Gaetano Di Meglio | Ci sono storie difficili da raccontare perché non sai neanche da dove partire. Spesso la conoscenza diretta, spesso il pudore, spesso la difficoltà e la vergogna anche di chiedere. Questa di Enrico, Angela e Nicola è una storia di amore, di dolore e di speranza.
Questa è al storia di uno dei 48 bimbi italiani affetti dalla Sindrome di Sanfilippo. Una storia che raccontiamo anche grazie all’Ischia Calcio.
La società del presidente Pino Taglialatela, infatti, ha sposato l’iniziativa dei papà dei bambini malati della sindrome di Sanfilippo che si stanno attivando in tutta Italia e in tutti i campi dove si riesce a trovare società che hanno sensibilità e vicinanza a certe tematiche.
L’Ischia Calcio è una di queste e, rispetto ad altre, ha donato 2 maglie da mettere all’asta al fine di raccogliere proventi per Fondazione Sanfilippo Fighters. Fondi che servono alla ricerca e all’emissione di borse di studio e che, negli ultimi tempi, è impegnata anche in progetti per garantire assistenza materiale alle famiglie con un progetto per garantire collaborazione casalinga ai genitori.
Ecco la storia di Nicola e il viaggio di Enrico e Angela raccontato da papà Enrico
“Nicola cresceva più del normale. Fino ai due anni è cresciuto normale, forse anche meglio di tanti altri visto che non si ammalava mai. Stava benissimo ma poi, come tutte le malattie genetiche rare, i problemi cominciano a manifestarsi dopo i due anni e cioè l’età che di solito coincide con quella delle vaccinazioni. Da quella età Nicola ha cominciato a fermarsi. Non cresceva più dal punto di vista psicologico ed era rimasto con le sue due paroline e con i suoi pochi atteggiamenti. Non era più naturale, non era più giocoso. Da lì ci siamo dati una termine che erano i tre anni e lo abbiamo iscritto all’asilo”.
“Il primo anno – continua il racconto di Enrico – ci aspettavamo degli sviluppi, ma visto che nonostante frequentasse normalmente e che avesse buoni rapporti con i compagni, la situazione non migliorava. Allora siamo andati a Napoli per delle indagini mediche ed è venuto fuori che c’era una malattia cosiddetta “da accumulo”, ma non ci hanno specificato meglio.
Dopo qualche mese, poi, ci hanno detto che si trattava della mucopolisaccaridosi. Una malattia rara ed in seguito hanno confermato che è di tipologia Tre B, tra tutte quelle dell’ampio genus delle mucopolisaccaridosi.
La malattia di Nicola viene detta Sindrome di Sanfilippo dal cognome del dottore che l’ha individuata e, a differenza di altre varianti, la sua è quella che colpisce di più il cervello. Uccide i neuroni e, come tutti sappiamo, una volta morti non si riformano”.
“Poco tempo dopo la diagnosi – continua il racconto di Enrico – siamo entrati in un trial attraverso Telethon che ci ha portato in Francia. Nicola ha iniziato la sua sperimentazione che ci ha dato qualche speranza all’inizio e non nascondo che ancora adesso ho qualche speranza. Attraverso questa sperimentazione a mio figlio è stato innestato un vettore col gene che a lui manca. Rispetto agli altri bambini, Nicola sta un pochino meglio ma il vero problema è che non abbiamo storicità di questa malattia. Ognuno dei bambini che ne è affetto manifesta la sindrome in età tra i 12 e i 13 anni in maniera differente. Non avendo una casistica, una storicità adeguata, è impossibile dire se Nicola stia meglio degli altri o se sia solo una fase di transizione, come purtroppo succede in tutte le malattie genetiche gravi. Si vive questo tiro e molla in momenti in cui sono più veloci nello svilupparsi ed in momenti in cui si fermano e sembra essere tutto normale.
Nicola – ci dice Enrico mentre gli occhi si commuovono – è un bambino abbastanza gestibile, noi siamo fortunati però, chiaramente, stiamo parlando di bambini che hanno grossi problemi. Sono creature che non hanno il senso del dolore, non hanno il senso della paura e quindi non è possibile fargli affrontare le scale da soli, non puoi neanche portarli in un campo aperto dove c’è una discesa perché lui comincia a correre senza percepire eventuali rischi. Per lui questo non è un problema e quindi non è facile gestire le sue giornate ed ha bisogno sempre di attenzioni, di stargli vicino. Nei primi anni di vita ci sono bambini soggetti a molte malattie, a infezioni alle vie respiratorie, adenoidi, polipi nasali e sono i problemi che ha affrontato Nicola e che conosco di più, ma il problema resta la mancanza di conoscenza della malattia che è molto, molto, rara.
Oggi in Italia i bambini con la sindrome di Sanfilippo sono meno di una cinquantina e l’obiettivo principale ed immediato della ricerca è anche quello di aiutare i genitori a individuare la malattia, il prima possibile.
Noi siamo stati fortunati perché abbiamo seguito un percorso facilitato grazie all’intuizione di un dottore che guardando Nicola dall’espressione del viso ha riconosciuto la malattia. La variante di cui soffre mio figlio è di difficile individuazione e quindi, da questo punto di vista, siamo stati fortunati”.
“La Sanfilippo Fighters – aggiunge – è l’associazione di cui facciamo parte e con la quale contribuiamo tutti i giorni, sotto tutti i punti di vista: dalla parte sanitaria a quella assistenziale per le famiglie dei malati; l’associazione ha come scopo anche questo, creare una casistica, mettere in contatto i pazienti e pilotare le persone verso i centri adeguati al riconoscimento delle malattie.
