ATTORI E SPETTATORI di Anna Fermo | A margine dei lavori del Consiglio europeo straordinario di qualche giorno fa, Giorgia Meloni sintetizzava la posizione di Roma sul tema degli armamenti bocciando l’eventuale uso dei fondi di coesione e chiedendo l’estensione dell’articolo 5 della Nato anche all’Ucraina. L’articolo prevede che un attacco armato contro uno Stato membro vada considerato un attacco diretto contro tutte le parti, impegnando ognuna ad assistere chi è attaccato – facendo ricorso, se necessario, all’impiego della forza armata. In pratica, la tutela essenziale offerta dall’Alleanza atlantica ai suoi Stati membri.
In questo quadro, la nostra premier rilanciava duqnue l’impegno dell’Italiaper un vertice Usa-Ue, ribadendo la linea già espressa al vertice informale di Londra: non c’è difesa europea senza un pieno coinvolgimento della Nato. Neanche a dirlo che la posizione della nostra premier è distante anni luce da quella di Emmanuel Macron che si profila tout court a favore di un ombrello atomico europeo. Meloni ha proposto tra l’altro che che tutti i fondi previsti venissero destinati a spese ammissibili al calcolo in ambito Nato, così da rispondere anche alle richieste americane di potenziamento delle spese della difesa. Una posizione davvero cauta, anche perché Giorgia Meloni è convinta che il piano europeo, per essere più accettabile dall’opinione pubblica, andrebbe legato a valori positivi come gli investimenti per la cybersicurezza, per le infrastrutture, per la ricerca e lo sviluppo, tanto da considerare non adatta la stessa parola “riarmo” che invece ha finito per definire il piano UE.
Il 6 marzo, il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo riunito in seduta straordinaria a Bruxelles ha approvato ufficialmente ReArm Europe. Per l’appunto, il piano per il riarmo europeo da 800 miliardi di euro volto al potenziamento della Difesa comune europea, così come annunciato il 4 marzo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Layen.
Non è una coincidenza: la data dell’annuncio di von der Layen non è casuale e coincide con la drastica interruzione del supporto all’Ucraina da parte degli Stati Uniti che hanno comunicato che non forniranno più armamenti e informazioni di intelligence a Kiev, impegnata da 3 anni a difendersi dall’invasione su larga scala da parte del regime russo di Vladimir Putin. Lo scontro televisivo tra Trump e Zelensky non poteva portare ad altri esiti.
Se non pochi ucraini vedono la decisione americana come un vero e proprio tradimento, la medesima decisione ha reso evidente alla maggior parte delle cancellerie europee che potrebbe presto venire a mancare uno dei fondamenti dell’ordine europeo nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, il c.d. ombrello difensivo offerto dagli Stati Uniti. Per il Presidente Donald Trump e la sua amministrazione, la difesa dell’Europa non sarebbe una sua priorità e presto potrebbe anche svuotare di efficacia la NATO. ReArm Europe è dunque la risposta immediata dell’Europa, una risposta che intende agire su due binari paralleli: potenziare gli investimenti dei singoli Stati membri nella Difesa e creare un maggiore coordinamento a livello comunitario.
Il primo punto è senza dubbio quello economico, per incentivare tutti i Paesi dell’Unione ad aumentare gli investimenti e a raggiungere almeno il 2% in rapporto al PIL previsto anche dalle clausole della NATO. Per cui, se la Polonia spende oltre il 4% e la Lettonia e l’ Estonia più del 3%, Italia e Spagna sono sotto la soglia dell’1,5% e devono adeguarsi. Il primo punto del piano ReArm Europe prevede quindi l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità. Con questo accorgimento gli Stati UE potranno sforare del 3% il rapporto tra deficit e PIL nazionale senza rischiare sanzioni, a patto che lo facciano per investire nella Difesa.
Altro denaro dovrebbe arrivare poi dai Fondi di coesione europei, parti del bilancio dell’Unione che storicamente vengono indirizzate per sostenere le aree economicamente e socialmente più arretrare nei Paesi membri. Risorse quindi che potranno essere usate anche in campo militare, seppure solo per investimenti che abbiano un ritorno anche in campo civile. Questa parte del piano che già sta generando malumori tra molti partiti politici, è tuttavia una misura opzionale e a discrezione dei singoli governi nazionali. Un contributo importante è previsto anche da parte degli investitori privati, che verranno favoriti da una modifica alle normative finanziarie in modo da ridurre le barriere tra i mercati nazionali e incentivare investimenti di gruppi transnazionali nel settore militare.
Un altro cambiamento riguarderà la Banca europea per gli investimenti (BEI), che se allo stato non può investire nel settore militare, con una modifica gli sarà permesso come una banca pubblica per investimenti a lungo termine, elargendo finanziamenti nel campo della Difesa.
