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sabato, Giugno 29, 2024

Procida in lutto: Mario, 55 anni, si toglie la vita. Il dramma della depressione e il buio davanti

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È possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte?» Questa domanda, posta da Alberto Moravia nel suo romanzo ambientato a Capri, risuona tragicamente attuale di fronte alla notizia della scomparsa di Mario, 55 anni, procidano d’adozione, trovato senza vita nella sua casa di vacanze sull’isola. Mario, un professionista stimato e capace, con alle spalle una carriera di successo in ruoli di responsabilità e controllo sia nel settore pubblico che in quello privato, ha deciso di porre fine alla sua esistenza, impiccandosi ad una trave del soffitto. A scoprire il suo corpo senza vita è stata la madre, rientrata nell’abitazione. Una scena straziante, che lascia sgomenti e senza parole.
Da circa due anni, Mario sembra assumesse antidepressivi, un indizio che fa pensare ad una lotta silenziosa contro il male oscuro della depressione. Eppure, nessuno avrebbe potuto immaginare un epilogo così drammatico.

Lascia due figli e una moglie, oltre ad una comunità sconvolta e addolorata.
La sua morte solleva, ancora una volta, il velo su una malattia troppo spesso sottovalutata e fraintesa. La depressione, definita da molti come il vero male del secolo, è una condizione che affligge milioni di persone, spesso in silenzio, nell’ombra. È un nemico subdolo, che ruba la gioia di vivere, la speranza, la capacità di vedere un futuro. Nel romanzo di Moravia, il protagonista Lucio si innamora di una giovane ragazza germanica proprio perché rivede nei suoi occhi la stessa disperazione che lui stesso prova. È un’immagine potente, che ci ricorda come la sofferenza possa unire le persone, ma anche come possa isolarle in un abisso di solitudine. La domanda posta da Moravia – «È possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte?» – non ha una risposta univoca. Ognuno di noi affronta il dolore e la malattia in modo diverso, con le proprie risorse e fragilità. Alcuni trovano la forza di chiedere aiuto, di affidarsi a professionisti e alle reti di supporto. Altri, purtroppo, si perdono nel labirinto della propria sofferenza, fino a vedere nella morte l’unica via d’uscita.

La storia di Mario ci ricorda l’importanza di non lasciare solo chi soffre, di tendere una mano, di offrire ascolto e comprensione. Ma ci ricorda anche la necessità di parlare apertamente di depressione, di abbattere lo stigma che ancora circonda questa malattia, di promuovere una cultura della salute mentale. Perché nessuno dovrebbe sentirsi così disperato da non vedere altra scelta che il suicidio. Perché ognuno merita di trovare il proprio cammino verso la luce, verso una vita che, nonostante le difficoltà e il dolore, valga la pena di essere vissuta. Il modo migliore per onorare la sua memoria è impegnarci affinché tragedie come questa non si ripetano. Affinché nessuno si senta più così solo e disperato da non desiderare altro che la morte.

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