domenica, Dicembre 22, 2024

SCAPPA! SCAPPA LONTANO! LA STORIA DEL PICCOLO “MATTIA” E LA VIOLENZA DELLO STATO

Gli ultimi articoli

Iscriviti alla nostra newsletter

Resta informato e non perderti nessun articolo

Una mamma denuncia il padre di un presunto abuso sul proprio figlio di tre anni. La battaglia per la separazione, il ruolo dei servizi sociali di Ischia, delle zie paterne e la decisione del piccolo che non ne vuole sapere di quella parte della famiglia. Alla fine, la decisione: per il bimbo meglio la comunità che solo la mamma. Per l’avvocato della mamma si tratta di violenza istituzionale

Gaetano Di Meglio | Questa è una storia delicata e complicata. Una storia che impone equilibrio e zero preconcetti nella mente di chi legge. Questa è una storia che, tuttavia, prova l’assoluta incapacità dei nostri servizi sociali. La prova che sono i primi nemici di famiglie in difficoltà e che, purtroppo, sono il peggior prodotto della peggiore spartizione politica possibile.
Se i danni fatti al contenzioso e negli altri uffici possono essere tollerati, quelli tra i servizi sociali di Ischia (ma non solo!) sono insopportabili. E sono odiosi.
Oltra al servizio che ha realizzato l’agenzia DIRE sulla base del racconto dell’avvocato Cuffari, abbiamo realizzato una nostra indagine. E nella narrazione che faremo, tuttavia, abbiamo deciso di tenere segreti alcuni dettagli privati.

Questa storia parte nel 2019 quando la mamma di un bimbo di Ischia denuncia il padre per un presunto abuso ai danni del proprio piccolo. Già solo questo particolare, avrebbe dovuto spingere gli assistenti sociali del Comune di Ischia a comportarsi in maniera diversa. A capire il contesto e a regolarsi di conseguenza. Ma non si può avere sempre tutto!
La donna inizia la sua battaglia, la denuncia arriva in Procura e il GIP dichiara l’archiviazione delle accuse penali perché non in possesso di elementi che avrebbero resistito in giudizio. In poche parole, l’aspetto penale di questa vicenda non si poteva affrontare perché non c’era, materialmente, la prova e neanche si poteva creare nel dibattimento per l’impossibilità di avere un racconto della persona abusata, essendo un bimbo di 3 anni!

Lei si convince della colpa del marito e si avvia il confronto per la separazione. Una separazione dura che si basa, ovviamente, sullo sfondo di questo presunto abuso che, è evidente, continua a lacerare la mente e la vita di questa donna. Una donna che, poi, ha dovuto subire tutte le assurde e infami storture del sistema italiano e delle sue folli pretese!

Mentre si lavora per la separazione e mentre si accavallano le perizie e gli accessi tecnici sociali, psicologici e neuropsichiatrici al piccolo viene diagnosticata anche una malattia genetica che impone un impegno massivo per quanto riguarda l’alimentazione e le normali azioni che fanno i bambini della sua età.
I grandi cercano di far applicare la legge e chi paga le conseguenze è il bambino che dimostra, senza ombra di dubbio, di non voler stare con il padre e di reagire in maniera sproporzionata quando lo costringono ad incontrarlo. E non importa che le convenzioni riconosciute dallo Stato Italiano vengano calpestate da tecnici e altri soggetti deputati al loro rispetto.
Già in questa prima fase si iniziano a registrare le prime azioni poco attente dei nostri servizi sociali e in tribunale iniziano a piovere rilievi e relazioni per alcuni poco equidistanti.

Dopo tanto dibattere e dopo molte udienze si arriva ad un primo atto del giudice che lascia il bimbo in affidamento alla mamma, ma lo affida alle attenzioni dei Servizi Sociali che devono appurare che la madre rispetti tutte le prescrizioni del giudice. Vi abbiamo detto che non avremmo evidenziato alcuni dettagli privati, ma vi possiamo garantire che spesso anche il semplice italiano non viene compreso e, in virtù di questa cattiva comprensione del testo, poi, si redigono atti ufficiali.
Siamo in pieno periodo Covid e al tribunale viene anche evidenziato che la donna qualche volta ha evitato di portare il bimbo a scuola. Siamo tra il 2020 e il 2021, quando tutti eravamo alle prese con la DAD e le videolezioni! Che storia assurda.
A tutto questo, poi, si aggiunga qualche imperversata del papà e qualche scenata della mamma e il quadro si completa. Ma qualcuno avrebbe dovuto avere la consapevolezza e la visione totale per interpretare bene tutti i vari dettagli.
Passano i mesi e il punto di svolta, vero, arriva quando si costituisce nel contenzioso la curatrice speciale del bambino. Una svolta che spariglia le carte in tavola e che ci avvicina all’epilogo di questi giorni, ovvero alla pubblicazione del decreto di collocamento in casa famiglia del piccolo.
Però, attenzione, prima di arrivare alla fine dobbiamo percorrere ancora un po’ di strada.
Con la costituzione del curatore speciale (ancorché penda appello per la sospensione della responsabilità genitoriale verso la mamma) il tribunale decide che il bimbo venga ospitato dalle zie, le sorelle del padre. E che venga tolto alla mamma perché il tribunale, anche grazie alle relazioni dei servizi sociali, ha paura per i danni alla condizione psichica del bambino derivante dalla frequentazione unica ed esclusiva della madre. Un bambino con una vita felice che ha paura solo quando vede gli assistenti sociali e il padre. Un padre nei confronti del quale, ricordiamolo, il tribunale si è dovuto fermare perché “non in possesso di elementi che avrebbero resistito in giudizio” in un potenziale processo per abuso su un bimbo di 3 anni!