Con le malattie genetiche, il tempo che si perde è quello per individuarle correttamente. Frequentando questo mondo ci siamo resi conto che ce ne sono veramente tante, alcune ancora da individuare, però riconoscere quella giusta è difficile ed aiutare le persone a riconoscere quella giusta è uno degli scopi dell’associazione”.
La vita con Nicola
“Abbiamo provato – i racconto diventa più complicato – a fare interagire Nicola anche con i bambini autistici ma i comportamenti e i rapporti sono diversi e anche l’approccio medico è diverso e difficile. Abbiamo provato a trattarlo come un bambino normale, a fare le classiche cure di logopedia e psicomotricità, ma in realtà quando la malattia è neurodegenerativa tu non sai in quale parte del cervello ti colpirà prima. La gestione della malattia è difficile anche perché non aiuta a fare previsioni. Il corso della malattia è quello che il cervello muore lentamente. Non sai in quale zona. quindi, potrebbe prima non parlare, poi non camminare, quindi diventare quasi un vegetale.
In Francia, con quel trial clinico, hanno trattato il livello periferico del cervello. Li hanno fatto delle iniezioni di enzima e riescono ad avere una vita subnormale con una con una curva di crescita fisica però pari a quella normale. La curva di crescita e di apprendimento, in questo caso diventa difficile.
Nicola, all’apice della sua potenzialità, aveva un vocabolario di 100 parole e col passare del tempo le parole sono sempre indotte. Lo devi sforzare per farlo parlare e mai abbiamo avuto due parole messe una dietro l’altra insieme”.
Che domani ci aspetta?
Non lo so. La forza di andare avanti perché non puoi sottrarti a questo naturalmente.
Come vi possiamo aiutare?
Si aiuta con la ricerca, con l’assistenza attraverso i canali, anche del comune che parecchio carico di lavoro te lo tolgono. Adesso siamo in un’età un poco più problematica perché Nicola comunque ha 13 anni, non è cresciuto tanto in altezza, ma è forte. Ha una certa autosufficienza, può mangiare e bere da solo e queste sono le cose più essenziali che siamo riusciti ad ottenere. E questo è importantissimo sia per lui sia per noi. Però oggi diventa più difficile lasciarlo anche alle nonne, perché lui è forte e perché alcuni cibi non riesce a masticarli bene e quindi serve l’assistenza seria.
Ripeto, noi siamo fortunati. Ancora non siamo in quella fase più critica, più delicata e anche più brutta, però in generale il corso della malattia è definito e cioè lo spegnimento del cervello, in maniera graduale o repentina a zone che gli potrebbe perdere facoltà come la deambulazione. Noi abbiamo fatto questo trial clinico in Parigi e ci siamo aggrappati a questa fiammella a maggior ragione ci mettiamo tutto l’impegno per aiutare gli altri.
Siamo talmente pochi casi che quasi non ci si vede. Devo dire la verità all’interno dell’Associazione ognuno di noi si sta proponendo per fare iniziative particolari, quindi dalla pubblicazione di articoli sulla malattia in generale per farla conoscere. Noi ci preoccupiamo, in maniera particolare della 3 A e 3B.
Solo 48
“Nicola è uno dei tanti Nicola. Si somigliano tutti e noi li chiamiamo fratelli. La testimonianza dell’associazione è importantissima.
Nel nostro percorso non avevamo mai sentito il bisogno di associarci. Quando è nata questa associazione, invee, abbiamo avuto un approccio un diffidente. Poi ho scoperto l’associazione e abbiamo visto che tramite le associazioni si riesce ad avere delle risposte che da soli è difficile avere. L’associazione ha la capacità di dialogare con i dottori, con i centri di sperimentazione ed è più facile per tutti avere notizie, dalla 104 alle cure palliative”.
Come hai reagito quando ti hanno comunicato la diagnosi di Nicola?
“Sul sito si stanno alternando i papà con le interviste proprio su questo. Non nego il fatto che queste interviste direttamente mi piacciono poco perché è difficile parlare del futuro. Quando vedi un bimbo all’orizzonte e hai una notizia del genere è difficile vedere un orizzonte. Quindi diventa difficile nel nostro caso. Quando abbiamo saputo la notizia, l’ha saputa prima mia moglie da sola mentre era a Napoli. Quando è tornata a casa me l’ha detto. Io per mestiere aggiusto computer e mi occupo di software e di hardware e, francamente, mi ero ripromesso di non guardare mai niente della malattia per non essere fuorviato e per non avere atteggiamenti sbagliati. Quando si parla di una malattia genetica rara o ne parli di chi ha competenza oppure e ti perdi nell’oblio dei sintomi, delle malattie, delle cure false e degli stregoni. E‘ vero, si potrebbe arrivare anche agli stregoni e a qualsiasi cosa, anche la magia, a tutto quanto per tuo figlio.
Dopo qualche settimana dopo la diagnosi è arrivata la richiesta da Telethon per andare in Francia e per la richiesta di quattro pazienti in mondo per fare questo trial.
Abbiamo preso questo treno che ci ha dato una speranza; quindi, non è stato subito di abbattimento? Si, i nostri tre giorni a piangere, te li fai, però avevamo questo faro che vedevamo nella nebbia. Oggi, molto spesso ho pensiero del futuro anche se viene in secondo piano. Cerchi di vedere una speranza, se non per te, anche per gli altri. E arriva un po’ conforto…”