La sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, Sezione Specializzata in Materia d’Impresa, racconta tutta la vicenda del fallimento de “La Torre”, la partecipata del Comune di Serrara Fontana costituita agli inizi del millennio per gestire la nettezza urbana e dichiarata fallita nel 2015. L’Ente e gli ex vertici della società erano stati chiamati in giudizio da “Fallimento de La Torre S.R.L.” e nell’udienza del 24 luglio scorso tenuta dal giudice estensore dr. Adriano Del Bene e dal presidente dr. Leonardo Pica c’è stata la pronuncia sulle domande proposte dalla parte attrice. Una condanna complessiva da oltre 5 milioni di euro nei confronti di Angelo De Dato, Giuseppe Mattera, Pasquale Colicchio, Nicola Pascale, Comune di Serrara Fontana, Silvia Mazzi, Carmen Cuomo, Miriam Cuomo, con l’intervento di Assicuratori dei Lloyd’s sp.a. e Arag Se – Rappresentanza Generale per l’Italia.
Una lunga sentenza che continueremo a pubblicare nelle prossime edizioni, da cui emergono molteplici dettagli di quello che oggi diventa un caso emblematico delle conseguenze della gestione “allegra” delle società partecipate.
ETERODIREZIONE ABUSIVA
Entrando nel merito della complessa azione di responsabilità, il collegio evidenzia da subito che «la curatela fallimentare rivendica un’obbligazione risarcitoria che affonda le sue radici nei profili di responsabilità degli organi sociali (in primis, organo amministrativo e collegio sindacale), ma che si estende alla responsabilità del socio unico ente comunale titolare dell’intero capitale sociale della fallita al quale viene addebitato l’esercizio di attività di abusiva eterodirezione».
Nei successivi passaggi iniziano ad emergere le responsabilità dell’Ente: «Al fine di comprendere se effettivamente il controllo societario della fallita da parte del Comune di Serrara Fontana, titolare dell’intera partecipazione societaria, integri una fattispecie di abusiva eterodirezione, occorre esaminare gli sviluppi imprenditoriali della società partecipata, costituita sin dal 2002 e che ha visto negli anni il graduale incremento dei servizi pubblici svolti nell’interesse dell’ente pubblico controllante.
In particolare, al progressivo incremento dei servizi (tra i quali spiccano la gestione del servizio di igiene urbana, di raccolta e trasporto dei rifiuti, di pulizia e spazzamento delle strade nonché la gestione degli arenili unitamente ai servizi di pulizia dei locali di proprietà comunale, dei servizi cimiteriali comunali e la manutenzione delle aree attrezzate a verde pubblico per citare soltanto quelli principali giusta delibere comunali allegate all’atto introduttivo) non sembra che il socio unico – che con il sistema delle partecipate realizza un’economia di spesa rispetto a quanto costerebbe in termini economici e di tempo approntare una gara ed affidare quindi tali servizi ad un appaltatore – abbia negli anni rafforzato a livello organizzativo e finanziario la società partecipata, alla quale invece ha negato già dal 2008 i necessari apporti finanziari per ovviare ad uno stato di dissesto, che secondo parte attrice, era stato causalmente generato anche per i compensi assolutamente antieconomici corrisposti per i diversi servizi resi dalla controllata».
In sostanza, il Comune risparmiava gravando la partecipata di onerosi servizi senza alcuna “iniezione” di liquidità.
GESTIONE CARENTE SOTTO IL PROFILO CONTABILE
Una gestione caratterizzata da scelte erronee e da una serie di omissioni da parte di chi era deputato al controllo: «Nella ricostruzione della curatela attrice assume un rilievo cruciale la scelta di affidare la gestione amministrativa ad un amministratore unico in carica sin dalla costituzione nel 2002 e fino alla messa in liquidazione della società in data 06.12.2012 ed al medesimo collegio sindacale, a fronte di una gestione amministrativa carente sotto il profilo contabile (atteso che l’ultimo bilancio risale all’esercizio 2010) e che pur conscia dell’ingravescente situazione di dissesto decideva di non intraprendere alcuna iniziativa volta almeno a non aggravare tale dissesto, con il beneplacito dell’omesso controllo dell’organo di vigilanza, che non si è mai preoccupato – per stessa ammissione dei componenti sindacali – di esercitare la propria funzione di vigilanza sui documenti contabili in originale, accontentandosi di vagliare la lista delle movimentazioni contabili fornita dall’organo amministrativo e rivelatasi all’esito della dichiarazione di fallimento difforme rispetto ai reali movimenti contabili e di cassa della fallita».
