Mi fa una certa impressione sentir chiamare il Presidente incaricato del Consiglio dei Ministri con lo stesso nome di mio padre e di mio nipote. Successe, anche se con minor risalto, quando l’attuale allenatore del Chelsea giunse agli onori della cronaca sportiva; e così come allora suonava strano un calciatore che si chiamava esattamente come mio fratello e mio zio, oggi la designazione della prossima maggioranza di governo nazionale ha provocato un continuo “sfottò” ai danni di questi miei due parenti strettissimi, il secondo dei quali possedeva addirittura il dominio giuseppeconte.it fino a pochi anni fa quando, resosi conto di rinnovarlo inutilmente, decise di liberarlo, ignaro di quanto avrebbe potuto divertirsi oggi con un’inaspettata quanto ambita asta on line.
E’ chiaro che la mia innata passione per la politica mi porta a compiere qualche innocente volo pindarico collegato alle recenti cronache sulla formazione del nuovo esecutivo. Inevitabile, proprio come sta accadendo adesso, pensare: “Ma se quel Conte fossi io, cosa mi preparerei a fare al posto suo?”. Ed ecco lo spunto per il 4WARD di oggi!
Se io fossi Conte, il premier, avrei innanzitutto evitato di propormi di primo impatto come “l’avvocato difensore degli italiani”; e questo non tanto per evitare di espormi agli strali dei miei nuovi nemici o, peggio ancora, alle vignette che circolano su WhatsApp nelle ultime ore e che ritraggono Conte con la toga e la classica frase attribuita ai legali di presunta fiducia (che riporto “in pulito”): “Qui vinciamo, qui perdete”. Sul piano della comunicazione, specialmente dopo la polemica sui suoi studi all’estero, il nostro futuro primo ministro avrebbe potuto volare un tantino più basso, magari limitandosi ad assumere una linea di convergenza con i gruppi politici da cui trae origine la sua designazione e lanciando un messaggio tanto semplice quanto rassicurante, facendo sì che gli slogan e le frasi ad effetto rimanessero appannaggio esclusivo di Salvini e Di Maio.
Se io fossi Conte, il premier, avrei evitato senza dubbio di girare in città, dopo l’incarico, con più auto di scorta al mio taxi. Sia chiaro: anche la “sparata” iniziale del Presidente della Camera Fico (il quale provò a far parlare di sé per essere andato a piedi al Quirinale e, successivamente, per un breve utilizzo dei mezzi pubblici per i suoi spostamenti) mi è parso un inutile quanto poco credibile colpo ad effetto di cui tutti si son già dimenticati, anche sul piano del gradimento. Ma l’abilità di un personaggio pubblico che si rispetti, di questi tempi, sta anche nel mantenere, contemporaneamente, sia il physique du role e l’image sia un’aura di normalità che piace tanto alla gente comune.
Se io fossi Conte, il premier, mi approprierei da subito dell’autorevolezza di una carica che, purtroppo, non mi deriva da una volontà popolare, pur essendo espressione di una maggioranza politica. Questo lo riterrei un passaggio fondamentale, in considerazione del fatto che, non certo per il titolo mancato di “onorevole” o “senatore”, non mi piacerebbe incorrere nell’equivoco creato ad arte da chi, di qui a poco, potrebbe additare il mio mandato come il quinto non legittimato dal voto degli elettori. Superata la definizione di “governo tecnico” grazie alle ampie puntualizzazioni dei diretti interessati, quindi, sbarcherei immediatamente in tivù e sui social proponendomi al pubblico con un linguaggio pacato, evitando tecnicismi incomprensibili ma anche dei contenuti rivolti solo alla pancia degli Italiani.
Se io fossi Conte, il premier, creerei subito un collegamento costante con gli Uffici Territoriali di Governo (le vecchie Prefetture, per intenderci), facendo in modo di renderli realmente in grado di rispecchiare, giorno dopo giorno, la situazione socio-politico-economica delle singole realtà provinciali e aiutando l’esecutivo ad adottare le giuste linee guida per la sua attività e per quella dell’intero Parlamento. E’ evidente che solo questo tipo di reale consapevolezza su quel che accade lungo lo Stivale potrebbe contribuire ad un momento di insperato riavvicinamento tra la politica e la gente comune, con la conseguente rivalutazione della fiducia e del rispetto di quest’ultima verso le istituzioni.
Se io fossi Conte, il premier, sarei certo di poter rispettare (e questo già prima di aver accettato di essere indicato al Quirinale dalla mia parte politica) l’attuazione –in termini di tempi e di coperture- dei principali punti del contratto di governo stipulato dalla coalizione cosiddetta gialloverde. Indipendentemente dal fatto che lui una sua professione già ce l’ha e, quindi, seppure dovesse andargli male, non resterebbe di certo in mezzo a una strada a chiedere la carità, credo che Conte, da persona perbene quale viene dipinto dai più, non dovrebbe mai mettere a repentaglio la propria credibilità personale e professionale pur di raggiungere e mantenere ad ogni costo un posto di potere. Mantenere fede agli impegni sottoscritti e diffusi su larghissima scala, in nome e per conto di un governo che non è ancora nato ma le cui doglie sono già ampiamente cominciate, è un elemento indispensabile per non fallire e, soprattutto, essere omologati alle già molteplici e cocenti delusioni degli ultimi tempi.
Se io fossi Conte, il premier…
Ma, per quanto Conte di cognome, proprio come lui, sono spiacente: non sono io.
In bocca al lupo, Italia!