La “destra-destra” non contrasta la “cultura del patriarcato”: è in sintesi questo l’ultimo attacco al Governo Meloni da parte della sinistra.
Sul cadavere di Giulia Cecchettin, com’era da aspettarselo, ecco che va in scena l’ennesimo scontro tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e la conduttrice di Otto e Mezzo, Lilli Gruber. Nel corso della puntata di lunedì scorso, dedicata per l’appunto al femminicidio di questa giovanissima ragazza, la giornalista di La7, interpellando il collega di Libero Francesco Specchia, chiede se si possa “negare che in Italia ci sia una forte cultura patriarcale che la destra destra al potere non sta proprio contrastando tanto”, e subito dopo, rincara la dose così: oggi “abbiamo per la prima volta una donna presidente del Consiglio che però tiene ad essere chiamata “il” presidente del Consiglio; un mistero della fede per me, ma sarà anche questo una cultura di destra, patriarcale”.
Cose che davvero non si possono sentire!
Ad ogni modo, a distanza di 12 ore, la premier decide di rispondere via social: una foto tutta al femminile (Meloni, la mamma, la figlia, la nonna), accompagnata dal commento che apre lo scontro diretto con la conduttrice: “La nuova bizzarra tesi sostenuta da Lilli Gruber nella sua trasmissione di ieri sera è che io sarei espressione di una cultura patriarcale. Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia. Davvero senza parole”.
Ecco, siamo davvero senza parole anche noi!
Ma possibile mai che in queste ore, anche in occasione della giornata internazionale contro la violenza di genere, non si sia fatto altro che parlare di patriarcato quasi a voler far credere che il fenomeno del femminicidio dipenda solo ed esclusivamente da questo? Possibile mai che i cortei di sinistra contro il governo adesso abbiano deciso di indossare le scarpette rosse? Quelle che dovrebbero rappresentare il sangue di tutte le donne vittime di violenza e non di una parte politica piuttosto che di un’altra?
Patriarcato! E’ questa la nuova parola d’ordine del ja d’accuse? Si rischia di diventare ridicoli e di dimenticare il vero problema dietro al fenomeno del femminicidio, in Italia come altrove. Germania, Francia e Gran Bretagna, badate bene, stanno peggio di noi, per cui, non mi piace che la nostra sinistra in piazza tenti costantemente di far passare gli italiani come le pecore nere d’Europa. Non lo siamo!
Cortei, manifestazioni, trasmissioni televisive e radiofoniche stanno coinvolgendo l’opinione pubblica e la politica indubbiamente anche al fine di sollecitare decisioni utili a neutralizzare le negatività sociali e far crescere il rispetto per l’altro, specie per le donne, ma al contempo le si sta strumentalizzando eccessivamente si di un concetto di patriarcato che a tutti i costi si vuole colorare di destra.
Fino al caso Cecchettin, un femminicidio provocava commozione e pianto senza colore politico, mentre adesso come adesso, non senza amarezza, devo confermare che c’è davvero troppa superficialità in questi tentativi di intercettare le cause del fenomeno e nel consigliare la medicina sociale e culturale per curare le malattie alla base dei fattori scatenanti i femminicidi. Le lacrime per Giulia rischiano di essere seguite dal nulla se si continua di questo passo. Il patriarcato è un finto problema!
Analizziamo i dati relativi ai Paesi europei, notiamo che in Danimarca, Austria, Germania, Paesi Bassi,Francia, Svizzera e Svezia, dove si ritiene che una certa cultura patriarcale ormai sia estinta, la percentuale dei femminicidi è più alta di quella italiana.
Questo dimostra che ci sono cause più potenti del patriarcato.
Un analista ha sottolineato: “Un giovane di 22 anni è stato influenzato più dal modernismo che dalla mentalità dei nonni. Quella dei padri era evanescente”. Chi accusa il patriarcato è fuori della realtà, come dice anche Vittorio Feltri: “Da quando appresi che il modernismo del Galateo aveva prodotto il processo che portò la forma a prevalere sulla sostanza, ho sempre temuto l’effetto di festival, come l’ultimo Sanremo, di messaggi di artisti, come Vasco Rossi, delle passeggiate sessantottine (come Giulia Valle), del radicalismo pannelliano e dell’informazione senza approfondimenti”.
Potrebbe dunque essere stato, come qualcuno asserisce, il modernismo piuttosto che il patriarcato, a provocare l’essiccamento dei valori e dei sentimenti nobili? Indubbiamente, dai giovani educati e forti, grazie ai “buoni insegnamenti” di una volta, siamo passati ai giovani indeboliti dai cattivi insegnamenti e dal culto dell’apparenza, tant’è che oggi non si fa che parlare di introdurre l’educazione sessuale e quella ai sentimenti, nelle scuole. Eppure, è bene ricordare che in Svezia, dove c’è già, ciononostante il numero dei femminicidi è più alto che in Italia.
