sabato, Gennaio 11, 2025

Scenari di un abitare a-venire 1. L’asilo e l’esilio

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Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi,
e i suoi non l’hanno accolto (Giovanni 1, 1-17).


“Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi” (Wittgenstein,1953). Il latino “incolěre” designa poi l’atto originario dell’insediarsi e stringe in un nodo cultura, coltura e culto. Così come abitare ha la stessa radice di abito e abitudine. Noi impariamo a parlare per imitazione, esercizio, prova, errore. Nessuno impara a parlare cominciando dall’alfabeto, dal dizionario, dall’analisi grammaticale e logica, per poi applicare tutte queste regole nella produzione di una frase corretta. Né tantomeno impariamo una lingua standocene seduti in mezzo ai vocabolari.
Abitare un luogo, e non trovarsi semplicemente in uno spazio, si può solo riconoscendo una appartenenza che è “habitus” come consuetudine, familiarità, storicità condivisa.

La Rete delle Città-Rifugio, promossa nel 1996 dal Parlamento Internazionale degli Scrittori, ha per scopo il diritto alla libertà di espressione e la protezione degli scrittori contro le pratiche anche violente di censura. Il Parlamento fu costituito nel 1993, a Strasburgo, a seguito della Fatwa dell’Ayatollah Komeyni nei confronti di Salman Rushdie, l’autore del celebre “Versetti satanici” (1988) e di tutti gli editori, i traduttori, ecc. del libro. L’assassinio dello scrittore algerino Tahar Djaout nel 1993 fu all’origine di una petizione di oltre 300 scrittori di ogni parte del mondo, prima pietra per la costituzione del Parlamento del quale fu designato come primo presidente lo stesso Rushdie.

Le città-rifugio hanno una condizione paradossale: il richiedente asilo vi trova protezione, ma il rifugio lo distacca dal suo mondo di origine: “l’asilo implica l’esilio”. Per di più l’asilo, per poter funzionare come tale, deve garantire l’anonimato del rifugiato.
Le città-rifugio dovrebbero offrire asilo non solo agli scrittori, ma agli stranieri in generale che siano essi migranti, esiliati, deportati, apolidi, ecc. Dovrebbero accogliere anche chi non ha nome, come molti migranti in transito che non rassegnano le loro generalità per evitare di essere rimpatriati in forma coatta dalle autorità del luogo in cui giungono.

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