lunedì, Settembre 16, 2024

Pascarella tra le cose di “Chiarina” e la sostanza
di Don Carlo. Una lettera-riflessione

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Gaetano Di Meglio | Ancora chiesa. Si. Ancora chiesa e ancora il destino della parrocchia più popolosa, frequentata e importante dell’ischia. Si, ancora il destino di Don Carlo Candido perché oggetto di “imbrogli e bugie”. Ancora chiesa perché gli effetti di queste scelte influiscono su una larga porzione di cittadini che vivono la nostra società. Pubblichiamo una lettera riflessione inviata al Vescovo Pascarella. Il responsabile di questo “scandalo”. E, attenzione, non è lo spostamento di Don Carlo Candido, bensì il riverbero che questa decisione ha nei cuori.

La lettera

Ecc.za Rev.ma,
nuovamente Vi scrivo e lo faccio anche pubblicamente, perché, e certamente così avverrà, non avrò la Vostra risposta, come già capitato per altra dolente vicenda; venga tuttavia risaputo che non mi è mancato il coraggio di parlarVi direttamente, senza inganni ed artificiose circonlocuzioni, atti a carpire una benevolenza che so benissimo non verrà affatto accordata al mio discorso.
Non mi interessa, pertanto, mettere in atto un’azione di scopo da attualizzare; mio dovere è solo il dar conto al Dio, che ci è Padre e non apprezza che i suoi figli-soldati, per falso rispetto da mondo profano, rimangano a braccia conserte, opportunisticamente affossati nel magma della non vita delle retrovie.
Come tutti, anch’io in questi ultimi giorni ho dovuto fare i conti con una realtà vichiana, da corso e ricorso storico, e che mostra ancora una volta, in tutta la sua crudele faccia, l’ipocrisia di un mondo dove le decisioni oligarchiche di un pugno di uomini di comando, finanche nella Chiesa di Cristo, pesino come macigni lavici sulle vite dei piccoli del Signore.
Erano gli anni del liceo ed io imparavo fra i banchi di scuola, forse mi addestravo io stessa al suo utilizzo, quanto fosse mezzo conturbante e confondente l’arma subdola della retorica, maneggiata per il manico da pochi potenti a danno di tante anime semplici, per far loro ingoiare come eccelse certe venefiche decisioni proprie.

E’ stato così, dunque, che traendo il sunto dalle varie interviste, concesse ai media locali, nel Vostro parlare, vera miscellanea eterogenea ed inconcludente del niente mischiato con il nulla, sono arrivata a due conclusioni susseguenti.
Dapprima è stato sconvolgente che Voi, quasi si fosse trattato di dare la logica stura alla catastrofica conseguenza di un’alluvione, accettandone poi l’ineluttabilità di lasciarsi al suolo delle vittime ignare e senza colpa, abbiate accettato, da vescovo non lo dimentichiamo, l’imposizione dispotica dei Provinciali francescani, i quali hanno deciso di giocare su un’infame scacchiera i destini altrui. Ne avete parlato con un distacco tale da sembrare asettico, monocorde, incolore, chirurgico.

L’affermazione per me più sbalorditiva è stata quella che Vi ha portato a dire che, non solo delle sorti delle parrocchie – mancando i sacerdoti, perché costretti loro malgrado, e forse anche per colpa Vostra, a scappare – debbano sempre più occuparsene i fedeli laici secondo la solita solfa di una pastorale da chiesa olandese, ma che sia giusto che i parroci cambino sede – non trascuro che tal è il dettato del codice di diritto canonico -, “perché così non ci si lega a loro, ma a Cristo”.
Esimio Monsignore, permettetemi di corregerVi filialmente, perché, spinto da una stoltezza che non Vi caratterizza, qua avete preso un grande abbaglio, che di sicuro è il frutto delle discutibili derive logiche di chi, come Voi, è addentro all’ideologia del Movimento della sig.ra Silvietta Lubich, in arte Chiarina, e che di cattolicesimo forse danno lo stesso parvente barlume dell’impanatura dorata e banale di una cotoletta alla milanese.