Patriarcato, narcisismo, violenza di genere, educazione all’amore e chi ne ha più ne metta: la mano armata di Filippo ha suscitato un coacervo di riflessioni su questioni afferenti ambiti davvero diversi ed offrendo letture culturali e di ricostruzione storica, temi tipici della psicoanalisi, dell’analisi sociologica come della pedagogia.
Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano e saggista, osservatore attento delle trasformazioni della società contemporanea e dei ruoli familiari, ha sottolineato: Il riferimento alla cultura patriarcale, sfondo inconscio collettivo della violenza sulle donne, riguarda una cultura che ha dominato in Occidente sino alla rottura degli anni Sessanta col ‘68 e con i movimenti femministi … nondimeno è vero che noi ci troviamo in un altro tempo e che la condizione della donna è profondamente mutata. La cultura maschilista, come figlia naturale dell’ideologia del patriarcato, non è più in una posizione dominante. Sarebbe impossibile non riconoscerlo. Ma la sua brace non è del tutto spenta. Dobbiamo tuttavia distinguere due facce di quella ideologia: una rappresentata dall’odio sessuofobico nei confronti delle donne, l’altra, quella più in ombra che si fa fatica a nominare e che invece è centrale per comprendere l’assassinio di Giulia, è quella del legame interminabile con la madre”. Cosa vuole dire Recalcati? Che i legami primari non si interrompono, ma tendono a prolungarsi nella vita adulta riproducendo la fusionalità e la possessione che li caratterizza originariamente. È qualcosa che non appartiene al medioevo ma riguarda profondamente la cultura del nostro tempo. La cultura del successo individuale e del principio di prestazione rende, infatti, difficile l’elaborazione del fallimento e dello scacco e stimola la nascita di rapporti rifugio, adesivi, simbiotici, di nicchie narcisistiche separate dal mondo, delle specie di “reinfetazioni” fantasmatiche, riparo da una realtà precaria, minacciosa, spaesante”. Cosa c’è dunque a monte di un femminicidio? “C’è un mostro a due teste. La prima è quella del narcisismo, la seconda è quella della depressione. La violenza maschilista come spinta al dominio sul partner ridotto a proprietà esalta la dimensione narcisistica. Ma essa porta con sé anche il gelo e il buio sconfinati della depressione: «Ti domino sino al punto da ucciderti in modo tale che tu non possa mai abbandonarmi perché se tu mi abbandonassi non resterebbe niente di me».
I maschi violenti non fanno altro che vivere la donna come una minaccia per la loro identità. “Sono emotivamente analfabeti. La spinta al possesso manifesta la loro fragilità di fondo. Di fronte alla ferita narcisistica di un abbandono possono reagire violentemente perché non tollerano la libertà della donna che mette sottosopra il loro prestigio fallico.
Filippo non era un bravo ragazzo, ma un ragazzo fragile, tutt’altro che “figlio sano di una cultura patriarcale!”, come ha voluto lasciare intendere senza mezze misure la sorella di Giulia, porgendo alla folla delle nuove piazze rosse, il nuovo slogan, ritmato dai mazzi di chiave ad indicare che nemmeno in casa si è più al sicuro! «Lo stupratore / non è malato, / è figlio sano / del patriarcato».
La vera questione è altrove.
Come ha scritto una delle più grandi pensatrici del nostro tempo, Simone Weil: «La forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa». Ed in effetti, è così: siamo tutti prigionieri del dio della forza, anche se ovviamente lo sono in primo luogo coloro che alzano le mani, tanto più se lo fanno in modo vigliacco contro chi è più debole.
Le violenze e le sopraffazioni maschili oggigiorno non nascono affatto dal potere patriarcale, che le usava in passato per legittimare la sua supremazia, originano piuttosto dalla debolezza e dalla fragilità degli uomini, che sentendosi impotenti e impauriti per essere sopravanzati affettivamente e socialmente dalle donne, reagiscono con rabbia e odio.
La sinistra dovrebbe tenerlo bene a mente che, come scriveva Pier Paolo Pasolini, oggi assistiamo ad una mutazione antropologica che ha completamente scompaginato il mondo del passato ed è difficile comprendere in quale direzione stiamo andando, anche perché la tecnologia ci sta continuamente sopravanzando.
La violenza di genere, così come la conosciamo oggi non è di destra, né di sinistra, non appartiene ad un patriarcato quanto ad una matriarcato che dir si voglia, è semplicemente figlia di questo tempo e di questa società, di sentimenti inespressi e di viaggi social virtuali che rendono sempre più fragile noi e la nostra cultura del rispetto per l’altro.