Questo articolo si divide in tre parti. La prima riguarda la lettera di Stefano Di Meglio. La seconda riguarda il rappresentante di istituto del Liceo. La terza, Jorit.
Stefano Di Meglio è un rappresentante di istituto del Liceo Buchner che non ha girato le spalle al suo amico nel momento della difficoltà, che non ne ha preso le distanze e che si è comportato come fanno i coraggiosi. Purtroppo, è il solo. Purtroppo, è l’unico che continua a riconoscere a M. quel ruolo che, poi, gli si è ritorto contro. Questa vicenda serve a Stefano per apprendere la lezione di come il mondo sia un posto abitato da persone che sono pronte a dimenticare “quello che è stato fino a ieri” per poter salvare il proprio e singolo beneficio dell’oggi. Questa assurda e triste vicenda legata al murale di Jorit, ad una storia “privata” e ad un contenuto irricevibile, però, è la dimostrazione dell’errore di molti adulti e dell’istituzione scuola.
Lunedì mattina, senza peli sulla lingua, la SCUOLA HA SBAGLIATO ad esporre ad una pubblica gogna il suo studente. Una pubblica gogna che rischiava di poter diventare virale se non avessi deciso di spegnere il telefonino. Ma la scuola, insieme a molti altri adulti, devono rendersi conto che nei confronti di M. hanno sbagliato alla grande. Hanno sbagliato a non considerare la sua età, hanno sbagliato a proiettarlo in una dimensione diversa da quella che è e ora sono complici di questa caduta da “troppo alto”. Ora c’è da salvare qualche altro che pensa che basti un outfit a fare la differenza.
Fargli chiedere scusa davanti a tutti a cosa è servito? Quale insegnamento gli abbiamo dato. Quale scopo educativo ha avuto essere umiliato davanti ai proprio compagni? NESSUNO! Purtroppo (e questo va detto un po’ a tutti) lo avete “alzato” sul piedistallo (perché avere un sedicenne da esporre vi faceva fighi) e nessuno si è messo sotto a prenderlo quando stava per cadere. Anzi, avete fatto in modo che si sfracassasse a terra. Quale rete di sicurezza crea una scuola che espone lo studente ad ogni occasione possibile come un trofeo? Quale adulto si è esposto a favore del giovane studente in outfit semi elegante tra ieri e oggi? Nessuno. Non giriamoci dall’altra parte, se il post lo avesse scritto un altro studente del Buchner sarebbe stato meno grave. Sarebbe stato meno impattante perché l’eco e la gravità del fatto è direttamente proporzionale al ruolo che si ricopre. Un po’ come lo schiaffo di Will Smith. E la sua gravità è un fatto che riguarda il Liceo Buchner. Quello che si è detto all’esterno serve a poco, le parole di Jorit lasciano il tempo che trovano (prima le dimentichiamo, meglio è per tutti) ma il problema resta nella gestione del caso M.
Come viene gestito? Quale peso gli diamo? Come il gesto di uno che ha pubblicato un post idiota o come il gesto che ha fatto uno studente sovraesposto, “pupillo” di adulti e istituzioni? Vuoi vedere che alla fine M. debba pagare il conto del fallimento di un’istituzione (l’unica sull’isola) che espone i suoi allievi ad ogni evento? M. è il vostro prodotto perché diversamente non poteva essere. M. è, in parte, la somma dei vostri errori. E non ve ne potete scappare perché i pezzi di quel piedistallo che avete eretto vi è caduto addosso.
E veniamo a Jorit. Il furbo Ciro Cerullo, b€n€d€tto dalla Fortini, ha compreso la stupidaggine ischitana e per un po’ di benevolentia a basso costo, ieri pomeriggio, con tanto di bandiera della Palestina, ha preso in giro la bolla ischitana che inneggiava a Santa Restituta e, nel sottolineare la sua battaglia pro Palestina (ll popolo va fatto santo e la terra va restituita) ha inserito un semplice hashtag: #SantaRestituta. Ed è stato un tutt’uno di felicità sull’isola. Cosa c’entra la martire venuta dal mare con un pezzo di terra da restituire non si capisce, però a Ischia sono tutti felici. Assurdo.
E così, giusto per non farci mancare nulla, ecco la nuova preghiera a Santa Restituta: “Sto cercando di trovare le parole, ho bisogno di parole. Parole convincenti, parole penetranti, che ti fanno un buco in testa e che poi lasciano frammenti in ogni dove schizzi di miseria, chiazze di paura, brandelli di sogni e resti di cultura, parole come raffiche di mitra in un mercato o come missili sparati al terzo piano di un palazzo, che facciano male cazzo, parole tanto forti da zittire tutto il mondo occidentale, solo per un attimo, soltanto per provare ad ascoltare, l’impotenza, il rancore…parole a fare male, picchiate sulla faccia come calci di fucile e pugni e sputi e schiaffi, parole… parole a ricordare, per non dimenticare che lo stato d’Israele si è insediato in Palestina con la guerra, trentacinche anni fa’, e che nun se ne vonno ‘i, e la grande israel già se chiamma Filastin, e duecentomila ‘e lloro nun tenevano ‘o diritto ‘e s’insedià, ma quale equidistanza qui parole partigiane a fare agguati a carri armati che rincorrono ambulanze parole per cercare di fermare la mattanza coscienti che farebbero più effetto un po’ di missili anticarro e che in sostanza parliamo per parlare mentre in Filastin si lotta e muore coltivando la speranza di veder nascere un fiore…”
Quella scritta sul muro bianco, prima di essere dipinta a suon di bombolette. Non lasciamoci prendere in giro. Jorit non ha fatto nessun regalo.