Dall’ampia bibliografia da me studiata, comprendente finanche ogni scritto della citata guru, su quella che qualcuno ha definito “Setta divina”, posso dire che il fil rouge del Movimento consiste nel pretendere dall’adepto, militante focolarino, un reale annichilimento del proprio io, quasi volto al raggiungimento di un nirvana induista, per rimanere senza sentimenti personali ed umani.
No, Eccellenza, il Dio, che, amando, conosco ed in cui credo fermamente, non disdegna affatto negli uomini e nelle donne suoi figli la paternità e la maternità anche spirituali. Tutt’altro, tant’è che i sacerdoti veramente tali non sono uomini celibi e senza figli, ma padri di numerosa prole. Eccellenza, da quanto apprendo dalla vox populi, addirittura pare che abbiate assecondato persino ed inoltre l’invidia della grazia altrui di individui che sacerdoti di Cristo non sono mai stati, ma solo preti (il termine per me non è sinonimo) timbra cartellino a mezzo servizio; molti dei quali addirittura nel corso della loro vita hanno accumulato scandali su scandali; uno di loro l’ho sopportato per cinque anni della mia adolescenza come insegnante: venga a contraddirmi se n’è capace!
Con le Vostre scelte complici avete solamente caricato in realtà la personale coscienza dell’atto quasi “omicida” di creare frotte di figli orfani di padri vivi.
Ed è così che, invece di riparare ad un’ingiustizia pregressa, commessa dal Vostro predecessore anch’egli focolarino, adoprandovi a far ritornare su terra natia il pur valido sacerdote don Mariano Montuori, state di fatto costringendo un altro sacerdote, nostro, a scegliere l’esilio amaro in cui racchiudere le ferite del proprio cuore di padre.

Vedete, per quanto mi riguarda il rev. Candido potrà benissimo scegliere di andare a fare l’eremita a Subiaco.
Ma, Eccellenza, fino a quando avrò visto colare il pianto di lacrime atroci sul volto anche di un solo bimbo privato della sua figura paterna, non esiterò ad urlarVi contro da queste pagine le parole di Gesù dicendoVi che, avendo Voi scandalizzato quel piccolo, ed è innegabile che l’abbiate fatto, meglio sarebbe se Vi ancoraste al collo una macina da mulino e Vi gettaste nel mare.
Monsignore, siate al contrario servo vero di Cristo.
Si tengano pure i finti umili fraticelli, di cui il fondatore si vergognerebbe, la chiesa; battano finanche cassa, sfruttando il nome di un santo che di madonna povertà aveva tessuto la sua vita. Voi però – e stavolta serviteVi veramente del potere dell’ubbidienza a Voi dovuta – don Carlo “schiaffatelo” persino nella catacomba di una delle tante grotte destinate a cantine di vino sparse sull’isola. I suoi detrattori ne sarebbero felici, ma, per com’è fatto, non sono “quattro pacche” di mura ad inorgoglirlo nel fare il padre; però lasciatelo ai suoi tanti figli.

Sì, anche altrove ne troverebbe, ma i “suoi” resterebbero degli orbi di padre per la malevolenza di chi ha preteso da Voi di far calare le decisioni dall’alto. Forse che invece c’è perfino chi intende fargli attualmente pagare lo scotto per essere fuoriuscito dalle file del
Movimento? Eccellenza, approfitto per ricordarvi la necessità di istituire – questo sì voluto da Dio – l’agognato presidio confessorio.
A questo punto, considerando che il rev. Candido con la sua iniziativa, “Luci nella notte”, ha tratto molti giovanissimi da pericoli materiali e spirituali proprio con il sacramento della Riconciliazione, perché non sfruttarne il carisma? A Voi ora ogni scelta al cospetto di Dio.
Nel chiederVi scusa per averVi dovuto parlare in sincerità, atteso che la Verità mi rende libera nel farlo in verità, Vi abbraccio in Cristo.
N.N.

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