Paolo Mosè | L’ex capo dell’Ufficio Tecnico dell’edilizia privata di Lacco Ameno, Crescenzo Ungaro, è stato assolto dall’accusa di abuso d’ufficio perché il fatto non sussiste. Per un’autorizzazione che risale nientemeno al 2010-2011, per la quale erano stati sottoposti ad indagine e poi imputati i titolari di una pizzeria a cui era stata autorizzata l’installazione di una canna fumaria ed altre opere ritenute illegittime. Costoro sono stati assolti già diversi anni fa, perché ritenuti per nulla responsabili di abusi edilizi, in quanto era un’opera pertinente ed indispensabile alla propria attività commerciale. Ed era giusto, quindi, rilasciare l’autorizzazione. Se Domenico Barbarino e Gaetana Marino si erano ritrovati non colpevoli, la posizione dell’Ungaro venne stralciata in quanto l’imputazione che gli era stata rivolta dal sostituto procuratore Lucia Esposito era di competenza del tribunale in conformazione collegiale.
Il processo si è celebrato dinanzi ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Napoli, in cui è intervenuto il suo difensore di fiducia avv. Bruno Molinaro. Il quale nel suo ultimo intervento ha ribadito in sostanza che la richiesta di sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione sollecitata dal pubblico ministero di udienza e in qualche modo con l’“assenso” del tribunale, non ha trovato d’accordo il noto avvocato ischitano. Il quale ha sottolineato che già dalla documentazione prodotta e dall’esame dibattimentale vi è la prova palese dell’innocenza dell’Ungaro, a cui spettava giustamente una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. I giudici hanno valutato l’intero mosaico processuale in loro possesso e ravvisando che le argomentazioni che l’avv. Molinaro ha posto alla loro attenzione hanno dimostrato in modo inconfutabile che quel provvedimento emanato dal tecnico comunale dell’epoca rientra nelle sue specifiche competenze ed è scevro da qualsiasi aspetto che possa avvicinarsi ad un abuso vero e proprio.
PROCESSO INUTILE
Un abuso d’ufficio che è quindi crollato su una vicenda, diciamocela francamente, che non avrebbe mai dovuto concludersi dinanzi ad un giudice penale. E la sentenza di assoluzione dell’Ungaro si sarebbe dovuta “manifestare” già diversi anni prima. Allo scoccare del deposito del dispositivo dello stesso tribunale che mandava assolti i presunti beneficiari. Per i quali il giudice monocratico aveva sentenziato la inconsistenza soprattutto del reato urbanistico: «Perché, nelle qualità sopra indicate, in concorso tra loro, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (d. lgs. 42/04), con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ponevano in essere, in assenza del permesso di costruire, i seguenti interventi edili: 1) a servizio dell’attività denominata pizzeria bar I Liceali, realizzazione sul tetto di copertura dell’immobile, di una canna fumaria in acciaio inox a sezione circolare di diametro di circa 30 cm. alta circa mt. 5,00 dall’impianto di abbattimento fumi, con ancoraggi fissati su muratura preesistente; 2) realizzazione, sul marciapiede comunale ed antistante al pubblico esercizio, di una pedana in ferro occupante una superficie di circa mt. 2,00 per mt. 3,80 sul cui ciglio risulta installata una ringhiera in ferro sormontata da tenda con struttura in alluminio retrattile bullonata al muro dell’immobile».
E tanto meno poteva tenersi conto della seconda contestazione, riguardante opere realizzate in una zona sottoposta a pericolo sismico, omettendo di trasmettere i dovuti atti al competente ufficio di verifica: «Perché, nelle suesposte qualità, in concorso tra loro, eseguivano i lavori relativi alle opere di cui al capo a) in zona sismica, omettendo di depositare previamente, gli atti progettuali presso l’Ufficio del Genio Civile competente e senza l’autorizzazione dell’ufficio competente»
Ed ancora agli stessi due titolari dell’esercizio commerciale l’aver “intaccato” l’aspetto paesistico, essendo l’isola d’Ischia sottoposta a vincolo: «Perché, nelle suindicate qualità, in concorso tra loro, eseguivano i lavori indicati nel capo a) senza la preventiva autorizzazione su area che, per le sue caratteristiche paesaggistiche, è stata dichiarata di notevole interesse pubblico con provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori».
Ed infine le ultime contestazioni, che riguardano una serie di reati che sono stati compressi in un’unica contestazione, per aver eseguito una serie di opere per aver mutato il decorso delle acque, modificato lo stato dei luoghi, invasione di terreni, eccetera: «Per aver, in concorso tra loro, arbitrariamente invaso ed immutato, al fine di occuparlo e trarne profitto, parte del marciapiede antistante il proprio pubblico esercizio sito in Lacco Ameno, di proprietà del Comune di Lacco Ameno, con la struttura di cui al capo d’imputazione a) punto 2 al servizio del citato pubblico esercizio».
Il processo di Crescenzo Ungaro quindi ha percorso tutt’altra strada, dinanzi a diversi giudici e per una violazione di un reato contro la Pubblica Amministrazione. Questo processo è rimasto “congelato” per diverso tempo all’attenzione dei vari collegi che si sono nel frattempo succeduti. Mantenendo come punto di riferimento l’accertamento che venne eseguito dalla polizia giudiziaria e che risale al lontano marzo del 2009 e per rendere più credibile la richiesta di rinvio a giudizio il pm ne sottolineava la «condotta perdurante». Come a voler dire: è un abuso che non scade mai. Una interpretazione che per la verità non ha retto in modo significativo e credibile dinanzi ai giudici del processo. I quali hanno dovuto affrontare in camera di consiglio gli elementi accusatori, appofondendoli proprio in ragione della richiesta di assoluzione piena e nel merito sollecitata dall’avv. Bruno Molinaro, che ha poco gradito la conclusione di questo processo con una “semplice” prescrizione: «Perché, intenzionalmente, in qualità di responsabile dell’Ufficio tecnico Edilizia privata – Demanio del comune di Lacco Ameno, pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni, in violazione degli artt. 27 e 31 DPR 380/01, che prevedono l’obbligo del dirigente comunale preposto di vigilare e di applicare le sanzioni amministrative relative agli illeciti urbanistici, pur essendo a conoscenza delle opere abusive di cui al capo a), non poneva in atto le procedure sanzionatorie previste dalla normativa vigente, in tal modo procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale a Barbarino Domenico e Marino Gaetana, committenti delle opere di cui al capo a), derivante dall’utilizzo a fini commerciali delle predette opere».
Tutte argomentazioni che sono sembrate più una ricostruzione di fatti da porre poi all’attenzione di chi avrebbe dovuto giudicare. La giustizia si è pronunciata in favore della tesi dell’imputato e del suo difensore.