MANCATO ADEGUAMENTO DELLE TARIFFE
Il collegio ha analizzato le ulteriori accuse mosse dalla curatela fallimentare al Comune, che aveva in pratica portato al “dissanguamento” la società non consentendole nemmeno di incassare crediti esigibili: «Dal suo canto, secondo la curatela fallimentare, il Comune di Serrara Fontana, in qualità di socio unico della partecipata, nonostante dal 2008 fosse stato previsto l’istituto del “controllo analogo” per implementare la propria ingerenza e controllo sulla gestione sociale, improntava l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento in spregio ai criteri di corretta gestione imprenditoriale e societaria, mantenendo in vita un organigramma amministrativo e sindacale che si sottraeva all’esercizio dei compiti istituzionali e consentendo il mantenimento in vita di un ente sociale che dal 2010 non approvava bilanci e continuava a registrare perdite, che non venivano coperte dal socio unico.
Il principale addebito mosso dalla curatela all’ente comunale è quello di non aver garantito alla società controllata il raggiungimento dell’obiettivo della redditività, in ragione dello strumento privatistico eletto per lo svolgimento dell’attività economica in favore della comunità locale e ciò per il rilievo che l’accumularsi delle perdite rilevate almeno fino a quando sono stati approvati i bilanci è stato neutralizzato soltanto fino al 2008 con discutibili operazioni di conferimento di beni strumentali già in uso alla società e senza apportare liquidità nelle casse sociali.
Né tantomeno per superare le criticità sotto il profilo economico e finanziario, l’ente comunale provvedeva ad adeguare le tariffe per lo svolgimento dei servizi resi, così traslando sulla società partecipata tutti gli oneri economici derivanti da una congerie di servizi resi all’utenza e senza nemmeno corrispondere i crediti maturati verso lo stesso ente comunale, che avrebbero consentito almeno di ridurre l’esposizione verso la FIBE e gli istituti di credito.
Infine, si addebitava al Comune di aver fatto ingigantire il credito verso l’utenza, al netto di poste creditorie risultate prescritte per l’omessa fatturazione delle bollette da parte dell’organo amministrativo, senza agire di conseguenza per il recupero di tali crediti (ed infatti l’attività di riscossione coattiva veniva attivata con ritardo, stipulando convenzione con Equitalia soltanto nel 2009) e senza approntare in bilancio i dovuti correttivi con l’istituzione di adeguati fondi di svalutazione».
SOTTRAZIONE DI LIQUIDITA’
La sentenza analizza le singole condotte di mala gestio ad iniziare da una sottrazione di somme per la quale veniva chiamato in causa l’ex amministratore De Dato: «Il primo addebito riguarda una presunta sottrazione di liquidità dalle casse sociali connessa ad un’operazione di bonifico in favore della società di diritto elvetico “Gem Europe Invest”.
I sospetti della curatela fallimentare circa la distrazione di somme trovavano fondamento nelle discrasie tra le risultanze dell’estratto bancario rilasciato dall’istituto di credito e le rilevazioni contabili, ove l’uscita di euro 90.000 per il suddetto contratto stipulato con la società elvetica non figurava. In sede di interrogatorio, il De Dato dichiarava di non aver mai sottoscritto l’operazione di investimento con la società estera. Nemmeno la richiesta di chiarimenti inoltrata dai curatori alla società elvetica consentiva di chiarire l’esito della cennata operazione.
Secondo la curatela fallimentare si tratterebbe di un’operazione fittizia volta ad occultare ripetute distrazioni di somme dal conto corrente sociale ad opera dell’organo amministrativo che era legittimato ad operarvi.
Ed invero a prescindere dalla natura e dallo scopo del contratto (lo stesso CTU ha ipotizzato che poteva trattarsi o di uno strumento finanziario derivato oppure di una forma di finanziamento), resta il dato inconfutabile dell’esistenza di numerosi prelievi per contanti o giroconti in favore dell’amministratore che sono risultati privi di giustificazione.
Tuttavia in mancanza del riscontro probatorio di un esborso pari ad euro 90.000 che non risulta dal conto corrente Unicredit della fallita, non vi è la prova di tale distrazione e di tanto si ha conferma anche negli esiti degli accertamenti del CTU che si è limitato ad operare una rettifica dei bilanci per questa posta contabile.
Al contrario, sollecitato il De Dato sulle numerose uscite registrate sull’estratto conto bancario, con particolare riferimento ad alcune con causale “polizza vita” ha disconosciuto tali operazioni che restano comunque effettuate dallo stesso in difetto di giustificazione nell’interesse sociale e quindi causative di un danno al patrimonio sociale quantificato dalla curatela in euro 22.450».
