Pasquale Raicaldo | C’era una volta il corallo rosso. Risorsa preziosa del mare che bagna Ischia e Procida, un piccolo tesoro che impreziosiva il caleidoscopico mondo sommerso: gioia per gli occhi di sommozzatori e naturalisti, potenziale attrattiva per i turisti. C’era, appunto. Perché l’ultimo scandalo nel cuore dell’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno”, commissariata lo scorso aprile dopo un lungo periodo di cattiva gestione, emerge impietoso da uno splendido reportage, effettuato da Edoardo Ruspantini per conto della IUPS, l’Italian Underwater Photography Society.
E dalle pareti delle isole, che digradano verso gli abissi, emerge un responso dalle tinte decisamente fosche: il corallo rosso (Corallium rubrum il suo nome scientifico) sta scomparendo. Vittima anch’esso del bracconaggio, dell’impatto antropico e della superficiale gestione di un ente nato, tra l’altro, proprio per preservare l’ecosistema del Golfo di Napoli, e delle isole di Ischia e Procida in particolare.
E’ solo l’ultimo desolante fallimento di quell’Area Marina nata il 27 dicembre 2007: una lunga e complessa gestazione, contraddistinta da guerre intestine e beghe politiche, con il licenziamento – in ultimo – del direttore scientifico, Riccardo Strada, prima dell’epilogo scontato, il commissariamento, ad opera del Ministero dell’Ambiente. E mentre Ischia e Procida attendono che, espletato il lavoro di riordino, la Capitaneria di Porto di Napoli passi il testimone a Roma e – chissà – il Ministero studi una nuova formula di gestione, magari più efficace, per il Regno di Nettuno, gli scatti di Ruspantini – che già fanno scalpore tra gli addetti ai lavori – raccontano una realtà sommersa, letteralmente e metaforicamente, di cui dovremmo vergognarci.
Sono istantanee sottomarine degli ultimi due mesi e, in particolare, testimoniano la situazione della parete di Punta Pizzaco a Procida, uno dei fondali coralligeni più spettacolari del Mediterraneo, deturpato da decine di metri di reti abbandonate. «Le reti fotografate – spiega il fotografo – ricoprono per alcune decine di metri in verticale le rocce intrappolando tra le maglie intere colonie ramificate di Corallo rosso molti già spezzati e danneggiati. Queste reti sono presenti solo da alcuni mesi, ce ne sono perlomeno tre lungo la parete e da mesi sono state segnalate». La natura imprigionata. Mortificata dall’uomo. Che non sembra curarsi affatto dell’opportunità di salvaguardarla e valorizzarla. Altrove, uno spettacolo del genere frutterebbe un indotto consistente: un turismo di qualità ed ecosostenibile, veicolato dai diving, si farebbe volentieri portavoce della presenza del corallo rosso. Ma il tempo è un inesorabile tiranno, e il corallo rosso sembra essere destinato all’inesorabile estinzione.
E non c’è soltanto l’incuria, anzi. «Da sempre – continua Edoardo – nei fondali di Procida e Ischia viene svolta l’attività illecita di pesca del corallo, ma nell’ultimo anno e mezzo abbiamo avuto l’evidenza visiva del prelievo per il conseguente chiaro depauperamento delle colonie di Corallo rosso presenti a Punta Pizzaco (zona B) a Punta Solchiaro sempre a Procida (zona B,) e Punta Sant’Angelo a Ischia (zona B n.t. – una sorta di zona A a tutela integrale dove sono consentite solo immersioni sportive guidate e contingentate come numero). Ho potuto verificare – rileva il sommozzatore, che dal 2011 è titolare di due diving che operano nel golfo di Napoli, il Punta Campanella Diving di Massalubrense e il SuBaia Diving di Baia – che questo è avvenuto sia a profondità appena superiori ai limiti ricreativi 38/45 metri, sia a profondità più elevate tra 45 e 70 metri. Certamente il corallo è stato anche pescato, nel caso di Punta Solchiaro e Punta Sant’Angelo, a profondità prossime ai 100 metri anche se in questo caso non ho avuto per ora la possibilità di constatarlo personalmente». Bracconaggio nel cuore dell’Area Marina Protetta. Ferite inferte – impunemente – alla natura più bella. «Infine – prosegue – abbiamo tutti i motivi per credere che il corallo sia stato pescato anche in piena zona A di riserva integrale che include la Secca della Catena, tra Procida e Ischia, chiusa da anni alle immersioni e quindi naturalmente fuori dal controllo che la presenza dei subacquei sportivi e professionisti garantisce».
