Leo Pugliese | Oggi alle 17,30 la simbolica assegnazione della cittadinanza “post mortem” all’artista, scomparso nel 1993 e sepolto a Procida. Con i familiari, presenti amici e collaboratori, da Mario Martone ad Antonio Biasucci. E ci sarà anche la proiezione di un filmato inedito.
Procida si prepara ad assegnare la simbolica cittadinanza “post mortem” ad Antonio Neiwiller, scomparso prematuramente nel novembre 1993 e sepolto sull’isola per suo espresso desiderio, poeta e regista «appartenente di diritto ad un territorio artistico europeo», come scrive Mario Martone.
Oggi, alle 17.30, i familiari, con un gruppo di amici e collaboratori provenienti da varie città, lo ricorderanno insieme all’amministrazione comunale negli ambienti di Palazzo d’Avalos, il complesso ex carcere di Procida.
All’evento, che ha il patrocinio morale del Comune di Procida, saranno presenti Giovanna ed Adriana Neiwiller, Mario Martone, Renata Molinari, Maurizio Zanardi, Cesare Accetta, Laura Angiulli, Antonio Biasiucci, Maurizio Bizzi, Adriano Casale, Giulio Ceraldi, Claudio Collovà, Patrizio Esposito, Vincenza Modica, Giancarlo Savino e Giosuè Scotto Di Santillo. Saranno inoltre letti messaggi di Antonello Cossia, Marco Manchisi, Francesca Mazza, Claudio Morganti, Enzo Moscato e la sua compagnia, Alfonso Santagata, Toni Servillo, Antonella Bucovaz, Moreno Miorelli e Donatella Ruttar.
Nel corso dell’incontro sarà proiettato il breve filmato “Transiti, Neiwiller ad Aradeo dei teatri”, finora inedito, realizzato da Silvia Fanti e Daniele Gasparinetti nell’agosto del 1991.
«Nessun incontro “vero” è casuale», dichiara l’Assessore Antonio Carannante, che nel 2019 raccogliendo l’istanza di parenti e amici dell’autore si fece promotore presso la Giunta locale della cittadinanza “post mortem” a «un artista che della ricerca e del rapporto con i luoghi nutrì la sua opera, scegliendo Procida, ancora cosi selvaggia e autentica, come privilegiato terreno di ascolto e creazione, insieme ad una comunità ideale di attori».
«Non è casuale neanche la scelta di Palazzo d’Avalos-ex carcere di Procida per rendergli omaggio, un luogo che l’Amministrazione comunale dal 2016 sta facendo rivivere dopo l’oblio e dove si può respirare, intrecciata alle molteplici storie di dolore e rinascita che quest’edificio ancora custodisce, l’idea di utopia tanto cara all’autore», forse raggiungibile «provando ad attraversare ogni giorno la notte della dimenticanza» continua l’Assessore procidano, e sintetizzata nel testo “Per un teatro clandestino”, completato proprio sull’isola durante le prove de “L’altro sguardo”, suo ultimo lavoro: «Che senso ha se tu solo ti salvi. Bisogna poter contemplare, ma essere anche in viaggio. Bisogna essere attenti, mobili, spregiudicati e ispirati […]
Luoghi visibili e luoghi immaginari popoleranno il nostro cammino».
«Infine – conclude Carannante – non è casuale che l’opera di questo artista, meritevole di essere rigorosamente studiata e ancora più diffusa, sia parte del progetto culturale di Procida capitale italiana della Cultura 2022».
La vita
Antonio Neiwiller morì all’età di 45 anni. ma in poco più di venti anni di teatro ha lasciato un ricordo indelebile per la sua ricchezza umana, per la fertile interazione tra avanguardia e tradizione del suo lavoro di innovatore, ma soprattutto per le modalità compositive del suo essere attore e regista, per quella capacità di abbattere il muro della verosimiglianza e dell’imitazione della realtà, per il lavoro di smontaggio della routine interpretativa in qualcosa di raffinato e perfetto che aveva radici nel teatro di Kantor e nelle altre sue passioni, Pasolini, Brecht e Beyus. “Ripartire dal teatro vuoto, senza difese. Il nulla. Oggi che è tutto vanificato, partire liberamente dal nulla”, scriveva.
E proprio questo ripartire da zero, gli aveva permesso di spingere lo sguardo più in là, di sentire, per esempio, l’arrivo della “barbarie”prima di tanti artisti e di portare quello sguardo a teatro, convinto che l’arte fosse la via giusta per opporsi a quella avanzata.
La carriera
Nel 1975, Neiwiller era stato tra i fondatori del Teatro dei Mutamenti, insieme a Renato Carpentieri, Lello Serao, Cesare Accetta, Massimo Lanzetta, Pasquale Scialò: erano attori solidi sul piano delle tecniche , ma rivoluzionari per la voglia e la forza con cui rivisitavano il teatro tradizionale. Brecht, Vittorini, Viviani, il loro repertorio, anch’esso rivisitato. Tra tutti loro Antonio era sicuramente il più radicale e visionario: lo animava una irrerquietezza, uno stare mai a posto, un disagio della civiltà che lo portava a forzare il linguaggio teatrale verso esiti nuovi per raccontare più in profondità l’uomo. “Oltre il falso linguaggio dei media, bisogna attraversare se stessi, andare fino in fondo alle cose”, diceva. “A questo complesso lavoro io dò il nome di laboratorio. Questo per me è necessario”.
Una spinta che Neiwiller aveva condiviso con artisti vicini, Leo De Berardinis – con cui fece il bellissimo Ha da passà’ ‘ a nuttata, ma soprattutto con cui fu l’indimenticabile Cotrone nei Giganti della Montagna – Carlo Cecchi e gli amici di Teatri Uniti.
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