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Quando Oliver non c’è… | #4WD

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Daily 4ward di Davide Conte del 11 marzo 2025



Il fenomeno della cosiddetta “umanizzazione” degli animali domestici solleva interrogativi interessanti: fino a che punto è giusto considerare insostituibile la loro presenza, al pari di una persona cara? E quali conseguenze può avere questo tipo di attaccamento?
Chi possiede un animale sa bene quanto forte possa essere il vincolo affettivo che si crea. Oliver, il mio splendido bichon havanais, non è solo un cane, ma un eterno cucciolo da amare, un compagno quotidiano, una presenza rassicurante che riempie spazi fisici ed emotivi. Quando manca, anche se per poco tempo, avverto un vuoto, un’assenza tangibile che si traduce in un senso di disagio. Questo sentimento è comune tra coloro che vivono con un animale per lungo tempo e testimonia quanto il legame possa diventare pericolosamente profondo.
Dal punto di vista psicologico, gli animali domestici offrono un supporto emotivo inestimabile. La loro presenza costante, l’affetto incondizionato e la capacità di percepire e rispondere alle emozioni umane li rendono delle figure di conforto, spesso più affidabili e immediate delle relazioni umane, che sono soggette a conflitti e incomprensioni. Il loro ruolo terapeutico è stato ampiamente studiato: riducono lo stress, abbassano la pressione sanguigna e migliorano il benessere generale. In molti casi, un animale domestico può diventare una sorta di ancora affettiva, un punto fermo nel caos della vita quotidiana.
Tuttavia, proprio questa loro capacità può portare a una loro eccessiva umanizzazione. È naturale provare amore per il proprio compagno a quattro zampe, ma è altrettanto importante ricordare che si tratta pur sempre di un essere con bisogni e ritmi diversi dai nostri. Un eccessivo attaccamento può diventare problematico, specialmente se genera ansia o tensioni all’interno delle relazioni familiari. Se la presenza di Oliver diventa un motivo di discussione con mia moglie ogni volta che decide di lasciarlo dai suoi genitori per una sera o, addirittura, un weekend, diventa necessario riflettere su quanto sia giusto che questa strana “dipendenza” influenzi anche se per poco la mia serenità.
Un altro aspetto da considerare è il rischio di sovraccaricare l’animale di aspettative umane. Trattare un cane come un figlio può sembrare un gesto d’amore, ma può anche privarlo della sua natura animale e delle sue esigenze etologiche. Ad esempio, un cane ha bisogno di socializzare con altri animali, di esplorare nuovi ambienti e di seguire il proprio istinto. Se lo si tratta esclusivamente come un membro della famiglia umana, si potrebbe involontariamente limitare la sua esperienza di vita.
Dunque, come trovare un equilibrio? La chiave sta nel riconoscere e accettare il valore affettivo che gli animali hanno nella nostra vita senza perdere di vista la loro natura. È importante godere della loro compagnia, apprezzarne il loro ruolo acquisito in casa e prendersene cura con amore e responsabilità, ma senza dimenticare che il loro benessere dipende anche dalla nostra capacità di permettere loro di essere semplicemente ciò che sono.
Forse, la prossima volta che Oliver passerà qualche giorno fuori casa (come oggi, del resto) dovrei provare a viverlo non come una sottrazione, ma come un’opportunità per entrambi: per lui, un’occasione di cambiare ambiente, esplorare e godere di attenzioni diverse. Per me, un’opportunità di riflettere sul mio legame con lui e sul ruolo che svolge nella mia vita e sulla gioia della sua condivisione, più che sulla dipendenza. Facile solo a dirsi, purtroppo!

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