giovedì, Febbraio 20, 2025

Sciame sismico dei campi flegrei sentito anche a Procida. Quando San Michele preservò l’isola dal terremoto

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Ci sono storie che resistono al tempo, che attraversano le generazioni come un fiume sotterraneo, pronto a riemergere nei momenti di paura e incertezza. Storie che non appartengono solo alla memoria, ma si intrecciano con l’anima di un popolo, diventando parte della sua identità.
È il caso di Procida, che nel 1883 sfuggì al destino crudele che si abbatté sulla vicina Casamicciola, a Ischia. Un terremoto devastante, uno dei più tragici della storia italiana, rase al suolo la cittadina, lasciando dietro di sé rovine, pianti e un silenzio assordante. Ma mentre la terra inghiottiva case e vite umane, Procida rimase intatta, come protetta da una mano invisibile.
Gli abitanti non ebbero dubbi: era stato San Michele Arcangelo, il loro patrono, a stendere il suo scudo celeste sopra l’isola, fermando la furia del sisma.

La notte del 28 luglio 1883 fu segnata da un boato sordo, un ruggito che si propagò nel ventre della terra, scuotendo Ischia con una violenza inimmaginabile. Case crollarono come castelli di sabbia, strade si aprirono in crepe profonde, il mare si trasformò in un’eco di disperazione.
A Casamicciola, l’apocalisse: più di duemila morti, famiglie spezzate in un istante, un’intera comunità cancellata dalla furia della natura. Ma a pochi chilometri di distanza, Procida rimase ferma, immobile, come avvolta da un’aura di protezione.

Per i procidani, non fu solo una coincidenza. San Michele aveva vegliato su di loro, respingendo il disastro. Ed era giusto ringraziarlo.
La devozione si trasformò in un atto concreto: i procidani decisero di donare al loro santo patrono uno scudo d’oro, tempestato di rubini, diamanti e zaffiri, simbolo della luce e della protezione divina. Non era solo un oggetto prezioso, ma un giuramento, un pegno d’amore e riconoscenza.
Ancora oggi, quello scudo splende come un monito e un ricordo: la fede può essere più forte della paura, la speranza più forte della distruzione.

Dante, nel Canto V dell’Inferno, descrive l’amore come un tremuoto dell’anima, un sussulto tanto violento da strappare via il respiro. E forse, in quel giorno d’estate del 1883, a Procida avvenne qualcosa di simile: la paura scosse l’anima della gente, ma la fede resistette, salda come la roccia dell’isola, luminosa come l’oro dello scudo.
Ma oggi, quasi un secolo e mezzo dopo, la terra ha ricominciato a tremare.
Negli ultimi mesi, il bradisismo e i terremoti nei Campi Flegrei stanno facendo tremare la terra sotto i piedi dei napoletani, e le scosse vengono avvertite chiaramente anche a Procida. Un’ansia collettiva serpeggia tra la gente, che torna a interrogarsi sul proprio futuro, a temere che la natura possa risvegliarsi con tutta la sua furia.

Le immagini della distruzione di Casamicciola, le storie dei sopravvissuti di oltre un secolo fa, tornano improvvisamente vive nella mente di chi, oggi, sente il pavimento oscillare sotto i piedi.
C’è chi si affida alla scienza, chi prega, chi ricorda che Procida è sempre stata salvata.
Oggi come allora, lo scudo d’oro di San Michele è lì, nel cuore dell’isola, testimone di una fede che non si è mai spenta. I procidani guardano il cielo e si chiedono se il loro santo protettore stia ancora vegliando su di loro, se ancora una volta l’isola sarà risparmiata dalla furia della terra.

Forse la storia del 1883 non è solo un ricordo lontano. Forse è una lezione, un monito, un filo invisibile che collega il passato al presente.
Mentre la terra trema, Procida resta in bilico tra la paura e la speranza, tra la scienza e il miracolo, tra il destino e la fede.
E ancora una volta, i suoi abitanti attendono un segno, uno scudo divino che possa proteggerli dal futuro incerto.

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