittimi sogni nel cassetto.
Se la Federazione Italiana Gioco Calcio, di contro, continuerà a valutare la possibilità di inserire anche in Nazionale calciatori stranieri che non hanno militato ancora nelle rappresentative del loro Stato di appartenenza, grazie agli stratagemmi connessi alle normative vigenti (ipotesi ventilata di recente per l’ottimo Allan del Napoli), significa che la diabolicità di perseverare in certi errori, continuando a non adottare alcun provvedimento di tutela e valorizzazione del calcio giovanile italiano, realmente non sia in grado di trovare una soluzione di continuità. La crescita di molti giovani è subordinata alla possibilità delle famiglie di sborsare soldi al procuratore di turno che, a sua volta, saprà oliare il sistema per garantire a quei “figli di famiglia” un numero X di presenze e una vetrina che, col tempo, potrebbe accrescere non le loro possibilità di carriera, ma solo il volume delle tasche del procuratore medesimo.
Mai come nel calcio giovanile italiano, la bellissima canzone di Gianni Morandi risulta particolarmente adatta: “Uno su mille ce la fa”, ripete con forza l’inciso. Mi riecheggiano ancora nella mente le parole del custode del centro sportivo di Sant’Antimo dove si allenavano le giovanili del Napoli e dove mio figlio, insieme a un compagno di squadra, si recò qualche anno fa per una visionatura di due giorni: “Dottò, stàteme a sentì”, fu il suo esordio, prima di dirmi che a suo giudizio un sacco di genitori illusi pagavano fior di quattrini, pur di poter dire: “Mio figlio ioca ind ‘u Napule. Ma –mi assicurava- so ‘ppoc chill ca cià fann, uno ‘ngopp a mmill”. E l’anno scorso, dopo tre giorni con un’altra squadra di serie A del nord, a cose praticamente fatte per il trasferimento di Alessandro, dopo una settimana il suo ottimo mister Gianni Di Meglio si sentì dire dal dirigente del settore giovanile: “Mi dispiace, ma non posso prendere più il ragazzo: mi hanno portato due albanesi 2001 e devo seguire loro.” Come dire, business is business, ma dello sport e del merito… più nessuna traccia.
E tra i professionisti non tira aria migliore, statene pur certi! Se osserviamo una qualsiasi delle partite di serie A, osservandone le formazioni, ci rendiamo facilmente conto che su ventidue titolari in campo gli Italiani si contano sulle dita di una mano. E la cosa più sconcertante è che molti di questi giocatori stranieri, rispetto a gran parte dei nostri talenti più promettenti, non mostrano alcuna caratteristica utile a ritenerli talmente superiori da soppiantarne ogni possibilità di competizione. E in questo sistema marcio fino al midollo, tanti allenatori non sono certo immuni da colpe, essendo loro stessi assurti (in particolare in LegaPro) a quella panchina grazie ad uno o più sponsor che, con il loro contributo, hanno garantito alla società di potergli pagare lo stipendio e raggranellare anche qualcosina extra. Essi, da bravi dipendenti, molto spesso dimenticano obiettività e meritocrazia, lasciando al palo chi realmente meriterebbe di andare avanti solo per assecondare le esigenze di bilancio del presidente di turno, calpestando anche la propria dignità professionale. Si vocifera, tra l’altro, che il recente esonero di Ballardini dalla guida del Genoa, nonostante l’inizio di campionato dei Grifoni sia stato uno dei migliori di sempre nella loro storia, sia dovuto al fatto che il tecnico avrebbe chiesto di esimere uno dei suoi calciatori dal disputare un’imminente gara importante, scatenando così l’ira del patron Preziosi.
E i presidenti? Al di là di quanto è stato già detto, dobbiamo ricordare che nessuno di loro, almeno sulla carta, fa della guida di una società sportiva la sua principale occupazione. Anzi, magari è proprio quella società la panacea di molti bilanci in rosso, sfruttando gli utili di una serie di “buoni affari” legati alla compravendita di calciatori. Ma seppure così fosse, se almeno riuscissero a privilegiare la crescita del loro vivaio, non ci sarebbe granché da ridire. E invece, ecco che i loro comportamenti non fanno altro che perseguire lo stesso obiettivo: i proventi, l’utile, la convenienza. In altre parole, l’argent (per chi come me non conoscesse il francese, si pronuncia L’ARGIÀN!).
In conclusione di questo 4WARD dedicato a una Nazionale che potremmo definire “figlia del nulla”, come mi disse il Comandante Michele Riccio un mesetto fa (confermando in tal senso le mie convinzioni), bisognerebbe ormai seguire il calcio italiano non con la passione viscerale che ci caratterizza e che il suo sistema marcio non merita, ma con il distacco proprio di chi è consapevole che tale passione è tutt’altro che ricambiata e rispettata. Questo, almeno fin quando realmente non si dimostrerà di essere riusciti a voltare pagina e con il legittimo scetticismo di chi in Italia, nello sport come nella più normale quotidianità, non intravede per questo Paese alcuno sbocco utile a svoltare.
Che Dio ci aiuti!