La POLPA E L’OSSO di Francesco Rispoli | Quando pronuncio la parola FUTURO
la prima sillaba va già nel passato.
Quando pronuncio la parola SILENZIO,
lo distruggo.
Quando pronuncio la parola NIENTE,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.
W. Szymborska, Le tre parole più strane, 2004.
«Non è il passato che esiste nel presente, ma la possibilità di ‘ripeterlo’ in simboli nuovi che ne conservino il volto scomparso» (E. Paci, Fondamenti di una sintesi filosofica, 1951). Così, per Paci il conoscere è «il prodotto che diventa un prodursi (…) l’immagine emerge come immaginazione non solo riproduttiva ma, in senso kantiano, produttiva» (Sul senso e sull’essenza, 1956). Perciò uno sguardo che non voglia annullare intenzionalità, bisogni e richieste che sempre di nuovo affiorano nell’esperienza non considera le cose come sostanze ma le descrive come processi in atto.
Un brano di Claudio Magris (L’infinito viaggiare, 2005) – indica il senso di questo “ritorno”, di questo “sempre di nuovo”, l’“immer wieder” di Rilke e Husserl che traduce il latino “semper iter”:
«Ci sono luoghi che affascinano perché sembrano radicalmente diversi e altri che incantano perché, già la prima volta, risultano familiari, quasi un luogo natio. Conoscere è spesso, platonicamente, riconoscere (…). Per vedere un luogo occorre rivederlo. Il noto e il familiare, continuamente riscoperti e arricchiti, sono la premessa dell’incontro, della seduzione e dell’avventura (…). Ciò vale pure per i luoghi; il viaggio più affascinante è un ritorno, un’odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca. “Perché cavalcate per queste terre?” chiede nella famosa ballata di Rilke l’alfiere al marchese che procede al suo fianco. “Per ritornare” risponde l’altro».
È possibile stringere insieme esperienza, memoria e identità e avanzare l’idea di un “pensiero grato”, capace di intelligenza e sentimento a un tempo: «la pietà verso il passato è la condizione di verità del presente» (E. Paci, 1951).
Perciò a 80 anni dalla liberazione di Auschwitz custodiamo nella mente e nel cuore le parole di Primo Levi (Se questo è un uomo): «i diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salvo poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque»!
Erano come noi … avevano il nostro viso.