Riforma del lavoro, se non la fa Renzi, la farà la Troika

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    Fabrizio Rizzi | Se non è giustizia ad orologeria, l’avviso di garanzia recapitato al padre di Matteo Renzi, che cosa è? Se fosse un Paese normale, cosa che non è, la magistratura non aspetterebbe l’insediamento del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, per mettere il naso negli affari di famiglia. E tentare di mettere lo zampino nei conti: si sa che le contabilità delle piccole aziende, non sempre, sono sorrette da tutti i crismi di legge. Ma il Paese è levantino, si agita a ogni proclama, c’è paura del futuro, le corporazioni si alleano, si cerca di fiutare che cosa attraversa l’aria, l’Europa è distante, meglio restringersi nel proprio orticello. Certamente, un atto giudiziario di tal fatta, non è una condanna, è soltanto un passo per segnalare che un’indagine è iniziata. Dopodiché si attende il termine dell’inchiesta, dalla quale potrebbe scaturire anche un nulla di fatto. Come è accaduto, proprio giovedì scorso, per Melania Rizzoli, moglie di Angelo, già deputato Pdl, prosciolta, dopo un anno e passa di dolori e frustrazioni, da ogni addebito e, probabilmente, senza tante scuse da parte dei giudici. Peccato che nel frattempo il marito, ex editore del “Corriere della Sera”, al quale puntava dritto al cuore l’inchiesta della Procura romana, sia morto. Peccato anche che lei abbia rinunciato, nel frattempo, a presentarsi candidata alla Camera. Chi le restituirà la serenità perduta, o, come si diceva un tempo, l’onore perduto?

    Non è un Paese maturo l’Italia in cui viviamo dove riemergono vecchie questioni come fantasmi. Passano gli anni e ci ritroviamo con il fardello di nodi irrisolti. Come la questione dell’articolo 18 sui licenziamenti. Ci rendiamo conto che dieci anni fa i giornali aprivano con gli stessi titoli di oggi?. La Cgil si opponeva con tutte le sue grinfie, gli altri sindacati, Cisl e Uil, inseguivano a ruota, mettendo al primo posto la dignità dei lavoratori. Cosa sacrosanta, intendiamoci. Ma i tempi cambiano rapidamente. Quello che ieri era un totem per i sindacati, oggi non è più intoccabile. La crisi ha minato certezze consolidate nella storia. Inutile illuderci di poter difendere posizioni che sanno di muffa. Matteo Renzi, nel botta e risposta con Susanna Camusso, è stato spietato ma realista.I sindacati hanno creato solo precari, perché si sono impegnati solo nelle battaglie ideologiche e non a risolvere i problemi della gente.

    La battaglia è cominciata e non si sa come finirà e con quanti feriti. Ma il problema, per quanto paradossale possa apparire, non è questo. Il problema vero, carico di tutte le valenze politiche e ideologiche sta a monte. Perché se questa riforma del lavoro non verrà approvata dal Parlamento nei modi e nelle forme sollecitate da questo governo, la legge verrà dettata dalla Troika, come è accaduto in un tragico e non lontano passato in Grecia. E’ uno scenario che non vorrei augurare a nessun italiano. Ma se il governo Renzi non ce la dovesse fare, quella riforma sul lavoro, verrà  sicuramente imposta dalla Troika inviata da Bruxelles. E dovrà essere il presidente Giorgio Napolitano a compiere quei passi formali e istituzionali per favorire questa grande riforma che i partner europei, e non solo, reclamano a gran voce. Non sarebbe giusto fare un processo a quei sindacati che in passato potevano compiere scelte meno dolorose, ma che non hanno mai voluto fare. Vi ricordate Bertinotti, leader di Rifondazione diventato presidente della Camera, quando esercitava il suo diritto di veto contro il governo Prodi? Ed era un governo di sinistra che faceva cose di sinistra, liquidato dallo stesso Bertinotti, con le rime di una poesia. Chissà se la storia, stavolta, può insegnare qualcosa.

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