domenica, Gennaio 26, 2025

Scenari di un abitare a-venire 3. Progettare la città oggi: questioni in gioco

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son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco
G. Leopardi, La ginestra

La città è sempre più luogo delle differenze. Vi si stratificano spazi e tempi diversi e forme nelle quali gli abitanti non sempre “si riconoscono”: una città che ospita molteplici forme di cultura, stili di vita e modi di abitare. Questa città e quella a-venire sono ancora tra i nostri compiti più importanti. A patto che restiamo consapevoli ognuno del suo tra gli altri ruoli e delle sue tra le altre competenze, del suo tempo rispetto a chi è stato prima e a chi verrà dopo. “Lasciare alle nuove generazioni un mondo non peggiore di quello che abbiamo trovato” è l’imperativo – spesso oscurato dal più noto triangolo ambiente, società, economia – del progetto sostenibile.

Si tratta di comprendere il senso del nostro lavoro oggi in una condizione inedita. Perciò, dopo tanto parlare di mitigazione e adattamento, penso sia utile leggere, di Barbara Stiegler, «Il faut s’adapter». Sur un nouvel impératif politique, 2019 disponendosi ad agire responsabilmente prima che come soggetti competenti. Si tratta di un’idea di responsabilità che si situa ai confini delle nostre tradizionali attrezzature mentali. Una responsabilità estrema nei confronti delle generazioni a-venire, che propone della stessa democrazia un’immagine inaudita: perché deve tener conto che ai tavoli dove si assumono oggi le decisioni per il futuro non siedono le prossime generazioni, per il semplice fatto che esse non sono ancora nate. Tocca a noi decidere “anche per loro” in un tempo, però, in cui le nostre decisioni potrebbero, come mai prima, determinare “la fine della vita”, mentre nelle società democratiche la regola resta – né se ne vede altra plausibile all’orizzonte – quella della “maggioranza dei voti”.

“Umiltà” è allora il ‘termine’ che ci esorta a riconoscere i nostri limiti, a stare “sulla”, “con” e “per” la terra (“humus”), a mitigare ogni esaltazione, ogni continua, nichilistica ansia di superamento.

Sempre di nuovo risuona il verso di Leopardi che all’ «odorata ginestra contenta dei deserti» rammenta dolente: «e piegherai/ sotto il fascio mortal non renitente/ il tuo capo innocente». E sempre di nuovo, per credenti e laici, il monito: «beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5).

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