«Il prelievo del corallo rosso (come d’altra parte la pesca dei datteri di mare) oltre ad essere un reato penale, oltre a causare un danno ambientale rilevante, è gravissimo anche perché a valle, necessariamente, si svolgono attività di lavorazione e commercializzazione parimenti illecite. Quando queste attività si svolgono nel cuore di una Area Marina Protetta ci troviamo di fronte ad una vera e propria sfida dell’illegalità alle leggi e quindi alle regole che sono alla base della convivenza civile».
Ma c’è di più: lo stesso direttore scientifico, Riccardo Strada, sembrava aver individuato la criticità relativa all’impoverimento del corallo rosso nei nostri mari. Prevedendo, tra i progetti nel proverbiale cassetto anche il censimento di una specie che definì – non a caso – «indicatrice, oltre che simbolica, della nostra Area marina protetta. Negli ultimi tempi – ammise – sono cresciute le minacce da parte di raccoglitori improvvisati e di ditte professionali. Un censimento e una valutazione dei banchi ci permetteranno di proteggere i banchi con maggiore attenzione». Ma questo come altri progetti (il monitoraggio invernale dei cetacei a cura di Oceanomare Delphis, ad esempio, bruscamente interrotto dopo il primo anno di attività) non è evidentemente decollato.
E oggi la comunità scientifica locale (con l’associazione Nemo in prima fila) e nazionale guarda con malcelata preoccupazione al reportage pubblicato con evidenza dalla Italian Underwater Photography Society (per leggerlo integralmente il link è www.iups.it/in-pericolo-il-corallo-del-golfo-di-napoli-2/), tra i cui impegni vi è quello di promuovere attraverso la forza espressiva della fotografia la comprensione e la conoscenza del mondo marino per sviluppare la sua conoscenza e per spingere e incoraggiare alla sua tutela. «Spero che, oltre alle parole che sono state abbondantemente spese nell’ambiente in questi ultimi due anni per lo specifico problema del corallo – è l’auspicio formulato da Edorardo – le immagini che pubblichiamo oggi siano di impatto sufficiente per smuovere i fotografi e gli operatori subacquei e le autorità scientifiche nella denuncia, e gli Enti di tutela e di controllo a collaborare per fare qualcosa di incisivo, subito».
Del resto, si legge nell’incipit del suo reportage, «il Golfo di Napoli è uno dei tratti di mare più ricchi del Mediterraneo, da sempre area privilegiata per gli studi di biologia marina e per questa ragione sede della più antica stazione zoologica d’Europa, ancora oggi tra le più prestigiose del mondo, la Anton Dohrn di Napoli fondata nel 1872. E all’interno del Golfo sono state istituite negli ultimi 28 anni ben quattro AMP». Tra queste, naturalmente, il Regno di Nettuno. Che – spiega Ruspantini – da sempre ha avuto una vita molto travagliata, per usare un eufemismo, terreno di scontri all’interno Consorzio di Gestione formato dai comuni presenti nel perimetro del parco e tra il Consorzio e i propri organi amministrativi. Alla fine, nove mesi fa come ultimi atti il Consorzio ha proceduto al licenziamento del Responsabile dell’AMP e poco dopo il Ministero dell’Ambiente ha commissariato l’Ente revocando la gestione al Consorzio ed affidandola provvisoriamente alla Capitaneria di Porto di Napoli. Questa è la situazione al momento: sostanziale paralisi». Paralizzato l’ente, pericolosamente esposto a un rischio incalcolabile la fauna che popola i nostri mari. A cominciare dal corallo rosso, che rischia di scomparire. Definitivamente.