Secondo diversi esperti in materia, ciò che servirebbe all’Unione europea non è tanto un aumento delle spese militari nei singoli Paesi europei, che, tra l’altro, sommati nel 2024 hanno comunque speso molto più della Russia, ma un migliore coordinamento nel campo tecnologico e nella gestione delle risorse già disponibili. La spesa europea, tanto per chiarire, nel 2024 è risultata eccedere quella russa del 58% (56% considerando solo UE e altri membri NATO in Europa e 19% considerando la sola UE). L’ampio divario tra spesa russa ed europea nel 2024 suggerisce quindi una certa cautela nel concludere che sia necessario un forte aumento della spesa militare in Europa, tranne che nei Paesi ancora al di sotto del 2% del Pil come, ahimè, la nostra Italia. Va invece risolto urgentemente il problema dell’inadeguato coordinamento tra le forze armate dei 27 Paesi membri dell’UE. Senza dubbio è anche per questo se è stato previsto anche un pacchetto da 150 miliardi di euro di fondi da destinare agli investimenti militari condivisi, investimenti che verranno erogati sotto forma di crediti agevolati ai Paesi che si organizzeranno per effettuare acquisti comuni di equipaggiamenti standardizzati.
Intanto, se lo sviluppo di sistemi d’arma “made in Europe” è visto con favore soprattutto dalla Francia, che da anni investe su una filiera degli armamenti molto più autonoma rispetto ai fornitori extraeuropei, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è tra i leader europei che si è mostrata più fredda, anche per il timore che le industrie nazionali ne possano uscire danneggiate rispetto a quelle francesi e tedesche.
Non va sottovalutato poi il rischio concreto delle ritorsioni di Donald Trump, che da una parte minaccia di abbandonare l’Europa al suo destino ma dall’altra sa che le industrie statunitensi degli armamenti perderebbero miliardi se i Paesi europei iniziassero a investire in un loro sistema industriale autonomo. Nonostante i dubbi di alcuni leader politici, “è evidente che una maggiore coordinazione è necessaria perché questo aumento di investimenti non crei solo una inutile corsa agli armamenti, ma getti le basi di una maggiore sinergia ed efficienza per la Difesa europea”, secondo il modesto avviso della Corte dei conti europea, che di recente ha chiesto di aumentare il budget da 1,5 miliardi di euro al momento destinato all’Edirpa, il programma di rafforzamento dell’industria europea della Difesa e per gli acquisti militari congiunti.
Il piano “ReArm Europe” così come appena definito nelle sue linee generali non poteva quindi non finire per spaccare le coalizioni politiche italiane, a partire dalla maggioranza che sostiene il governo e sino al PD che vorrebbe porsi a guida delle opposizioni.
Sul fronte del centrodestra la contrarietà del segretario della Lega Matteo Salvini è netta: «È il paradosso europeo – dice il vicepremier -: non si poteva investire un euro in più per sanità e scuola, mentre ora si possono spendere 800 miliardi per la difesa comune? Se oggi avessimo un esercito europeo, Francia e Germania ci avrebbero già mandato in guerra». Bocciatura del piano von der Leyen da parte del ministro dell’Economia ed esponente della Lega Giancarlo Giorgetti per il quale la difesa e sicurezza europea «implica un programma ragionato meditato di investimenti in infrastrutture militari che abbiano un senso, e non fatto in fretta e furia senza una logica». Di parere opposto l’altro vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani: «Noi siamo sempre stati a favore della difesa europea, era il grande sogno di De Gasperi e poi di Berlusconi e se adesso si concretizza questo sogno non può che essere un fatto positivo».
La premier Giorgia Meloni resta prudente e per Fratelli d’Italia, parla Fabio Rampelli, che ha commentato la bocciatura del piano Ue di riarmo da parte del ministro dell’Economia: «La parola “armi”, dopo decenni di finto e ipocrita pacifismo, è diventata impronunciabile in Italia». Rampelli, con la sua dichiarazione, sostiene il Governo «Italia ed Europa sono state difese dalle testate nucleari americane, non dai sit-in arcobaleno, abbiamo partecipato alle missioni di pace con gli eserciti, non con i cortei».
Divisioni profonde, sulla sponda del centrosinistra, attraversano il PD, membro del gruppo dei Socialisti e democratici che sostiene la commissione di Bruxelles. La segretaria Elly Schlein ha detto chiaramente che quella di von der Leyen «non è la strada che serve all’Europa». Al contrario, per Paolo Gentiloni, ex commissario Ue ed esponente di rilievo del Pd, si tratta di «un primo passo» che va «nella direzione giusta».
Va da se che ci pensi Romano Prodi a tagliare corto con la Schlein e compagni: “Gli 800 miliardi per il riarmo? Sono una tappa per arrivare alla difesa comune, così mi auguro, perché io sono anni che la predico, però i nazionalismi, uno con l’arma nucleare e l’altro no, uno con certe posizioni politiche e l’altro no, uno ha delle ex colonie a cui riferisce e l’altro no. Quindi il riarmo è un passo verso l’andare insieme”.
Il leader di M5S Giuseppe Conte dal canto suo ha parlato di «furia bellicista» da contrastare «in ogni modo», per poi puntare come al solito il dito contro la premier italiana: «È stata Meloni a firmare i folli vincoli europei che ci costringono a stringere la cinghia su sanità, scuola e servizi (Patto di stabilità) ed è stata sempre Meloni a insistere per avere via libera per la spesa sfrenata in armi». E ancora: «Tutto questo non era nel loro programma elettorale e non risulta che i cittadini li abbiano votati dandogli questo mandato». Ecco, dalla sinistra al M5S, vuoi vedere che la guerra in Ucraina e le decisioni di Trump alla fine non siano altro che colpa della Meloni? No comment ! Mentre ci auguriamo che il peggio non arrivi, rallegriamoci di avere Giorgia Meloni a guidarci.