Per questo episodio il collegio punta il dito contro il solo De Dato: «Non si condivide l’assunto della curatela che vorrebbe estendere la responsabilità di tali distrazioni anche agli altri convenuti, in particolare al collegio sindacale ed al socio unico controllante a titolo di corresponsabilità, quando trattasi all’evidenza di sottrazioni di liquidità in favore del solo organo amministrativo e di cui il collegio sindacale ne veniva a conoscenza soltanto ex post senza quindi poter effettuare alcuna attività impeditiva, tantomeno il socio unico che non aveva alcun potere di intervenire se non successivamente sull’operato dell’amministratore, traendone le dovute conseguenze sotto il profilo della permanenza nell’ufficio amministrativo».
LA RINUNCIA DEL COMUNE AL CREDITO
I giudici si soffermano quindi sulla iniziativa del Comune, che per alleggerire la propria posizione aveva rinunciato a una parte del credito vantato nei confronti de “La Torre” e ammesso al passivo fallimentare: «Tra gli altri addebiti formulati dalla curatela, figura anche l’esistenza di crediti che la fallita vantava nei confronti del comune di Serrara Fontana per i corrispettivi maturati a fronte di servizi resi negli esercizi 2003 e 2004 per l’ammontare complessivo di euro 292.610,88 e che non erano stati tempestivamente riscossi né dall’organo gestorio né tantomeno dal liquidatore.
L’addebito però è rimasto privo di conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio della fallita in considerazione della formale rinuncia con delibera comunale del 27.12.2022 con la quale l’ente comunale ha rinunciato parzialmente alla quota parte di credito già ammesso al passivo fallimentare con specifico riferimento alla somma di euro 292.610,88 che la curatela fallimentare in sede di opposizione aveva eccepito in compensazione, ma che era stata rigettata dal tribunale fallimentare per l’intervenuta prescrizione.
Pertanto, la predetta rinuncia proprio a quella parte del credito ammesso al passivo funge da riconoscimento di quanto dovuto dall’ente comunale, neutralizzando quindi gli effetti pregiudizievoli della incontestabile condotta inerte sia dell’organo amministrativo che di quello liquidatorio, che avevano fatto prescrivere la suddetta posta creditoria della fallita».
Una iniziativa per “ingraziarsi” il Tribunale che però nel complesso della valutazione non ha sortito pienamente l’effetto sperato…
COLPEVOLE RITARDO
Dalla sentenza emerge anche che addirittura nessuno si era attivato per riscuotere le fatture della tassa sulla N.U. “La Torre” non incassava il corrispettivo per il servizio svolto: «Di contro, sussiste la responsabilità dell’organo amministrativo della fallita che nel corso dell’esercizio 2006 aveva maturato un cospicuo credito verso l’utenza per il servizio di smaltimento dei rifiuti senza emettere le relative fatture per la riscossione dell’importo complessivo di euro 458.347,00.
E’ stato comprovato che l’organo amministrativo provvedeva a riscuotere tali crediti per TIA verso l’utenza con colpevole ritardo soltanto in data 10.12.2011, in difetto di atti interruttivi della prescrizione.
L’emissione delle fatture in ritardo permetteva di incassare soltanto l’esiguo importo di euro 11.856,75, cristallizzando definitivamente la perdita del credito per la somma di euro 446.491,25 sulla quale era maturato l’effetto estintivo della prescrizione.
La perdita su crediti in tal caso tuttavia è imputabile alla condotta omissiva dell’organo amministrativo a cui deve aggiungersi il comportamento negligente dell’organo di vigilanza che di fatto resta inerte senza attivare i propri poteri di impulso e di sollecitazione nei confronti dell’organo amministrativo.
Invero, par lecito rimarcare che gli inviti inoltrati all’organo amministrativo da parte dell’organo sindacale (di cui è stato fornito riscontro dai sindaci convenuti) potevano esonerare gli stessi da responsabilità nei primi anni in cui l’organo gestorio dimostrava tale noncuranza nell’esazione di tali crediti verso l’utenza, ma quando dopo quasi 5 anni la necessità di provvedere al recupero dei crediti era divenuta impellente per evitare la prescrizione degli stessi, la condotta dell’organo sindacale è comunque rimasta sostanzialmente omissiva e quindi sotto il profilo causale ha cagionato la produzione del danno causato dalla maturata prescrizione della posta creditoria».
1 – continua