Dopo questa decisione del tribunale, iniziano le prove con le zie del piccolo. Incontri sorvegliati dagli assistenti sociali e che, però, al bimbo non piacciono. Dopo i viaggi a Caivano e i traumi da “specialisti”, per questo bimbo di 8 anni inizia quello per gli incontri con le sorelle del padre e con altri assistenti sociali. Dopo i primi incontri, più o meno con esito positivo, il bimbo inizia a metabolizzare la vicenda e inizia a ribellarsi. Così come può fare un piccolo di 8 anni: con pianti, capricci e resistenza a scendere dall’auto.
Ma nulla. La legge e le relazioni dicono che il bimbo può avere un danno a frequentare solo la mamma perché “Lo allontana irreversibilmente non solo dal padre, ma da tutta la realtà – si legge nel decreto emesso dal Tribunale di Napoli – precipitandolo in un mondo occupato solo dalla madre” reputa il Collegio, sulla scorta di tutti gli elementi acquisiti al giudizio.

E capite facilmente quali sono gli altri elementi acquisti in giudizio. I giudici del Tribunale di Napoli decidono che “sia preferibile il collocamento in comunità, che arrecherà (almeno allinizio) sofferenza al bambino, ma è lunica soluzione che dovrebbe scongiurare il gravissimo pregiudizio alla sua condizione”.
Anche grazie al lavoro dei servizi sociali, secondo il tribunale “Alienante sarebbe la mamma di Mattia – racconta l’agenzia DIRE – , un bambino che negli incontri protetti con il padre aveva crisi dansia al punto da non voler uscire dalla macchina. Un bambino che ha quasi 4 anni quando la mamma vede “un arrossamento, pelle violacea nella zona anale e gli chiede cosa sia accaduto. Il piccolo indica delle bottiglie detergenti e racconta di abusi e molestie sessuali, mimando anche il gesto”. Sono trascorsi gli anni, i processi e le pandemie e il piccolo Mattia (usiamo il nome di fantasia scelto dall’agenzia DIRE) ha sempre vissuto a casa con la mamma e non importa se – come dice l’agenzia DIRE “il referto del tampone anale sarà distrutto e non più disponibile per ulteriori approfondimenti da parte dellAutorità Giudiziaria”.

Non importa se “Il bambino ha continuato nel corso del tempo – continua la nota d’agenzia – a manifestare sofferenza e crisi d`ansia nel vedere il padre negli incontri protetti. Malessere a fasi alterne negli incontri con le zie paterne, previsti dal Tribunale che (grazie ai servizi sociali) ha stigmatizzato una condotta della mamma definita “ostile”, afferma l’agenzia.

Lavvocato Andrea Girolamo Coffari, legale della mamma, raggiunto dalla DIRE, ha replicato alle motivazioni riportate dal Tribunale di Napoli “Questo è il tipico caso di un bambino che rifiuta il padre per timore e di una madre che lo protegge. In ambito penale il padre non può e non deve essere condannato in assenza di prove inequivocabili, siamo garantisti, ma ciò che non capiscono alcuni giudici è che larchiviazione penale non vuol dire che in ambito civile il giudice non debba proteggere le vittime. Nonostante la Convenzione di Istanbul, il lavoro della Commissione femminicidio e la riforma Cartabia parlino di violenza istituzionale, quale è strappare un figlio a una madre in nome di una bigenitorialità, si continua ad ignorare questo principio di logica giuridica. Avevamo presentato Appello e siamo in attesa dellesito e nonostante avessi chiesto di sospendere lemanazione di provvedimenti il Tribunale di primo grado ha emesso questo decreto. Poliziotti e assistente sociali sono già andati.
Questa è violenza istituzionale che causa traumi ai bambini.

Mattia – ha sottolineato ancora Coffari – non aveva problemi a stare con altri adulti, con le zie gli incontri erano stati altalenanti, ma il Tribunale non ha avuto pazienza e ha diramato questo decreto. Il bambino non è patologizzato, aveva il beneficio di una psicoterapeuta – che il Tribunale aveva chiesto alla mamma di individuare – dalla quale andava volentieri e il Tribunale ha interrotto anche la psicoterapia. Inoltre soffre di favismo e lemotività sotto stress può dar luogo a crisi gravi. La mamma non intende fargli vivere questo massacro. Perché non avere pazienza con i bambini e indulgenza e onore a queste donne che vogliono proteggere i figli? E un bagno di sangue per loro, è un dramma. Come si può pensare che lo facciano per ripicca con il prezzo alto che pagano?”

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Gli ultimi articoli

Stock images by Depositphotos