domenica, Dicembre 22, 2024

Psicologicamente. La tua assenza genera la mia dipendenza!

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Apprendere e ricordare un comportamento disturbante, può essere funzionale ad evitare la paura e il dolore soverchianti

La dipendenza rappresenta un surrogato, come possiamo guarire da una dipendenza? Ritrovando ciò che ci manca, chi o cosa ci manca? Generalmente il padre, senza padre nessuno può sentirsi completo, di conseguenza la dipendenza è il desiderio di ritrovare ciò che abbiamo perso, per sentirci guariti e completi, tuttavia, al momento che la dipendenza è un surrogato, non riesce a soddisfare il bisogno, per questo continua in assenza di un padre.

Le madri svolgono un ruolo fondamentale invece di mantenere i figli lontani dal padre, li avvicinano con amore, questo movimento inizia vedendo e amando nei loro figli il loro stesso padre, in ricordo dei tempi felici in cui si sentivano un tutt’uno con lui, riconoscono la nostalgia che provano nei suoi confronti e diventano un tutt’uno con lui e così che guariscono. Quando si spezza un legame primario: nell’esperienza dell’abbandono, nell’assenza d’amore, la mente umana si mobilita per evitare altro dolore, meglio conosciute come le difese psicologiche, o evoluzione della specie.

Questi processi se isolati e inanimati, nascondono tutta la vulnerabilità che rischia di trasformarsi in comportamenti stereotipati, deprivando la persona della sua umanità. Le neuroscienze da sempre studiano la correlazione, che intercorre tra emozioni e funzionalità del cervello e come impattano sui processi fisiologici e cognitivi. Oggi sappiamo che, i disturbi comportamentali si sviluppano quando le emozioni positive, vengono associate a oggetti o comportamenti specifici, formando un “ricordo stato-dipendente”. Ciò significa, che un soggetto con la sua storia familiare ed emotiva, in determinati momenti della sua esistenza, può sviluppare una vulnerabilità di tipo genetico, neurobiologico, psicologico e caratterizzare una dipendenza. Ogni vita merita di essere ascoltata senza giudicare per poter essere compresa e relazionata, e così scopriamo che dietro un’azione, apparentemente, stupida o rischiosa, si cela il significato profondo che ha mosso il comportamento di quell’individuo. E per la maggior parte delle situazioni, l’interruzione del contatto mente-corpo, ovvero il non guardare più verso quella persona, ma anche escludere qualcuno dalla nostra vita.

Tutto questo fa si, che si installi nei processi cognitivi ed emotivi, “un’emozione riparativa” che deve servire a non generare altro dolore. Per la legge della sopravvivenza alle dinamiche psicologiche accade che, si evita il dolore e il terrore della morte a favore della ricerca per il piacere. La persona si sente costretta a mettere in atto un determinato comportamento, pur sapendo che, avrà ripercussioni distruttive su sé stesso.
Per gestire questa forte sensazione di impotenza, il soggetto giustifica la sua azione attualizzando pensieri egosintonici del tipo “questa volta vincerò”, “non ne sentiranno la mancanza”, “se lo merita”.

Gli studi sulle dipendenze e sui comportamenti a rischio hanno evidenziato l’importanza di valutare come le esperienze si fissano nella rete neurale e gli esiti dovuti a queste fissazioni. Ciò che una persona sperimenta resta memorizzato, l’emozione che ne deriva sarà positiva o negativa. Quindi, il comportamento è l’esito dell’evitamento nei confronti di un’emozione, o piuttosto della sua ricerca?
Quando incontriamo qualcuno che non si relaziona con noi, ci evita, non ci guarda, probabilmente, è completamente focalizzato sulla sua “blindatura emozionale” utile a perdere le tracce dei suoi schemi emozionali e dei ricordi; non vuole rivivere quelle sensazioni. È così che, un giocatore d’azzardo continua a puntare, illusoriamente evitando l’emozione di provare i suoi sensi di colpa. Ma allo stesso tempo, ad un altro tavolo da gioco, è seduto un altro soggetto che per ricercare un’emozione molto forte, gioca d’azzardo per sentirsi un vincitore.
Dietro ogni storia, c’è una mente relazionale che sta tentando di mantenere vivo un comportamento, per molti aspetti, disfunzionale, ma che momentaneamente lo sopravvive. Ed è molto interessante, comprendere che il vero desiderio è verso l’emozione sottostante il comportamento, non il comportamento di per sé. Qualsiasi emozione può essere fissata in un qualsiasi comportamento, un evento positivo può essere intenso quando l’evento stimola un’emozione per la quale la persona sente un desiderio molto forte.

Bisogna porre attenzione ai comportamenti, la pulsione rappresenta il volere, non l’emozione voluta, è la spinta associata allo sforzo di provare le emozioni desiderate. Quando un individuo desidera intensamente provare un’emozione, crea un’“emozione stato” che determina il comportamento. Sono dinamiche che soddisfano i bisogni di una persona, ma anche una difesa nei confronti delle emozioni.

Oggi abbiamo a disposizione metodologie e tecniche psicoterapiche come l’EMDR, che utilizza la stimolazione bilaterale (SLB) valida a de-isolare sia il ricordo traumatico, sia il ricordo emozione -stato (ES).
È anche vero che oggi, siamo arrivati ad una nuova verità: lo scienziato è consapevole che non basta solo analizzare, misurare e comprendere le determinanti basiche dell’essere umano. L’integrazione di un intervento multidisciplinare serve a prendere in carico non solo il paziente/cliente, ma la persona nella sua pienezza storica ed emotiva. D’altronde non è il neurone che avverte lo stato di depressione o di angoscia, ma spesso accade che si producano reazioni nell’interiorità del soggetto, elaborazioni dell’anima, ossia del vissuto peculiare del soggetto umano.

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